Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2020, n. 32

Fondo di garanzia Inps, Insolvenza del datore di lavoro,
Diritto di credito ad una prestazione previdenziale, Domanda di attivazione
del Fondo di garanzia per la liquidazione dei crediti di lavoro, Prescrizione
– Inderogabilità disposizioni di legge, Natura previdenziale dell’obbligazione
assunta dal Fondo

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Torino ha dichiarato
inammissibile, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis e ter
c.p.c., il ricorso proposto da M.G. avverso la sentenza del Tribunale di
Torino che aveva rigettato la sua domanda tesa alla condanna dell’Inps al
pagamento di crediti di lavoro diversi dal T.F.R. a carico del Fondo di
garanzia costituito presso l’Istituto per un importo di € 2.654,34, oltre
rivalutazione ed interessi legali sulle somme rivalutate.

2. Il giudice di appello ha evidenziato che il
Tribunale si era conformato alla giurisprudenza di legittimità che afferma che
in caso di insolvenza del datore di lavoro il diritto del lavoratore ad
ottenere dall’Inps il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre
mesi del rapporto di lavoro ha natura di diritto di credito ad una prestazione
previdenziale distinta rispetto al credito vantato nei confronti del datore di
lavoro e, dunque, la domanda di insinuazione al passivo del fallimento non
interrompe la prescrizione nei confronti del fondo di garanzia che si prescrive
con il decorso del termine di un anno da quando il credito è divenuto esigibile.

3. Poiché nella specie il termine decorreva dal
25.5.2004 – data del deposito del decreto del giudice delegato che ha reso
esecutivo lo stato passivo – la domanda al Fondo del 4.10.2010 era senz’altro
tardiva essendo maturata la prescrizione ex art. 2 comma 5 del d.lgs. n. 80
del 1992.

4. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di
Torino ricorre M.G. formulando due motivi; inoltre, il ricorrente impugna
l’ordinanza della Corte di appello sulla base degli stessi motivi.

5. L’Inps ha proposto controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso avverso la
sentenza di primo grado, relativo all’art. 360,
comma 1 nn. 4 e 5, c.p.c., il ricorrente denuncia la nullità della sentenza
per omissione di pronuncia in ordine alla specifica doglianza fatta valere dal
G. incentrata sulla violazione da parte dell’INPS della espressa previsione del
punto 4.5. della circolare n. 74 del 15 luglio
2008, secondo cui la domanda di attivazione del Fondo di garanzia per la
liquidazione dei crediti di lavoro si prescrive in un anno dalla chiusura della
procedura concorsuale. In via consequenziale, il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
97 Cost. dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990,
degli artt. 1375 e 1175
c.c. che viene fatta discendere dalla omessa pronuncia di cui al primo
profilo del motivo, posto che l’INPS aveva leso il principio del legittimo
affidamento ponendo in essere atti contrari all’obbligo di buona fede e
correttezza nei confronti dell’interessato che nella circolare aveva riposto
affidamento.

2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione
dell’art. 152 disp. att. c.p.c. in ragione del
fatto che la sentenza aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese
sebbene fosse stata depositata la dichiarazione necessaria ai fini
dell’esonero.

3. I medesimi motivi sono stati articolati avverso
l’ordinanza della Corte d’appello di Torino.

4. Va, in via preliminare, rilevato che, laddove –
come nel caso di specie – con unico ricorso per cassazione siano impugnate sia
la sentenza del tribunale che l’ordinanza che dichiara l’inammissibilità
dell’appello ex art. 348 bis c.p.c.,
l’idoneità del ricorso al raggiungimento del suo scopo dipende dalla
circostanza che la critica del provvedimento impugnato sia autonoma rispetto a
quella dell’ordinanza. Ciò in ragione della distinzione dei provvedimenti che
rende necessario che la critica debba essere rivolta specificatamente a
ciascuno di essi e, ove ritenuta l’esistenza di un identico errore, tale
identità vada individuata ed illustrata (Cass. n. 12440 del 2017).

5. Nel caso di specie, seppure con contenuti del
tutto coincidenti, il ricorso ha individuato separatamente i motivi proposti
avverso i due provvedimenti, dunque, è ammissibile sotto questo profilo.

6. Con riferimento all’impugnazione indirizzata nei
confronti dell’ordinanza, la censura di cui al primo motivo, tuttavia, non
rispetta i limiti dell’impugnabilità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ. così come fissati da
Cass. Sez. U. n. 1914 del 2016, in quanto non resta sul piano della violazione
della legge processuale, ma censura la decisione della Corte d’appello sul
piano del merito del motivo di appello, per cui viola il principio secondo il
quale: <L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. non è ricorribile per
cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111, comma
7, Cost., ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa
la natura complessiva del giudizio “prognostico” che la caratterizza,
necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza
ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale
ipotesi, solo un problema di motivazione.” (cfr. Cass. s.u. 2 febbraio
2016 n. 1914).

7. Il primo motivo di ricorso avverso la sentenza
del Tribunale di Torino è infondato.

8. Va ribadito che “le circolari dell’ INPS non
possono derogare alle disposizioni di legge e neanche possono influire
nell’interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di
atti del tipo c.d. normativo, che restano comunque atti di rilevanza interna
all’organizzazione dell’ente” (cfr. in termini Cass. 26 maggio 2005 n.
11094 relativa proprio ad una fattispecie in tema di intervento del Fondo di
garanzia).

