Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2020, n. 822

Autisti dipendenti da aziende concessionarie di servizi di
linea di pubblico trasporto, Licenziamento per inidoneità definitiva alle
mansioni, Erronea valutazione clinica delle condizioni del ricorrente,
Illegittimità del recesso, Misura del risarcimento, Verifica dell’idoneità
affidata alle strutture sanitarie della Rete Ferroviaria Italiana

Fatti di causa

 

Con ricorso del 12.5.2008 C. R. adiva il Tribunale
di Bari, in funzione di giudice del lavoro, lamentando l’illegittimità del
licenziamento intimatogli dal datore di lavoro M. s.r.l. il 9.3.2007 per
inidoneità definitiva alle mansioni di autista a lui affidate – in seguito a
visita medica di controllo effettuata il 16.1.2007 presso la Direzione
Sanitaria delle Ferrovie dello Stato – nonché di un precedente periodo di
sospensione dal servizio intimatagli per tre mesi con raccomandata del 5.5.2006
per “sospetta dipendenza alcolica”. La M. s.r.l. si costituiva, chiamando in
garanzia la società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., alla quale doveva in ogni
caso essere addebitata ogni responsabilità in caso di erronea valutazione
clinica delle condizioni del ricorrente. Con sentenza pubblicata il 18.11.2014
il Tribunale di Bari, all’esito di una C.T.U. medico-legale, accoglieva in
parte la domanda del lavoratore, annullava il licenziamento e condannava la M.
s.r.l. al pagamento in favore del R., a titolo di risarcimento del danno, di
un’indennità pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto;
rigettava per il resto il ricorso nonché la domanda di garanzia proposta dalla
M., che condannava al pagamento delle spese processuali in favore del
ricorrente, mentre le spese venivano compensate nei rapporti tra la stessa M. e
Rete Ferroviaria Italiana. Il Tribunale escludeva, sulla base della C.T.U.
espletata, che la patologia da cui era affetto il lavoratore avesse determinato
una sua inidoneità definitiva e totale al servizio. Sul piano risarcitorio,
rilevato che nella specie il licenziamento non era imputabile alla M. sotto il
profilo del dolo o della colpa, condannava quest’ultima al risarcimento nella
misura minima di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Veniva
rigettata anche la domanda subordinata del lavoratore volta ad ottenere il
pagamento della somma di euro 9.190,92 pari all’ammontare dell’indennità
prevista dall’art. 4, comma 2, dell’accordo ANAV e FIT-CIS e UIL del
15.11.2005. Veniva revocata l’ordinanza emessa in corso di causa ai sensi dell’art. 423 cod.proc.civ. con la quale la M. e la
Rete Ferroviaria Italiana erano state condannate in solido al pagamento in
favore del R. della somma di euro 80.000,00 a titolo di retribuzione globale di
fatto maturata da quest’ultimo dall’epoca del licenziamento fino alla data di
emissione dell’ordinanza (26.5.2011).

3. Avverso la citata sentenza del Tribunale di Bari
proponevano impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Bari sia il
lavoratore sia la M. s.r.l. I due appelli venivano riuniti e la società Rete
Ferroviaria Italiana s.p.a. si costituiva. In corso di causa si costituiva M.
A., in qualità di erede del lavoratore, nel frattempo deceduto.

4. Con sentenza pubblicata l’11.1.2018, la Corte di
appello di Bari accoglieva l’appello del lavoratore per quanto di ragione, e,
in parziale riforma della sentenza di prime cure, condannava la M. al
pagamento, in favore dell’appellante, delle retribuzioni globali di fatto
maturate dal lavoratore dall’agosto 2006 fino a tutto il 20.11.2014, oltre al
pagamento dei contributi previdenziali maturati dalla data del licenziamento al
20.11.2014, oltre accessori, detratto quanto già corrisposto a seguito
dell’ordinanza del 26.5.2011, citata; rigettava l’appello proposto dalla M.
s.r.l.; confermava la sentenza di prime cure quanto all’accertamento
dell’illegittimità del licenziamento, al rigetto della domanda di garanzia
della M. nei confronti di Rete Ferroviaria , Italiana e in punto di
regolamentazione delle spese processuali; condannava la M. s.r.l. al pagamento
delle spese di C.T.U. nonché alle spese del grado di appello in favore
dell’erede del lavoratore, nonché alle spese in favore della Rete Ferroviaria
Italiana s.p.a.

