Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2020, n. 980

Licenziamento per giusta causa, Contestazione disciplinare,
Diritto di difesa e obbligo di audizione, Abuso della posizione gerarchica
sovraordinata, Carte prepagate emesse in violazione della procedura interna

Fatti di causa

 

Con sentenza in data 10 aprile 2018, la Corte
d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da A. J. (dipendente dal
1983 di P. I. s.p.a., che dal novembre 1999 al luglio 2014 era stato assegnato
al servizio commerciale prima come coordinatore e poi responsabile della
filiale di Bologna 1, quindi direttore dell’ufficio postale Bologna Ponente dal
14 luglio 2014) avverso la sentenza di primo grado, che, in accoglimento
dell’opposizione datoriale avverso l’ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49 I. 92/2012, accertava la
legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 28 settembre
2015, rigettando l’impugnazione del lavoratore e le sue conseguenti domande di
condanna reintegratoria e risarcitoria.

A motivo della decisione, la Corte territoriale
escludeva la tardività della contestazione disciplinare (con lettera del 3
agosto 2015), in applicazione del principio di “immediatezza
relativa”, tenuto conto della delicatezza e complessità degli accertamenti
e dell’arco temporale (tra il 28 dicembre 2012 e il 16 ottobre 2014) di
emissione di carte prepagate Postpay, alla luce della tempistica osservata
dalla società datrice in relazione alla conoscenza avuta della perquisizione
domiciliare del 6 febbraio 2015 nel procedimento penale a carico di A. J.; ed
essa negava pure la violazione del suo diritto di difesa per la mancata
audizione personale richiesta, a causa di assenza per malattia nelle due date
fissategli, senza che peraltro il lavoratore comunicasse ulteriori
giustificazioni scritte, sebbene a ciò invitato dalla società datrice. Nel
merito, la Corte felsinea accertava siccome provato, in esito ad attento e
argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, l’addebito disciplinare
contestato di abuso della posizione gerarchica sovraordinata nell’induzione di
alcuni colleghi, quanto meno dal 14 luglio 2014 in quanto direttore
dell’ufficio postale Bologna Ponente, all’attivazione di sette (delle
cinquanta) carte prepagate Postpay, tutte rinvenute nella perquisizione
domiciliare ed emesse in violazione della procedura interna, in particolare in
assenza degli intestatari o comunque senza la loro volontà. Essa riteneva tale
comportamento, di grave inadempimento agli obblighi contrattuali, in contrasto
con il codice etico aziendale e integrante il reato di uso indebito di carta di
pagamento o di credito senza esserne titolare (art. 55, nono comma d.lg. 231/2007)

nei confronti di A. S. (che aveva poi rimesso la
querela), in violazione dell’art. 52 e, per assimilazione, di alcune ipotesi
dell’art. 54 (lett. a, c, k) CCNL Poste, così da costituire giusta causa di
licenziamento.

Con atto notificato il 6 giugno 2016, il lavoratore
ricorreva per cassazione avverso tale sentenza con diciannove motivi, cui
resisteva la società con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria
ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullità
della sentenza per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2119 c.c.,
per la ritenuta irrilevanza della presenza dei soggetti titolari delle carte
prepagate Postpay nei locali dell’ufficio postale, ma non allo sportello per
consentire all’addetto la loro identificazione prima dell’attivazione, invece
avvenuta (in quanto fase diversa da questa) davanti allo stesso lavoratore,
quale direttore dell’ufficio a ciò legittimato, in conformità delle
disposizioni del Manuale Operativo e della normativa di legge, prescrittiva
dell’identificazione e della verifica dell’identità del cliente prima
dell’instaurazione del rapporto continuativo (quale è quello in oggetto) o
dell’esecuzione dell’operazione, comportante errore di percezione del contenuto
oggettivo della prova.

2. Con il secondo, egli deduce omesso esame di un
fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quali le disposizioni di
Banca d’Italia attuative del d.lg. 231/2007
(in ordine all’identificazione del titolare di un rapporto senza necessità
della sua presenza fisica) e l’interpretazione del contenuto del manuale
operativo.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
18, 19, 28, 29, 30 d. Ig.
231/2007 e relative disp. att. Banca d’Italia (G.U. S.G. n. 105 del 7
maggio 2013 S.O. n. 35), art. 9, primo comma
Direttiva Parlamento Europeo 2005/60/CE, per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto irregolare la mancata identificazione, intesa come
presenza fisica, dei titolari delle carte prepagate Postpay da parte
dell’addetto allo sportello all’atto della loro attivazione, essendo invece
essa avvenuta prima, per la presenza dei predetti in altro locale dell’ufficio
davanti al direttore, secondo la regolare procedura (articolata nelle due
distinte fasi di identificazione e attivazione) prevista dalle norme
denunciate.

