Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2020, n. 31

Soppressione di ente pubblico, Transito del lavoratore nel
ruolo unico regionale, Figura tipica del direttore regionale di prima fascia

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della
sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, ha
ritenuto fondata la domanda proposta da G.B. nei confronti della Presidenza
della Regione Sicilia e dell’Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e
della Funzione Pubblica e, accertato il diritto dell’appellante ad essere
inquadrato nella prima fascia del ruolo dirigenziale dal 1° maggio 2007, ha
condannato l’Assessorato al pagamento delle conseguenti differenze retributive;

2. la Corte territoriale ha premesso in punto di
fatto che G.B., Direttore dell’Azienda per il Turismo della Provincia di
Trapani, a seguito della soppressione dell’ente era transitato nel ruolo unico
regionale ed era stato inserito nella seconda fascia, sebbene al momento del
passaggio l’incarico dirigenziale ricoperto fosse stato già riconosciuto di
prima fascia, con deliberazioni commissariali nn. 476/2001 e 37/2004;

3. il giudice d’appello non ha condiviso le
conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale circa la contrarietà a norma
imperativa delle delibere sopra citate ed ha rilevato che l’Azienda aveva
adottato il Regolamento giuridico ed economico che, nell’individuare le
attribuzioni ed i poteri del Direttore, aveva trascritto pressoché
integralmente l’art. 11 della legge regionale n. 145/1980, in tal modo operando
una piena equiparazione con il direttore regionale, inquadrato nella prima
fascia ai sensi dell’art. 6,
comma 4, l.r. n. 10/2000, equiparazione che non poteva essere esclusa per
la minore ampiezza dei poteri di spesa, correlata alle dimensioni organizzative
aziendali, inferiori rispetto a quelle del dipartimento regionale;

4. il giudice d’appello ha aggiunto che sulla base
di detta equiparazione era stato stipulato il contratto individuale, del quale
non era mai stata eccepita l’invalidità, sicché al momento del passaggio non
poteva la Regione rivedere il disposto inquadramento, perché al personale
dell’Azienda doveva essere conservato il trattamento economico e giuridico in godimento;

5. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso la Presidenza della Regione Sicilia e l’Assessorato Regionale delle
Autonomie Locali e della Funzione Pubblica sulla base di tre motivi, ai quali
G.B. ha opposto difese con tempestivo controricorso.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. «violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1,
4, 6, 7 L. R. Sicilia n. 10 del 2000, dell’art. 8 reg. AIPT di Trapani,
art. 11 l.r. Sicilia n. 145/80, degli artt. 4 e 5 Regolamento tipo delle AIPT
approvato con delibera n. 122 del 2004, nonché dell’art. 5 L.R. Sicilia n. 10
del 2005» e addebitano alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto
non rilevante la dimensione organizzativa, che è invece requisito centrale e
qualificante le mansioni e la figura tipica del direttore regionale di prima
fascia;

1.1. sostengono che la legge regionale, nella parte
in cui prevede l’inserimento nella prima fascia anche dei soggetti equiparati
al direttore regionale, fa riferimento alle sole ipotesi in cui l’equiparazione
è disposta per legge, come nel caso del direttore dell’ufficio legislativo e
legale nonché del direttore della ragioneria generale, per i quali statuiscono
in tal senso gli artt. 26 e 29 L.R. n. 7/71;

1.2. aggiungono che ai direttori regionali è
affidata la direzione dei dipartimenti, che costituiscono strutture di
“massima dimensione”, con la conseguenza che non poteva l’Azienda
Provinciale riconoscere l’equiparazione giuridica ed economica fra il direttore
dell’Azienda ed il direttore regionale, perché la stessa si pone in contrasto
con la disciplina della dirigenza;

1.3. richiamano la deliberazione n. 122/2004 con la
quale era stato approvato il regolamento tipo delle Aziende Autonome
Provinciali ed evidenziano che la Regione aveva previsto l’inquadramento dei
direttori nella seconda fascia dirigenziale;

2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla
sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione, oltre che delle
disposizioni richiamate nella rubrica del primo motivo, degli artt. 1324, 1418 e
1421 cod. civ.;

2.1. i ricorrenti sostengono che non potevano essere
valorizzati la delibera n. 37/2004 ed il contratto individuale di lavoro del 19
novembre 2004 perché il contrasto con norma imperativa determina la nullità in
parte qua del contratto e dell’atto negoziale unilaterale, nullità che può
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può anche essere rilevata
d’ufficio dal giudice;

3. la terza critica denuncia l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rilevante
ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., perché la
Corte territoriale non ha in alcun modo valutato circostanze, dedotte già nel
primo grado di giudizio dai resistenti, i quali avevano rappresentato che gli
atti negoziali di attribuzione dell’incarico dirigenziale non erano stati
sottoposti all’approvazione della Regione Sicilia, erano stati adottati
nonostante le diffide con le quali l’Assessore al turismo aveva invitato
l’Azienda ad attenersi alle linee guida ed al regolamento organizzativo tipo,
erano stati oggetto di rilievo anche da parte del Collegio dei revisori che
aveva evidenziato «l’evidente anomalia nell’atto deliberativo relativo al
Direttore dell’Azienda»;

4. è infondata l’eccezione di inammissibilità del
primo motivo di ricorso sollevata dalla difesa del controricorrente;

4.1. la giurisprudenza di questa Corte da tempo ha
chiarito che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata
ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è
segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è
mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass.
n.7394/2010; Cass. n. 195/2016; Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 24054/2017);

4.2. nel caso di specie il ricorso è chiaro
nell’addebitare alla Corte territoriale un errore attinente all’interpretazione
delle leggi regionali richiamate nella rubrica del motivo e non alla
valutazione in concreto degli incarichi in rilievo, sicché la censura
correttamente è stata ricondotta all’ipotesi prevista dal n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.;