5. Relativamente alla misura del risarcimento da
riconoscere al lavoratore, la Corte territoriale osservava che la società
datrice di lavoro non poteva ritenersi esente da responsabilità, per cui doveva
farsi ricorso alla tutela risarcitoria piena, perché l’art. 6 dell’Allegato A
al D.M. n. 88 del 1999 abilitava la M. ad effettuare “ulteriori accertamenti
sanitari” giacché, pur dovendo, secondo il D.M., avvalersi “prioritariamente”
della Direzione Sanitaria delle Ferrovie dello Stato, “all’occorrenza poteva
anche avvalersi di ulteriori accertamenti sanitari da parte del Servizio
Sanitario Nazionale”. Tali ulteriori accertamenti si sarebbero resi necessari
per la discrasia, emergente dagli atti, tra l’iniziale giudizio
dell’articolazione sanitaria locale delle Ferrovie dello Stato di “sospetta
dipendenza alcolica” ed il giudizio finale presso l’articolazione centrale che
riscontrava, invece, un’epatopatia di verosimile origine infettiva. A proposito
della domanda di manleva nei confronti della Rete Ferroviaria Italiana, la
Corte territoriale escludeva che il rapporto tra la M. e quest’ultima società
derivasse da una “delega necessaria” imposta dalla legge, con conseguente
impossibilità di trasferire la responsabilità dal delegante al delegato.

6. Avverso la citata sentenza della Corte di appello
di Bari la M. s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. M.
A., nella qualità di erede di Innocenzo R., e la Rete Ferroviaria Italiana
s.p.a. resistono con separati controricorsi. Tutte le parti hanno depositato
memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione dell’Allegato A) del Decreto Ministeriale n. 88
del 1999 nonché dell’art. 6 del medesimo Allegato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. Secondo la
ricorrente erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l’art. 6
citato autorizzi il datore di lavoro ad effettuare ulteriori accertamenti
rispetto a quelli compiuti dall’Organo prioritariamente a tanto delegato, cioè
le Ferrovie dello Stato, oggi Rete Ferroviaria Italiana. In realtà la corretta
interpretazione della citata disposizione condurrebbe secondo la ricorrente ad
escludere che una tale latitudine fosse attribuita al datore di lavoro, che
sarebbe invece tenuto ad attenersi al giudizio espresso dalla Rete Ferroviaria
Italiana, giudizio da ritenere sufficiente e vincolante.

2. Con il secondo motivo la M. s.r.l. si duole
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione
tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 5 cod.proc.civ. La ricorrente fa valere che in realtà non sussisteva la
discrasia rilevata dalla Corte territoriale tra l’iniziale giudizio
dell’articolazione sanitaria locale delle Ferrovie dello Stato di “sospetta
dipendenza alcolica” ed il giudizio finale presso l’articolazione centrale che
riscontrava, invece, un’epatopatia di verosimile origine infettiva. Sarebbero
irrilevanti ai fini del giudizio di idoneità le indagini sull’eziologia della
malattia. Inoltre, la natura della patologia accertata “era e doveva essere”,
all’epoca del licenziamento, del tutto sconosciuta alla ricorrente. I due
referti emessi in seguito alle visite di revisione dell’ineffettuate dalla Rete
Ferroviaria Italiana erano coerenti nel senso dell’inidoneità, prima temporanea
e poi definitiva. La patologia posta a base del giudizio di inidoneità non solo
non era conosciuta dalla datrice di lavoro, ma non sarebbe stata neppure
conoscibile dalla stessa. Ciò avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a
ritenere che nessun profilo di colpa poteva essere ravvisato a carico della
datrice di lavoro.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta
nuovamente la violazione dell’Allegato A) del Decreto Ministeriale n. 88 del
1999 nonché dell’art. 6 del medesimo Allegato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. con
riferimento alla posizione della chiamata in causa. La ricorrente deduce che
l’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale non vi era una “delega
necessaria” imposta dalla legge, con conseguente impossibilità di trasferire la
responsabilità dal delegante al delegato, era frutto dello stesso errore
interpretativo denunciato con il primo motivo. Una corretta interpretazione del
citato art. 6 comporterebbe la sussistenza, in capo al datore di lavoro, non
solo di un vincolo relativamente alla scelta dell’Organo di controllo
dell’idoneità alle mansioni del dipendente, ma anche di un obbligo di adeguarsi
alle valutazioni e alle conclusioni da quell’Organo espresse.

4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato,
il che comporta l’assorbimento delle altre doglianze.

