Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2020, n. 29

Contratti di somministrazione di lavoro, Ragioni di carattere
produttivo, Causali apposte ai contratti, Specificità, Proroghe

 

Rilevato che

 

La Corte d’Appello di Brescia confermava la pronuncia
del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da M.B. nei
confronti della s.p.a. C.G. volta a conseguire pronuncia di accertamento della
irregolarità dei contratti di somministrazione di lavoro intercorsi fra le
parti – il primo con decorrenza 7/2/2011 e scadenza 19/3/2011, prorogata per
sei volte sino al 31/12/2011, ed il successivo, con decorrenza 1/1/2012, e
scadenza 31/1/2012 prorogato per quattro volte, sino al 31/8/2012 – con i
provvedimenti consequenziali in tema di riammissione in servizio e di
risarcimento del danno.

La Corte deduceva, per quanto ancora qui rileva, che
il primo contratto di lavoro in somministrazione era stato stipulato per
“ragioni di carattere produttivo – aumento dell’attività relativa dovuta
alla acquisizione primo ordine Schoeneweiss n. 17571”, ed il secondo per
la “necessità di far fronte ai termini di consegna derivanti
dall’acquisizione dell’ordine Schoeneweiss n. 17571 (da evadere entro il 2°
quadrimestre) non assorbibile con il normale assetto produttivo”; facendo
richiamo a precedenti arresti di questa Corte in tema, reputava le causali
apposte ai contratti a termine, assistite da un grado sufficiente di
specificità.

Con riferimento alla questione relativa alla dedotta
illegittimità delle proroghe dei contratti di somministrazione per violazione
dei limiti imposti al riguardo dall’art. 42 c.c.n.I. di settore
(numero di proroghe non superiore a 6 nell’arco di 36 mesi), argomentavano i
giudici del gravame che il ricorrente fondava la propria doglianza sul
presupposto della unicità del rapporto articolato nei due contratti considerati
in assenza di soluzione di continuità; ma detta prospettazione non era
sufficiente a configurare l’esistenza di un unico contratto, in quanto a tal
fine sarebbe stato “necessario dedurre e provare l’esistenza di un accordo
simulatorio o di un intento fraudolento perseguito dalle parti del contratto di
somministrazione”.

Sotto altro versante, veniva esclusa, comunque, la
possibilità di applicazione dell’art.
42 ai lavoratori somministrati: l’azione esercitata dal ricorrente era
infatti prevista dall’art. 27
d.lgs. n. 276/2003 che disciplinava esclusivamente l’ipotesi di violazione
di norme attinenti al contratto di somministrazione fra agenzia ed
utilizzatore; per contro, “la norma contrattuale invocata dal
ricorrente” si riferiva “all’art. 22 c. 2 del citato decreto
legislativo, vale a dire al rapporto a termine instaurato fra l’agenzia ed il
lavoratore”. Si precisava, quindi che in tanto si poteva “parlare di
somministrazione irregolare ex art.
27 d. Igs. n. 276/03”, in quanto la stessa fosse “avvenuta al di
fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21 comma 1, a), b); c),
d), ed e) ai quali è estraneo ogni aspetto del rapporto di lavoro tra
lavoratore e agenzia, disciplinato dall’art. 22”.

Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha
proposto ricorso, affidato a cinque motivi illustrati da memoria; la società
intimata ha resistito con controricorso, depositando a propria volta memoria
illustrativa.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 20, 21, 27 e 28 d.lgs. n. 276/2003 in
relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c..

Si lamenta che il giudice del gravame abbia omesso
di valutare la ricorrenza in concreto delle causali addotte a giustificazione
della somministrazione di manodopera in relazione ad ogni singolo contratto e
proroga, facendo generico riferimento ad un concetto di “ordine
aperto” che nulla prova in ordine ad ogni singolo rapporto intercorso fra
le parti.

2. Con il secondo motivo, formulato in via di
subordine, si prospetta, ai sensi dell’art. 360
comma primo n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, concernente la carenza
di ogni indagine riguardo al profilo dirimente della controversia, relativo
alla effettiva sussistenza delle causali sottese ai contratti ed alle relative
proroghe, stipulati.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.

Deve infatti osservarsi che i rilievi formulati dal
ricorrente – riferibili sia a violazioni prospettate come error in judicando
che come vizio di motivazione – sono volti, nella sostanza, a sindacare un
accertamento di fatto condotto dal giudice del merito, che ha portato lo stesso
a ritenere dimostrata, alla stregua dei dati acquisiti in giudizio, la
specificità della causale apposta ai contratti intercorsi fra le parti ed alle
relative proroghe. La Corte di merito, dopo aver conferito positivo riscontro
alla questione della legittimità delle causali apposte ai contratti di lavoro,
ritenute assistite da un adeguato livello di specificità, ha proceduto ad
esaminare, in consonanza coi principi affermati da questa Corte, la questione
inerente alla dimostrazione della effettività delle causali sottese ai
contratti inter partes.