5. il primo ed il secondo motivo, da esaminare
congiuntamente in ragione della loro connessione logico giuridica, sono
fondati;

5.1. la legge regionale
Sicilia n. 10/2000 ha dettato norme sulla dirigenza e sul rapporto di
impiego alle dipendenze della regione, da valere, ex art. 1, comma 1, anche per gli
enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza o controllo da parte della
regione stessa, enti tenuti ad adeguarsi alle nuove regole organizzative,
secondo le procedure disciplinate dal comma 3 del richiamato art. 1;

5.2. nel nuovo assetto assume particolare rilevanza
la tipologia delle strutture operative, disciplinata dall’art. 4, che, oltre a distinguere
le strutture di massima dimensione, da quelle intermedie, denominate aree e
servizi, e dalle unità operative di base, fissa una correlazione fra numero
delle strutture di massima dimensione e numero dei dirigenti generali,
quest’ultimo maggiorato di otto unità rispetto al primo (art. 4, comma 2);

5.3. l’art.
6 istituisce il ruolo unico della dirigenza, articolato in due fasce in
relazione al livello di professionalità e di responsabilità e destinato a
sostituire i soppressi ruoli indicati nell’art. 20, e prevede, al comma 4,
che in sede di prima applicazione accedono alla fascia più elevata «il
segretario generale, i direttori regionali ed equiparati, l’ispettore regionale
tecnico di cui alla legge regionale 22.2.1986 n. 2, in servizio alla data di
entrata in vigore della presente legge, purché in possesso del titolo di studio
richiesto per l’accesso alla carriera»;

5.4. gli artt. 7 e 8 disciplinano le
attribuzioni dei dirigenti, modulate sulla maggiore o minore complessità della
struttura diretta, e l’art. 9
detta le modalità di conferimento degli incarichi, precisando che l’incarico di
dirigente generale, che implica la direzione di una struttura di massima
dimensione (art. 7 comma 4),
può essere conferito a dirigenti di prima fascia e solo nei limiti di un terzo
anche della seconda fascia;

6. la disposizione transitoria, in quanto volta a
disciplinare il passaggio fra due diversi sistemi di classificazione della
dirigenza, deve essere letta tenendo conto del previgente regime e, pertanto,
la norma, nella parte in cui fa riferimento ai «direttori generali ed equiparati»,
va interpretata nei termini sollecitati dalle amministrazioni ricorrenti, ossia
limitando l’equiparazione a quella espressamente prevista dalla normativa
abrogata, posto che il legislatore, come è reso evidente anche dal tenore dell’art. 20, ha voluto fissare le
modalità di inserimento nel nuovo ruolo unico dei dirigenti in precedenza
iscritti nei soppressi «ruoli regionali di direttore regionale o equiparato e
di dirigente superiore amministrativo e tecnico»;

7. a detta assorbente ragione va, poi, aggiunto che
in entrambi i sistemi assume particolare rilievo la complessità della struttura
diretta, perché la legge n. 7/1971 riservava ai direttori generali le direzioni
regionali e gli uffici equiparati di cui alla tabella allegata al n. 1 della
stessa legge, e la legge n. 10/2000 impone di
tener conto nell’attribuzione degli incarichi della tipologia delle strutture
operative come delineata dall’art.
4;

8. ha, pertanto, errato la Corte territoriale nel
riconoscere il diritto del Butera ad essere inserito nella prima fascia
dirigenziale ai sensi dell’art.
6, comma 4, della legge regionale n. 10/2000 sulla base di un giudizio di
equivalenza formulato a prescindere da un’espressa previsione normativa e senza
attribuire rilievo alle dimensioni organizzative aziendali, che lo stesso
giudice d’appello ha ritenuto inferiori a quelle del dipartimento regionale (
pag. 3 sentenza gravata);

9. il ricorso è fondato anche nella parte in cui
evidenzia che ai fini dell’inserimento nel ruolo unico della dirigenza non
potevano essere valorizzati né la delibera n. 37/2004 né il contratto individuale
di lavoro del 19 novembre 2004;

10. le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno
affermato che il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire
inquadramenti difformi da quelli previsti dalla contrattazione collettiva e
pertanto qualora lo faccia l’atto in deroga, anche se di miglior favore, è
affetto da nullità, in quanto in contrasto con le norme imperative dettate dal d.lgs. n. 165/2001 (Cass.
S.U. n. 21744/2009 e Cass. S.U. n. 16730/2012,
quest’ultima relativa alla dirigenza della Regione Sicilia);

11. a maggior ragione il principio deve valere
nell’ipotesi, che qui viene in rilievo, dell’attribuzione di un trattamento
giuridico ed economico che contrasti con norme inderogabili di legge, quali
sono quelle che disciplinano l’accesso alla dirigenza regionale e fissano i
requisiti necessari per l’inserimento nel ruolo unico;

12. la nullità, rilevabile d’ufficio (Cass. S.U. n.
26242/2014), ove ritenuta sussistente impedisce anche che il trattamento
acquisito possa essere conservato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n.
10/2005, che ha soppresso le aziende autonome provinciali per l’incremento
turistico garantendo al personale la conservazione della posizione giuridica ed
economica conseguita al 31 luglio 2005;

13.  in via
conclusiva, meritano accoglimento i primi due motivi di ricorso, con
assorbimento della terza censura, e la sentenza impugnata deve essere cassata
con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un
nuovo esame attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati;

14. al giudice del rinvio è demandato anche il
regolamento delle spese del giudizio di legittimità;

15. non sussistono le condizioni processuali di cui
all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di
Palermo in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2020, n. 31
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