Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2020, n. 985

Procedura di mobilità, Licenziamento, Procedura, Accordo
sindacale, Criteri di scelta, Requisiti pensionistici

Rilevato che

 

1. In data 26.5.2015 la U. A. spa intimava, con
effetto immediato, a N. M. e R. L., il licenziamento all’esito della procedura
di mobilità che aveva interessato l’azienda.

2. Le lavoratrici presentavano ricorso ex art. 1 comma 48 della legge n. 92 del
2012 innanzi al Tribunale di Bologna deducendo, come si legge nella
sentenza oggi gravata, l’illegittimità del recesso collettivo perché: a)
l’accordo sindacale, stipulato all’interno della procedura prevista e
disciplinata dalla legge n. 223 del 1991,
doveva ritenersi alle stesse inopponibili; b) non vi era correlazione tra la
ragione degli esuberi (relativi al settore amministrazione e/o liquidazione
sinistri) ed il criterio pattizio individuato (diritto alla pensione anticipata
o di vecchiaia) in quanto la loro attività era relativa a diversi settori.

3. L’adito giudice, nel contraddittorio tra le
parti, sia in fase sommaria che all’esito della fase di cognizione ordinaria
instaurata a seguito di opposizione, respingeva le domande delle ricorrenti.

4. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza
n. 433/2018, respingeva il reclamo principale proposto da N. M. e R. L. nonché
quello incidentale formulato da U. A. spa.

5. I giudici di seconde cure, a fondamento della
decisione, precisavano che: 1) l’accordo sindacale sub-iudice aveva natura
gestionale e, delimitando l’esercizio di poteri datoriali propri, doveva
ritenersi efficace erga omnes; 2) erano coerenti con i principi affermati in
sede di legittimità in tema di licenziamento collettivo, le affermazioni del
Tribunale circa la inapplicabilità dell’onere di repechage, con riguardo alla
procedura di mobilità, e in ordine alla legittimità del criterio di natura
oggettiva (e quindi discriminatorio) del possesso dei requisiti pensionistici
al fine della individuazione dei lavoratori da licenziare in tutta la compagine
aziendale e, quindi, a maggior ragione nell’ambito di n diverso ufficio della
medesima unità produttiva; 3) l’eccezione di inammissibilità della domanda,
perché proposta solo in fase di opposizione, della

doglianza relativa alla presunta violazione dei
criteri di scelta, era infondata stante la natura bifasica del giudizio di
primo grado disciplinato dalla Legge cd. Fornero; 4) la censura, però, relativa
alla violazione dei criteri di scelta non era meritevole di accoglimento
perché, da un lato, il criterio pattiziamente convenuto escludeva dal novero
dei recedibili pensionati con trattamenti netti inferiori a 1.500,00 euro o con
una anzianità assicurativa inferiore ad anni 35: e di ciò non era stata fornita
prova; dall’altro, che la violazione poteva essere rilevante relativamente a
prestatori addetti alla relativa articolazione, ma non alle reclamanti
individuate sulla base del numero (tre) dei profili di appartenenza ritenuti
eccedenti quanto alla sede di Bologna.

6. Avverso la sentenza di secondo grado hanno
proposto ricorso per cassazione N. M. e R. L., affidato a due motivi.

7. Ha resistito con controricorso la U. A. spa,
illustrato con memoria.

8. Le ricorrenti hanno depositato, in cancelleria,
atto di rinuncia al ricorso in cassazione, sottoscritto dalla società e dal suo
Difensore.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., le ricorrenti denunziano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 3 della legge n. 223
del 1991 e delle norme cui lo stesso rinvia ovvero dell’art. 18 comma 7 (e comma 5 cui a
sua volta si rinvia) della legge n. 300 del 1970, in relazione alla
illegittimità del licenziamento collettivo per violazione delle procedure.
Deducono che, nel caso di specie, i recessi -in violazione della comunicazione
preventiva del 4.3.2015 e in assenza di ogni precisazione nell’Accordo
sindacale del 16.4.2015- erano stati individuati non nel settore in crisi della
“Liquidazione territoriale danni” bensì nell’intero complesso
aziendale e, peraltro, on applicando i criteri legali bensì quello della pensionabilità,
determinando in tal modo una mancanza di collegamento tra motivazioni e
criterio, tale da viziare in modo illegittimo il progetto decisionale.
Sostengono, quindi, l’erroneità della statuizione della Corte territoriale che
aveva affermato che il criterio del pensionamento era comunque legittimo e che
la sua estensione anche ai rami produttivi aziendali non in crisi era lecita
per la fungibilità dei profili professionali coinvolti.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 5
co. 3 della legge n. 223 del 1991 e delle norme cui lo stesso rinvia ovvero
dell’art. 18 comma 4 della
legge n. 300 del 1970, in relazione all’illegittimità del licenziamento
collettivo per violazione dei criteri di scelta, per avere erroneamente
ritenuto la Corte di merito di non dovere dare rilevanza alla deposizione del
teste Candido, asserendo che non vi sarebbe stata in atti né prova né
allegazione che lo stesso fosse in possesso dei requisiti di licenziabilità,
quando, invece, in atti era stata depositata documentazione dalla quale
risultava che il teste sarebbe dovuto essere tra i destinatari del
licenziamento collettivo; si rileva che, in ogni caso, l’Azienda avrebbe dovuto
verificare con certezza la situazione previdenziale di tutti i dipendenti ed
applicare correttamente il criterio di scelta stabilito.

3. Ciò premesso, rileva il Collegio che è’ stato,
nelle more, come specificato nello storico della lite, depositato atto di
rinunzia, da parte di N. M. e di R. L., al ricorso di cui si controverte, in
cui si dava atto che le parti avevano conciliato la controversia dinnanzi alla
Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro di Bologna in data
5.9.2019.

4. Alla rinuncia, sottoscritta anche dai relativi
Difensori, aderiva anche la società.

5. Sussistono, pertanto, le condizioni previste
dall’art. 390 c.p.c. perché venga dichiarata
l’estinzione del giudizio, nulla disponendo in ordine alle spese processuali ex
art. 391 comma quarto c.p.c..

6. Non sussistono, invece, i presupposti processuali
per la condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, per il ricorrente, atteso che il DPR n. 115/2002, art. 13, comma 1
quater, fa riferimento ai soli esiti di rigetto o inammissibilità, non anche a
quello di estinzione (Cass. n. 3688/2016; n. 23175/2015).

 

P.Q.M.

 

Dichiara estinto il processo.

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