Ha quindi ripercorso l’andamento delle commesse
prese in carico dalla società, G. operante nel settore “automotive”,
evidenziando come, dopo una situazione di grave difficoltà verificatasi nel
2009, che aveva indotto alla stipula di un contratto di solidarietà difensivo
agli inizi del 2010, si era verificata un’imprevista ripresa degli ordini, che
aveva comportato un repentino incremento delle vendite per far fronte alle
quali l’azienda, oltre all’immediata risoluzione del contratto di solidarietà,
aveva dovuto far ricorso al lavoro somministrato.

La quaestio facti rilevante in causa è stata,
quindi, trattata in conformità ai criteri valutativi di riferimento, pur
pervenendo il giudice del gravame a conclusioni – frutto della accurata
ricognizione del quadro probatorio delineato in prime cure – difformi rispetto
a quelle indicate da parte ricorrente; la motivazione che innerva l’impugnata
sentenza non può, quindi, ritenersi risponda ai requisiti della assoluta
omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e
dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del
sindacato di legittimità, alla luce del novellato testo dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., applicabile alla
fattispecie ratione temporis (vedi Cass. S.U.
4/7/2014 n. 8053).

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1344 c.c. ex art.
360 comma primo n. 3 c.p.c..

Si deduce che il punto rilevante della questione
delibata, risiedeva nel fatto che la sesta proroga del primo contratto scadeva
il 31/12/11, mentre il secondo contratto aveva avuto inizio il giorno
successivo, ossia il 1/1/12, ed il lavoratore aveva proseguito l’attività con
le medesime mansioni ed il medesimo inquadramento; sicché al di là di ogni
questione in tema di onere probatorio inerente alla sussistenza di un accordo
simulatorio fra le parti nella stipula del contratto di somministrazione, il
giudice del gravame avrebbe dovuto procedere alla interpretazione delle
obiettive circostanze acquisite.

5. Il motivo non è fondato.

La questione oggetto di delibazione, è stata già
vagliata da questa Corte che in precedente controversia analoga a quella qui
scrutinata, ha affermato il principio alla cui stregua in tema di
somministrazione di lavoro, la violazione del limite massimo di sei proroghe
nell’arco di trentasei mesi, previsto dall’art. 42 del c.c.n.I. del 2008
per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro, può ritenersi
sussistente solo ove il lavoratore offra la prova della condotta fraudolenta
del datore di lavoro, il quale, attraverso la stipulazione di un successivo
contratto di somministrazione senza soluzione di continuità (di per sé non
vietata), eluda il divieto di prorogare non più di sei volte il precedente
contratto.

(cfr. Cass. 16/11/2018 n. 29269 con la quale è stata
confermata la sentenza di merito che, con decisione immune da censure, aveva
escluso la fittizietà della frattura fra un contratto e l’altro per avere il
datore provato la sussistenza delle ragioni giustificative indicate nei
contratti di somministrazione stipulati successivamente al primo, prorogato sei
volte, cui adde Cass. 12/10/2018 n. 25562 in motivazione).

Si è avuto modo di precisare come il ricorrente
facesse discendere il superamento del numero di proroghe ammesse per ciascun
contratto di somministrazione in base a quanto statuito dall’art. 42 del CCNL del settore –
secondo cui il periodo di assegnazione iniziale può essere prorogato per sei
volte nell’arco di 36 mesi – dalla continuatività temporale tra l’ultima
proroga del precedente contratto di somministrazione, prorogato sei volte, e il
successivo contratto di somministrazione stipulato anche a distanza di un solo
giorno.

Tuttavia, poiché formalmente non risultavano
stipulate più di sei proroghe per ciascun contratto di somministrazione e
poiché la norma non prevedeva l’intercorrenza di alcun intervallo di tempo tra
un contratto di somministrazione e l’altro, la violazione della citata clausola
contrattuale collettiva poteva ritenersi configurabile solo ove tale
superamento fosse stato attribuibile ad una condotta fraudolenta del datore di
lavoro, il quale attraverso la stipulazione di un successivo contratto di
somministrazione, senza soluzione di continuità, avesse eluso il divieto di
prorogare non più di sei volte il precedente contratto.