4. Con il quarto, egli deduce violazione degli artt. 1362, 2727, 2697, 2119 c.c., 5 I. 604/1966, per inesistenza
dell’abuso di posizione gerarchica e di induzione da parte del lavoratore, in
assenza di una condotta illecita, esigente oltre a quello della irregolarità
della procedura, un pregiudizio diverso, neppure allegato né dimostrato da
Poste Italiane s.p.a., ribadendo le previsioni legali regolanti
l’identificazione e l’attivazione delle carte prepagate Postpay e l’omessa
considerazione dei poteri di identificazione del direttore dell’ufficio
postale, non avendo la Corte territoriale considerato la questione
interpretativa posta dalla norma interna del manuale operativo, né tanto meno
l’elemento intenzionale nel comportamento dell’agente, riguardante
l’interpretazione della disposizione.

5. Con il quinto, il ricorrente deduce nullità della
sentenza per violazione dell’art. 132, secondo
comma, n. 4 c.p.c., per illogicità manifesta, contraddittorietà e mera
apparenza della motivazione, fondata su dichiarazioni testimoniali in ordine ad
una prassi di attivazione e rilascio di carte prepagate in presenza degli
interessati nell’ufficio postale di Bologna 30, nel quale il lavoratore non aveva
avuto alcuna mansione, dalle quali la Corte aveva inferito l’irrilevanza della
loro presenza nell’ufficio altrove che davanti allo sportello, senza alcuna
specificazione in tale senso, neppure oggetto di addebito.

6. Con il sesto, egli deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 I.
604/1966, 18 I. 300/1970,
2119 c.c., 54 CCNL Poste Italiane 2011, per
insussistenza del fatto contestato, per la conformità a legge della procedura
osservata di identificazione e attivazione delle carte prepagate.

7. Con il settimo, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
18, quarto comma I. 300/1970, come novellato dalla I. 92/2012, 2106,
2727 ss. c.c., 52 – 54 CCNL Poste, per omessa
valutazione della sussistenza di una sanzione conservativa applicabile per le
violazioni ascritte al lavoratore, nel rispetto del criterio di
proporzionalità.

8. Con l’ottavo, egli deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2104, 2119 c.c., 1 I. 604/1966, 18 I. 300/1970, 54 CCNL
Poste, per difetto di prova dell’esistenza, oltre a quello della regolarità del
servizio, di un pregiudizio diverso per Poste quale elemento di fattispecie ben
esemplificato dalla graduazione di sanzioni stabilita dalle parti sociali, a
giustificazione del ricorso alla sanzione espulsiva.

9. Con il nono, il ricorrente deduce nullità della
sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.,
di ultrapetizione della sentenza in merito al ritenuto uso indebito dal
lavoratore della carta prepagata di A. S., non oggetto della contestazione
disciplinare, in cui contenuta la risultanza, nel periodo dal 13 settembre 2013
all’8 novembre 2014 di 24 somministrazioni con somme derivanti dal conto
corrente intestato a “Pallamano 85 Castenaso ASD”, sul quale (oltre
che su altro analogo) egli era legittimato ad operare.

10. Con il decimo, egli deduce nullità della
sentenza per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., per errore di percezione della Corte
territoriale nel ritenere la “prova immaginaria” di 24
“prelevamenti” presso vari ATM da parte del lavoratore, utilizzando
la carta prepagata di A. S. (giocatore nella squadra di pallamano
dell’associazione sportiva del primo), in luogo delle 24 somministrazioni di
denaro (ricariche) contestate, riconosciute legittime dal Manuale Postpay anche
qualora effettuate da un terzo non titolare della carta.