5. Questa Corte ha già affermato, con orientamento
cui va data continuità, che, ai fini dell’accertamento dell’idoneità al
servizio degli autisti dipendenti da aziende concessionarie di servizi di linea
automobilistica di pubblico trasporto, il parere della Commissione medica di
cui all’art. 29 R.D. n. 148/1931, all. A
non è vincolante per il giudice di merito adito per l’accertamento
dell’illegittimità del licenziamento , avendo egli, anche in riferimento ai
principi costituzionali di tutela processuale il potere-dovere di controllare
l’attendibilità degli accertamenti sanitari effettuati dalla predetta Commissione
(cfr. Cass. 4 settembre 2018, n. 21620 (ord.); Cass.
25 luglio 2011, n. 16195; Cass. 8 febbraio
2008, n. 3095; Cass. 20 maggio 2002, n. 7311).

6. Oggi, secondo il D.M. n. 88 del 1999, all. A),
art. 6, la competenza relativa agli accertamenti medici dell’idoneità fisica e
psico-attitudinale del personale delle esercenti servizi di trasporto sulle
reti ferroviarie, metropolitane, tramvie ed impianti assimilabili, filovie ed
autolinee spetta “prioritariamente” alla direzione sanitaria delle Ferrovie
dello Stato (oggi Rete Ferroviaria Italiana)(comma 1), o “All’occorrenza e
qualora tecnicamente possibile” “a cura degli organi del Servizio sanitario
nazionale, ferme restando tutte le modalità e prescrizioni di cui al presente
regolamento” (comma 2). Il comma 3 stabilisce che “Le visite finalizzate
all’accertamento della inidoneità completa alle mansioni proprie della
qualifica rivestita sono effettuate dai medesimi organi di cui ai precedenti commi
1 e 2. A seguito di tale giudizio l’azienda adotta i provvedimenti di
competenza.” Quando si tratti, come nella fattispecie, di visite finalizzate
all’accertamento della inidoneità completa a qualsiasi mansione esse “sono
effettuate dai medesimi organi, attraverso un collegio di tre sanitari” (comma
4). Secondo il comma 5, l’interessato può chiedere tramite l’azienda, entro
trenta giorni dalla notifica dell’esito della visita medica un “giudizio di
appello cui è delegata la sede centrale della direzione sanità delle Ferrovie
dello Stato (oggi Rete Ferroviaria Italiana); se l’appello si riferisce alla
visita di cui il comma 4, il giudizio viene emesso da un collegio costituito da
tre medici della predetta direzione. L’interessato ha facoltà di farsi assistere
da un medico di propria fiducia, assumendone il relativo onere”.

7. Fermo restando il principio secondo cui
l’accertamento sanitario effettuato dalle strutture sanitarie delle Ferrovie
dello Stato (oggi Rete Ferroviaria Italiana) non è vincolante per il giudice,
la citata giurisprudenza ha però riconosciuto che tale accertamento, pur
consistendo in un giudizio medico-legale reso in ordine all’idoneità fisica e
psicoattitudinale del dipendente da una commissione medica sulla base di comuni
esami clinici e con le indagini speciali eventualmente necessarie, avviene in
un contesto di norme speciali giustificate dalla peculiarità dell’attività dei
trasporti, cogenti per il datore di lavoro, quanto all’organo deputato agli
accertamenti ed alla relativa procedura (da ultimo, Cass. n. 21620 del 2018,
cit.).

8. Ne segue che il datore di lavoro, non potendo
ignorare che l’esito della procedura non è incontrovertibile, nel momento in
cui opta per l’immediato licenziamento del dipendente anziché chiedere, secondo
le normali regole contrattuali, la risoluzione giudiziaria del rapporto di
lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce a suo rischio
(quello che la Corte costituzionale nella sentenza n. 420 del 1998 ha definito
come “rischio d’impresa” che viene oggettivamente a gravare su chi intraprende
una simile attività). D’altra parte, diversamente opinando, il rischio di un
errato accertamento da parte dell’organo amministrativo deputato verrebbe
fatalmente a gravare sul lavoratore, che si troverebbe a subire la risoluzione
del rapporto anche in assenza di una causa giustificativa {ibidem).

9. Ai suesposti principi si era conformato il
Tribunale di Bari con la sentenza di prime cure emessa nella presente procedura
giurisdizionale, decisione con la quale, riconosciuta l’erroneità
dell’accertamento sanitario delle Ferrovie, riduceva al minimo le conseguenze
sul piano risarcitorio, condannando l’azienda datrice di lavoro, alla quale il
licenziamento non era imputabile a titolo di dolo o colpa, al pagamento in
favore del lavoratore di un’indennità risarcitoria nella misura di cinque
mensilità della retribuzione globale di fatto.

