Il lavoratore occupato obbligatoriamente non è licenziabile per riduzione di personale se si scende sotto la quota di riserva.

 Nota a Cass. 15 ottobre 2019, n. 26029

 Alfonso Tagliamonte

Qualora, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il numero dei rimanenti occupati obbligatoriamente sia inferiore alla c.d. quota di riserva, Il recesso nell’ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale di un lavoratore occupato obbligatoriamente, è annullabile con le conseguenze previste in caso di recesso illegittimo per accertata violazione dei criteri di scelta.

Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione 15 ottobre 2019, n. 26029, che conferma App. Roma 14 dicembre 2017, relativamente ad una fattispecie in cui i giudici d’appello, posta la incontestata sussistenza in capo al lavoratore dei requisiti per l’assunzione ai sensi della normativa sul collocamento obbligatorio (ex L. n. 68/1999), hanno ritenuto violato l’art. 10, co. 4, L. cit. perché, al momento della cessazione del rapporto, il numero dei dipendenti assunti tramite collocamento obbligatorio era inferiore alla quota di riserva di cui all’art. 3, L. n. 68/1999, cit. (in termini, v. Cass. n. 12911/2017; Cass. 27 febbraio 2015, n. 3931).

Come noto, al fine di evitare che, in occasione di licenziamenti individuali o collettivi motivati da ragioni economiche, l’imprenditore possa superare i limiti imposti dalla legge circa la presenza percentuale nella sua azienda di personale appartenente alle categorie protette, il recesso (art. 10, co. 4, L. cit.), ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista” (art. 3, L. cit.).

Il limite al licenziamento in caso di sforamento della quota di riserva riguarda solo il licenziamento per riduzione di personale ovvero il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non anche gli altri tipi di recesso datoriale (v., per l’esclusione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, Cass. n. 21377/2016; Cass. n. 15873/2012; App. Brescia 19 febbraio 2015).

Nel caso specifico, la Corte ha applicato le sanzioni previste per il licenziamento intimato con “violazione di criteri di scelta” (v. art. 4, co. 1, L. n. 223/1991) e cioè il quarto comma dell’art. 18 Stat. Lav., come mod. dalla L. n. 92/2012 (c.d. L. Fornero), secondo cui il giudice: “annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”, in una misura non superiore alle dodici mensilità e “dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione…”.

Quote del collocamento obbligatorio e licenziamento
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