11. Con l’undicesimo, il ricorrente deduce nullità
della sentenza per violazione degli artt. 101,
secondo comma c.p.c., 6 CEDU, 111, secondo comma Cost., per violazione del
principio del contraddittorio nell’avere la Corte territoriale fondato la
decisione (anche) su trasferimenti di denaro o utilizzo di carte prepagate né
contestati, né documentati.

12. Con il dodicesimo, egli deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
7 I. 300/1970, 5 I.
604/1966, 24 Cost., 2119 c.c., per il rilievo d’ufficio dalla Corte
territoriale dell’uso indebito da parte di A. J. della carta prepagata di A.
S., nell’inosservanza dell’onere di prova datoriale e del diritto di difesa del
lavoratore.

13. Con il tredicesimo, il ricorrente deduce nullità
della sentenza per violazione degli artt. 132,
secondo comma, n. 4 c.p.c., 24 e 111 Cost., per contraddittorietà e illogicità
manifesta della motivazione nella sostituzione alla contestata utilizzazione
della carta prepagata intestata ad A. S. per 24 somministrazioni di denaro
(ossia di ricariche attinte dal conto corrente intestato ad associazione
sportiva di J.) quella per 24 prelievi con la stessa, non oggetto di
contestazione né di documentazione.

14. Con il quattordicesimo, egli deduce nullità
della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo
comma, n. 4 c.p.c., per manifesta e irriducibile contraddittorietà della
motivazione nell’avere qualificato come “indebitamente” ottenuto dal
lavoratore il rilascio delle carte Postpay intestate a soggetti diversi da A.
S., dando poi atto della conoscenza della loro emissione e così pure, in
riferimento alla posizione di quest’ultimo, l’utilizzo di carta prepagata
attivata dall’ufficio postale di Bologna 30, di cui era esclusa la
falsificazione.

15. Con il quindicesimo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,
2727 ss. c.c., 7 e 18 I. 300/1970, 55 d.lg. 231/2007, per assenza
di gravità, precisione e concordanza dei fatti presuntivi ritenuti dalla Corte
territoriale prova dell’uso indebito della carta prepagata intestata ad A. S..

16. Con il sedicesimo, egli deduce nullità della
sentenza per violazione degli artt. 346, 112 c.p.c., per extrapetizione per avere la Corte
territoriale ritenuto il proprio uso indebito della carta prepagata intestata a
S., non oggetto di contestazione disciplinare come reputato dal Tribunale
“con enunciazione indiretta che sottende all’infondatezza dell’eccezione
di Poste Italiane sull’uso indebito delle carte in quanto non oggetto di
contestazione”, nonostante la mancata espressa riproposizione in appello.

17. Con il diciassettesimo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2119
c.c., 52 – 54 CCNL Poste 2011, per esclusione della giusta causa di
licenziamento in assenza di prova del dolo previsto dalle condotte di abuso,
approfittamento e abuso sanzionate dalle norme contrattuali collettive, non
riducibili alla supposta mera conoscenza della disposizione interna, piuttosto
contando, tra l’altro, l’interpretazione datoriale datane.

18. Con il diciottesimo, egli deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
7, 18 I. 300/1970, 115 c.p.c., per tardività della contestazione,
erroneamente esclusa dalla Corte territoriale, in applicazione del principio di
immediatezza relativa, non giustificabile alla luce della tempestività di
conoscenza dei risultati degli accertamenti, né complessi né delicati.

19. Con il diciannovesimo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 55 CCNL Poste Italiane 2011, 7 I. 300/1970, 2119 c.c., per lesione del diritto di difesa, non
essendo stato sentito personalmente, nonostante la propria espressa richiesta,
a causa dello stato di malattia.

20. Secondo un corretto ordine di pregiudizialità
logico-giuridica, occorre avviare l’esame dal diciottesimo motivo, relativo a
violazione di legge per tardività della contestazione disciplinare.

20.1. Esso è inammissibile.

20.2. Premessa l’individuazione della ratio della
regola di immediatezza della contestazione nella connessione dell’onere di
tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al
dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore,
di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare (Cass. 17 dicembre 2008, n.
29480; Cass. 4 dicembre 2017, n. 28974), essa
deve essere intesa in senso relativo a motivo delle ragioni che possono
cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o
la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), ferma la riserva di
valutazione delle suddette circostanze al giudice del merito, insindacabile in
sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici
(Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 26 giugno 2018,
n. 16841).