10. La Corte territoriale, invece, ha considerato
che l’azienda datrice di lavoro non poteva considerarsi esente da responsabilità,
per cui doveva farsi ricorso alla tutela risarcitoria piena, perché, pur
dovendo essa, secondo il citato D.M., avvalersi “prioritariamente” della
Direzione Sanitaria delle Ferrovie dello Stato (oggi Rete Ferroviaria
Italiana), “all’occorrenza poteva avvalersi di ulteriori accertamenti sanitari
da parte del Servizio Sanitario Nazionale”, come si è detto, considerando poi
che fattispecie avrebbero imposto all’azienda datrice di lavoro accertamenti.

11. In questo modo, però, la Corte territoriale ha
misconosciuto il carattere cogente – nella fase amministrativa – per l’impresa
datrice di lavoro degli accertamenti sanitari delle Ferrovie dello Stato.
Carattere cogente, nei detti limiti, che chiaramente emerge dal testo dell’art.
6 del citato D.M., allegato A), specialmente dalla lettura congiunta di tutte
le sue previsioni, espresse nei suoi commi 1, 2, 3, 4 e 5.

12. In particolare, il comma 3 dopo aver previsto
che “Le visite finalizzate all’accertamento della inidoneità completa alle
mansioni proprie della qualifica rivestita sono effettuate dai medesimi organi
di cui ai precedenti commi 1 e 2.”, stabilisce che “A seguito di tale giudizio
l’azienda adotta i provvedimenti di competenza”, con linguaggio imperativo che
è perfettamente coerente con la finalità della norma in questione, che
interviene in un settore regolato da norme speciali giustificate dalla
peculiarità dell’attività dei trasporti e dalle sue implicazioni per la
sicurezza. Si tratta quindi di norme poste a protezione di valori anche di
livello costituzionale a tutela della vita e dell’integrità fisica delle
persone. Ancora, il meccanismo di appello posto a disposizione del lavoratore
dal comma 5 del citato art. 6, e non utilizzato nella fattispecie, conferma la
correttezza dell’interpretazione del primo comma della disposizione in discorso
proposta dall’azienda ricorrente, nel senso che con il termine
“prioritariamente” il legislatore secondario ha inteso affermare l’obbligo per
il datore di lavoro di verificare l’idoneità dei propri dipendenti all’esercizio
delle mansioni di guida attraverso il Servizio Sanitario delle Ferrovie dello
Stato (oggi Rete berrò viaria Italiana) tutte le volte in cui ciò sia
possibile, mentre con l’espressione “all’occorrenza”, presente nel secondo
comma, lo stesso legislatore ha inteso prevedere la mera possibilità
dell’utilizzo del Servizio Sanitario Nazionale solo laddove l’ipotesi
prioritaria di cui al primo comma non sia percorribile. Ciò, tenuto conto della
particolare esperienza e specializzazione delle strutture sanitarie delle
Ferrovie dello Stato (oggi Rete Ferroviaria Italiana), in vista della migliore
possibile tutela dei rilevanti interessi pubblici in gioco.

13. E pertinente il richiamo della società
ricorrente alla sentenza della Corte costituzionale n. 176 del 1996 che, nel
valutare la permanenza del compito di valutare la idoneità fisica dei propri
dipendenti in capo al servizio sanitario delle Ferrovie dello Stato
successivamente alla privatizzazione di tale ente e alla sua trasformazione in
società per azioni, e concludendo per la compatibilità con la Costituzione di
tale scelta, ha osservato che la stessa scelta “consente … di mantenere la
continuità di una lunga esperienza e tradizione professionale e tecnica
specifica nel settore dei trasporti, indispensabile per la tutela della
sicurezza (difficilmente ricreabile ex novo o esercitabile dalle altre
strutture sanitarie esistenti, anche se specialiste del lavoro in genere)”.

14. Il Collegio ritiene dunque sia da confermare
l’approdo già raggiunto da questa Corte con la giurisprudenza citata, secondo
cui gli accertamenti sanitari litigiosi avvengono in un contesto di norme
speciali giustificate dalla peculiarità dell’attività dei trasporti, sono
cogenti per il datore di lavoro, quanto all’organo deputato agli accertamenti
ed alla relativa procedura, nella fase amministrativa, fermo restando il
carattere non vincolante di tali accertamenti per il giudice eventualmente
adito.

15. La sentenza impugnata, ritenendo di poter
addossare una responsabilità aggravata alla società ricorrente, al di là del
normale “rischio d’impresa”, per essersi conformata ai risultati dei detti
accertamenti senza svolgerne di ulteriori attraverso il Servizio Sanitario
Nazionale, non si è conformata a tali principi.

16. Le superiori considerazioni conducono
all’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri.

17. La sentenza impugnata deve essere quindi
cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che
si atterrà ai principi di diritto già indicati e provvederà anche sulle spese
del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari, in
diversa composizione, anche per le spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2020, n. 822
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