Detta circostanza, nello specifico, è stata comunque
ritenuta insussistente dalla Corte di merito, la quale ha rimarcato come la
società datrice di lavoro avesse allegato prova in ordine alla sussistenza, per
ciascun contratto, delle effettive esigenze indicate nelle singole causali e
del loro carattere di temporaneità, sì da escludere che “i contratti
fossero stati stipulati per esigenze meramente pretestuose, simulate o
evanescenti”;

L’accertamento della sussistenza della frode alla
legge è demandato al giudice di merito e dunque è sindacabile in cassazione
solo ove il giudice abbia del tutto omesso di esaminare i fatti dedotti quali
espressione di mezzi per eludere la regola della temporaneità, circostanza, per
quanto sinora detto, non verificatasi nel caso in esame.

Alla luce degli enunciati principi, dai quali non vi
sono ragioni per discostarsi, la censura va, pertanto, respinta.

6. Con il quarto motivo è denunciata violazione
degli artt. 22 d. Igs. 276/03
c.c.n.l. e 42 c.c.n.I. del
16/5/08 nonché degli artt. 27 d.
Igs. 276/03, 1344 c.c. e 5.5 della Direttiva 2008/104/CE.

Si deduce che la Corte di merito ha male
interpretato le disposizioni della contrattazione collettiva di settore in tema
di proroga del contratto e dei relativi limiti, ritenendo che la stessa si
riferisse espressamente all’art.
22 c. 2 d. Igs. n. 276/03, vale a dire al rapporto di lavoro a termine
instaurato fra agenzia e lavoratore, ed in quanto tale, non potesse ritenersi
applicabile al contratto di somministrazione fra agenzia ed utilizzatore.

Si argomenta per contro che siffatta ricostruzione
giuridica non era conforme a diritto perché violava l’integrità della intera
fattispecie trilaterale dei rapporti di somministrazione di manodopera, che è
unitaria e concepita per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro.

7. Dalla reiezione del terzo motivo discende
l’assorbimento del quarto, successivo in ordine logico.

8. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli
artt. 20, 21, 27 e 28 d.lgs. n. 276/2003 in
relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c..

Si critica da ultimo il criterio adottato dalla
Corte distrettuale per scrutinare la sufficiente indicazione delle causali
proprie dei contratti intercorsi fra le parti, benché mancassero l’indicazione
sia pur sintetica, degli elementi che consentissero il controllo della loro
concreta ricorrenza, in quanto condizioni legittimanti l’utilizzo di manodopera
somministrata.

9. Il motivo non è condivisibile, alla stregua dei
rilievi già formulati in relazione al punto 3 della presente decisione.

Al riguardo, appare opportuno in via ulteriore
precisare che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di omesso esame di un fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le distinte ipotesi di
violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione
dell’astratta fattispecie normativa,ovvero erronea applicazione della legge in
ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta
– è infatti segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la
prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi
ex multis, Cass. 13/10/2017 n. 24155, Cass.11/1/2016 n. 195, Cass. 4/4/2013 n. 8315).

E l’ipotesi considerata rientra certamente nel
paradigma da ultimo delineato, posta la necessaria valutazione da parte della
Corte di merito, dei termini relativi alla specificità della causale, alla
stregua delle risultanze istruttorie (nella specie riconducibili agli estratti
dei bilanci prodotti in giudizio dalla società recanti riferimento all’utilizzo
delle materie prime e sussidiarie oltre che al numero dei prodotti finiti che
mostravano il corrispondente forte incremento produttivo), per valutarne la
sussumibilità nella fattispecie normativa di riferimento.

Questo accertamento compiuto dal giudice del
gravame, non congruamente impugnato – per quanto sinora detto – mediante
denuncia di error in judicando, si sottrae comunque ad ogni ulteriore censura
che possa attenere alla valutazione della questio facti, esulando dai rigorosi
limiti tracciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nei ricordati arresti (Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).

La sentenza impugnata, risulta, peraltro, rispettosa
dei principi affermati da questa Corte di Cassazione, secondo cui soddisfa
pienamente il requisito di specificità, la causale giustificativa che faccia
riferimento a “picchi produttivi”, ossia alla intensificazione
dell’attività, ferma restando la verificabilità dell’effettiva esistenza delle
ragioni giustificative in caso di contestazione (cfr. Cass. 6/10/2014 n. 21001, Cass. 4/1/2019 n. 77); onde, sotto ogni profilo,
resiste alle censure all’esame.

10. Conclusivamente, alla stregua delle sinora
esposte considerazioni, il ricorso va respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha
aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2020, n. 29
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