20.3. La Corte territoriale ha correttamente
richiamato (dall’ultimo capoverso di pg. 11 al sest’ultimo alinea di pg. 12
della sentenza) e applicato i suenunciati principi di diritto, in esito ad
accertamento in fatto congruamente argomentato (dal sest’ultimo alinea di pg.
12 al quartultimo di pg. 13 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di
legittimità.

21. Il diciannovesimo motivo, relativo a lesione dei
diritto di difesa del lavoratore per mancata audizione personale, è infondato.

21.1. Giova preliminarmente ribadire che, in tema di
procedimento disciplinare a carico del lavoratore, ove quest’ultimo eserciti il
proprio diritto di difesa chiedendo espressamente di essere sentito nei termini
di legge, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua audizione e l’accertamento
che le modalità di convocazione del lavoratore non siano contrarie a buona fede
o alla lealtà contrattuale è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528). Il lavoratore
ha bensì diritto, avendone fatto richiesta, di essere sentito oralmente dal
datore di lavoro, ma non anche, ove il datore a seguito della richiesta lo
abbia convocato per una certa data, a un differimento dell’incontro limitandosi
ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché
l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa
risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass. 31 marzo 2011, n. 7493; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23510).

21.2. Ora, nel caso di specie la Corte territoriale
ha accertato il rispetto del diritto di difesa, in base a ragioni congruamente
argomentate (dall’ultimo capoverso di pg. 13 al primo periodo di pg. 14 della
sentenza), quali l’avere la società datrice fissato una data per l’audizione
personale richiesta dal lavoratore, rinnovandola per la sua mancata
presentazione alla prima a causa per malattia, preavvertendolo della propria
esigenza di esaurire con la seconda data il procedimento disciplinare rispetto
alla previsione della contrattazione collettiva, invitando il lavoratore alla
comunicazione di ulteriori giustificazioni scritte, dal predetto non inoltrate.

21.3. Giova al riguardo osservare come secondo la
giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare, lo
svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo
stato di malattia, configuri violazione degli specifici obblighi contrattuali
di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede,
anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in
relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa
pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. 5 agosto 2014, n. 17625; Cass. 27 aprile
2014, n. 10416; Cass. 19 ottobre 2019, n. 26496); pure configurando
l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela
reintegratoria ai sensi dell’art.
18, quarto comma I. 300/1970, come novellato dalla I. 92/2012 (in quanto comprensiva anche del fatto
sussistente ma privo del carattere di illiceità), l’ipotesi del dipendente che,
durante il periodo di assenza per malattia, svolga un’altra attività
lavorativa, senza che ciò determini, per le sue concrete modalità di
svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia né alcun ritardo
nella ripresa del lavoro (Cass. 5 dicembre 2017,
n. 29062; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655).
Da un tale insegnamento, pure consolidato, si evince allora come lo stato di
malattia non integri, di per sé solo, un’impossibilità assoluta del lavoratore,
che versi in esso, ad allontanarsi da casa, potendo anzi svolgere persino una
diversa attività lavorativa, purché non comportante rischi di aggravamento
della patologia né ritardi nella ripresa del lavoro, così pregiudicandone o
ritardandone la guarigione o il rientro in servizio. Sicché, la mera allegazione,
ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di
per sé sola sufficiente a giustificare l’impossibilità del lavoratore di
presenziare all’audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la
natura ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così
che il suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca
effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.

Né infine, può essere sottaciuto il comportamento di
correttezza e buona fede della società datrice, che ha preavvertito il
lavoratore della propria indisponibilità a concedere, in caso di sua nuova
impossibilità a presenziare, una terza data (pure invitandolo a comunicare
giustificazioni scritte), per non incorrere in decadenza, per tardività del
provvedimento di recesso, sulla base della previsione contrattuale collettiva
(art. 55 CCNL per il personale non dirigente Poste Italiane, applicabile
ratione temporis, di previsione della comunicazione del provvedimento entro il
termine di trenta giorni da quello di scadenza della presentazione delle
giustificazioni del lavoratore, ritenuto di natura decadenziale e collegato
l’effetto impeditivo della tempestiva comunicazione al suo invio, purché
demandato ad un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento: Cass. 16
luglio 2018, n. 18823).

