Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2020, n. 914

Tributi, IRAP, Odontoiatra, Assenza di uno studio
professionale proprio, Esercizio presso strutture di colleghi, con impiego di
strumenti professionali propri indispensabili, Assenza di collaboratori,
Esclusione Irap, Diritto al rimborso

 

Fatti di causa

 

L’odierno ricorrente M.M. svolge l’attività di
odontoiatra. Avendo regolarmente corrisposto l’Irap, per gli anni dal 1998 al
2008, e ritenendo di non esservi tenuto perché professionista privo di autonoma
organizzazione, ha domandato il rimborso di complessivi Euro 28.064,26, oltre
accessori. Ha presentato perciò tre separate istanze di rimborso, negli anni
dal 2002 al 2009. Formatosi il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria
ha proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Udine.
Il contribuente ha riferito di aver svolto la propria attività senza disporre
di un studio proprio e recandosi ad operare presso studi dentistici di
colleghi. Neppure disponeva di beni strumentali eccedenti il minimo necessario
per l’esercizio della professione (autovettura, telefono cellulare, computer,
macchina fotografica, proiettore). Specificava, inoltre, di non aver svolto
alcun ruolo di direzione negli studi professionali presso cui esercitava il suo
lavoro, e di non aver avuto clienti privati. L’Agenzia delle Entrate ha
replicato che rilevanti beni strumentali erano assicurati, per lo svolgimento
dell’attività professionale del contribuente, proprio dagli studi presso cui
operava, di cui utilizzava pure i servizi, avvalendosi della loro
organizzazione; neppure poteva trascurarsi l’ammontare non modesto dei redditi
conseguiti dall’odierno ricorrente.

La CTP disponeva la riunione dei ricorsi e quindi li
rigettava, argomentando che il M. non aveva provato la mancata utilizzazione di
una autonoma organizzazione, e la stessa doveva ritenersi sussistente stanti le
modalità associate di svolgimento del suo lavoro.

Il contribuente impugnava la decisione adottata
dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Trieste,
riproponendo i propri argomenti. L’Agenzia delle Entrate si costituiva e
domandava il rigetto del ricorso. La CTR confermava la decisione di primo
grado, ritenendo dovessero considerarsi “inattendibili e comunque non
supportate da prove convincenti le argomentazioni addotte dall’appellante in
merito all’assenza di un’autonoma organizzazione nello svolgimento della sua
attività professionale di odontoiatra” (sent. CTR, p. 3).

Avverso la decisione adottata dalla Commissione
Tributaria Regionale del Trentino ha proposto ricorso per cassazione M.M.,
affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con
controricorso l’Amministrazione finanziaria.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. – Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai
sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc.
civ., il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997,
in cui è incorsa la CTR per aver erroneamente ritenuto sussistente
l’imprescindibile presupposto dell’applicazione dell’Irap, consistente nel
requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività del professionista.

2.1. – Il ricorrente contesta la valutazione
espressa dalla Commissione Tribunale Regionale, secondo cui egli disponeva di
una autonoma organizzazione dell’attività lavorativa di odontoiatra, perché in
realtà operava senza disporre di “alcuna struttura organizzata complessa,
senza l’apporto di capitali investiti e di lavoro di terzi” (ric., p. 13).
Risulta incontestato che il contribuente non dispone di uno studio
professionale proprio, ed utilizza quelli messi a disposizione da altri
professionisti. Inoltre, non ha mai fatturato prestazioni a privati, ma solo
agli odontoiatri che si avvalgono della sua opera. Secondo il ricorrente, non
sussiste alcuna “attività autonomamente organizzata” riconducibile a
lui, che non ha svolto alcuna funzione di responsabilità presso gli studi ove
ha operato, requisito pur specificamente richiesto dalla Suprema Corte.

Nella complessa materia dell’applicazione dell’Irap
ai liberi professionisti, questa Corte afferma tradizionalmente che “in
tema di IRAP, anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente
orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 156 del 2001, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce
il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti
o professioni indicati dall’art. 49,
comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i casi di
soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità ed interesse, non dev’essere intesa in senso soggettivo, come
autoorganizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di
subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno
alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione
di beni strumentali e/o di lavoro altrui. Essa è riscontrabile ogni qual volta
il professionista si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, o
impieghi nell’organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore,
il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio
dell’attività”, Cass. sez. V, sent.
16.2.2007, n. 3673.

Il Giudice di legittimità ha poi avuto occasione,
più di recente, anche di precisare che “in tema di IRAP, a norma del
combinato disposto degli artt. 2,
comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997,
n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma 1, del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto
qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, requisito che
ricorre – e la cui assenza deve essere provata dall’interessato – quando il
contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione,
e, dunque, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità ed interesse, ovvero impieghi beni strumentali eccedenti, secondo
l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività in assenza di organizzazione, o, comunque, si avvalga in modo non
occasionale di lavoro altrui” Cass. sez. V,
28.11.2014, n. 25311, non mancando la Suprema Corte
di precisare, V, 28.11.2014, n. 25311, non mancando ancor più di recente,
che “per la soggezione ad IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo è
necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo
allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo
organizzativo”, Cass. sez. VI-V, 16.2.2017,
n. 4080, aggiungendosi, da ultimo, che “in tema di IRAP, la
sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione determina
l’assoggettamento del lavoratore autonomo (nella specie, medico convenzionato
con il servizio sanitario nazionale) all’imposta, indipendentemente dai
riflessi immediati che la stessa cagiona sull’entità del suo reddito, dovendo
il giudice del merito accertare, in concreto, i presupposti della fattispecie
impositiva, in considerazione della eventuale eccedenza, rispetto al minimo
indispensabile per l’esercizio della professione, della dotazione dei mezzi
strumentali a disposizione del professionista e delle specifiche modalità
qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui egli si
avvale”, Cass. sez. V, 27.6.2019, n. 17245. Nel caso di specie risulta
incontestato che il ricorrente non dispone di uno studio professionale proprio
ed opera presso le strutture di colleghi, servendosi degli strumenti
professionali propri indispensabili. Appare incontestato pure che negli studi
dentistici presso cui presta la propria opera non svolge alcuna mansione
dirigenziale né organizzativa, o comunque di responsabilità. Neppure si avvale
di collaboratori propri.

Occorre allora ricordare ancora che questa Corte ha
pure avuto modo di chiarire che “in tema di IRAP, la circostanza che il
professionista operi presso due o più strutture materiali non è sufficiente a
configurare un’autonoma organizzazione, se tali strutture siano semplicemente
strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività
professionale”, Cass. sez. VI-V, 22.12.2016,
n. 26651.

Il ricorso risulta pertanto fondato e deve perciò
essere accolto.

Rilevato che non appaiono necessari ulteriori
accertamenti di fatto, e tenuto conto del disposto di cui all’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., la causa
può essere decisa nel merito, conseguendone l’accoglimento della richiesta di
rimborso proposta dal contribuente.

Le spese di lite, in considerazione della
complessità della materia trattata e delle oscillazioni giurisprudenziali
registratesi in merito nel passato, possono essere dichiarate compensate tra le
parti in relazione all’intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso proposto dal M. Massimo, cassa
la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo
del contribuente.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese di
lite dell’intero giudizio.

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