9. Inoltre, va rammentato che questa Corte con
riferimento al TFR, ma affermando principi di diritto relativi al Fondo in
questione e alle obbligazioni a carico dello stesso, che, dunque, possono
trovare applicazione anche con riguardo agli altri crediti di lavoro non
corrisposti (Cass. n. 26819 del 2016, n. 16617 del 2011, n. 8265 del 2010, Cass. n. 27917 del 19 dicembre 2005), ha ritenuto
che nel caso in cui si controverta di crediti di cui al d.lgs. n. 80 del 1992, art. 2,
comma 1 – vale a dire “crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a
titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del
rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono” – il diritto
del lavoratore di ottenere dall’I.N.P.S., in caso di insolvenza del datore di
lavoro, la corresponsione delle somme a carico dello speciale fondo di cui alla
L. n. 297 del 1982, art. 2,
ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale ed è perciò
distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di
lavoro; restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale, il
diritto si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro, ma al
verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di
lavoro,verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al
passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva).

10. Il Fondo di garanzia costituisce attuazione di
una forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione
contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la sola
particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante
l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore
di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con
riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo.

Il diritto alla prestazione del Fondo nasce, quindi,
non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo –
previdenziale, in presenza dei già ricordati presupposti previsti dalla legge:
– insolvenza del datore di lavoro e accertamento del credito nell’ambito della
procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di queste; – formazione di
un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

In sostanza il Fondo di garanzia è istituito presso
l’I.N.P.S. con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di
insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui
all’art. 2120 cod. civ., spettante ai lavoratori
o loro aventi diritto. Il finanziamento avviene mediante contribuzione
obbligatoria a carico dei datori di lavoro.

Per ottenere la prestazione è necessaria una domanda
amministrativa, domanda che può essere presentata solo dopo la verifica
dell’esistenza e della misura del credito, in sede di ammissione al passivo
fallimentare o della liquidazione coatta amministrativa, ovvero, in caso di
datore di lavoro non assoggettato a procedure concorsuali, dopo la formazione
di un titolo esecutivo e l’esperimento infruttuoso, in tutto o in parte,
dell’esecuzione forzata.

11. Il diritto alla prestazione del Fondo nasce,
quindi, non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto
assicurativo – previdenziale, in presenza dei presupposti previsti dalla legge:
insolvenza del datore di lavoro e accertamento del credito nell’ambito della
procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di queste; formazione di un
titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

La prescrizione del diritto alla prestazione
decorre, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., dal
perfezionarsi della fattispecie attributiva, che condiziona la proponibilità
della domanda all’I.N.P.S. (in tal senso la giurisprudenza della Corte si è già
espressa con la sentenza 26 febbraio 2004, n. 3939).

La natura previdenziale dell’obbligazione assunta
dal Fondo rende inapplicabile la disciplina delle obbligazioni in solido e
dunque il termine di prescrizione di un anno non resta interrotto nei confronti
del Fondo durante la procedura fallimentare a carico del datore di lavoro (cfr.
al riguardo Cass. 10.5.2016 n. 9495, 13 ottobre
2015, nn. 20547 e 20548, 9 giugno 2014 n.
12971, 9 settembre 2013, n. 20675, 8 maggio 2013, n. 10875, 23 luglio 2012,
n. 12852).

12. Orbene l’odierno ricorrente, a fronte di uno
stato passivo dichiarato esecutivo in data 25.5.2004, ha presentato domanda
all’I.N.P.S. in data 4 ottobre 2010 (ricorso giudiziario poi del 20.7.2012)
quando il termine annuale di prescrizione dei crediti azionati era da ritenere
ormai spirato, non essendo intervenuti altri atti interruttivi.

La censura formulata nel primo motivo di ricorso
avverso la sentenza del Tribunale di Torino è dunque infondata e deve essere
rigettata.

13. E’ fondato, invece, il motivo di ricorso che
investe la condanna, contenuta nella sentenza del Tribunale, al pagamento delle
spese del giudizio.

Il Tribunale, infatti, in violazione del disposto
dell’art. 152 disp.att.c.p.c. non ha tenuto
conto della dichiarazione depositata in atti ai fini dell’esonero dal pagamento
delle spese di lite.

In tali limiti deve essere riformata la sentenza di
primo grado e, consequenzialmente ex art. 336 co.
co. 2° c.p.c.; l’ordinanza della Corte di appello che pure ha disposto la
condanna alle spese del ricorrente e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto, è possibile ai sensi dell’art.
384 c.p.c. decidere nel merito e dichiarare non ripetibili le spese
dell’intero processo, posto che – sebbene il limitato accoglimento del ricorso
per cassazione giustificherebbe una parziale compensazione delle spese che nel
resto dovrebbero restare a carico del ricorrente soccombente – in
considerazione dell’esistenza delle condizioni di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., vanno dichiarate
complessivamente non ripetibili anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso contro la
sentenza di primo grado, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara M.G. non tenuto
al pagamento delle spese dell’intero processo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2020, n. 32
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