Poiché nel caso di specie non risulta avere il
ricorrente allegato una condizione di malattia ostativa al proprio
allontanamento da casa, il motivo non può essere accolto, sulla base del
seguente principio di diritto:

“La mera allegazione, da parte del lavoratore,
ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di
per sé sola sufficiente a giustificarne l’impossibilità di presenziare
all’audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la natura
ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così che il
suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca effettiva
esigenza difensiva non altrimenti tutelabile”.

22. Nel merito, i primi cinque motivi sono
congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione rappresentata
dalla convergenza, sotto i profili rispettivamente denunciati, nella
rivendicata regolarità del procedimento di emissione delle carte prepagate
Postpay, quanto a identificazione del titolare e attivazione.

22.1. Essi sono infondati.

22.2. Non è, infatti, configurabile la violazione
delle norme di legge denunciate, in difetto dei requisiti loro propri (Cass. 31
maggio 2006, n. 12984; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 28 febbraio
2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038).

22.3. In particolare non ricorre quella denunciata
con il terzo motivo, soltanto più puntualmente specificata, in riferimento alle
distinte fasi di identificazione e di attivazione della carta prepagata
Postpay.

Come noto, essa integra un rapporto continuativo
comportante obblighi di adeguata verifica e di identificazione della clientela,
secondo il protocollo operativo del Manuale Operativo PostePay. Ebbene, da esso
risulta che l’Operatore UP” incaricato di Poste debba in particolare, dopo
avere presentato le caratteristiche del prodotto e relativi costi, consegnato
al cliente il modulo di richiesta della Carta Postepay ed averlo ritirato
compilato dal cliente, procedere alla sua identificazione (effettuando i debiti
controlli di autenticità, validità e correttezza dei documenti, di controllo
del corretto inserimento dei dati nel modulo e della sua sottoscrizione dal
richiedente). E subito dopo, lo stesso operatore deve prelevare una carta dal
plico contenente le Carte Postpay e registrare l’operazione nella fase CAMA
dell’applicativo SPD (secondo l’analitico procedimento indicato nella relativa
parte del manuale operativo trascritto al quinto foglio inserito tra pg. 21 e 22
del controricorso): così provvedendo alla sua attivazione.

22.4. Tutte le censure sostanzialmente convergono in
una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto
compiuto dalla Corte di merito, sulla base delle scrutinate risultanze
istruttorie e congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal dodicesimo
alinea di pg. 9 al diciannovesimo di pg. 10 della sentenza); sicché, esso è
insindacabile in sede di legittimità.

22.5. Neppure sussiste la nullità della sentenza
variamente denunciata, posto che ricorre qualora essa sia priva
dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (Cass.
10 agosto 2017, n. 19956), ovvero sia totalmente omessa, per materiale
mancanza, la parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per
individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione,
atteso che la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti
rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un
requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della
decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui
assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile
individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione
(Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864; Cass. 20
gennaio 2015, n. 920).

La sentenza è motivata in modo non meramente
apparente, né è viziata di illogicità o contraddittorietà: la censura del vizio
motivo come dedotta non è più configurabile; e neppure lo è il lamentato omesso
esame di un fatto storico, non ravvisabile nella doglianza di mancata
osservanza delle disposizioni di Banca d’Italia attuative del d.lg. 231/2007 (in ordine all’identificazione del
titolare di un rapporto senza necessità della sua presenza fisica) e di
inesatta interpretazione del contenuto del manuale operativo; sicché, le
suddette doglianze certamente non rientrano nell’ambito del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. s.u. 22
settembre 2014 n. 19881; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

23. Il sesto motivo, relativo all’applicazione di
una tutela reintegratoria per insussistenza del fatto contestato, è assorbito
dal rigetto dei precedenti.

24. Il settimo, ottavo e diciassettesimo motivo,
pure congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza,
sotto i profili rispettivamente denunciati, nella censura di inesistenza della
giusta causa come accertata e di non corretta scelta della sanzione, sono
infondati.

24.1. Anche qui la Corte territoriale ha operato un
accertamento in fatto in ordine alla sussistenza della giusta causa, di cui ha
dato conto con una congrua argomentazione (per le ragioni esposte dal secondo
alinea di pg. 10 al diciassettesimo di pg. 11 della sentenza).

24.2. I suddetti motivi non denunciano correttamente
la violazione di legge sotto il profilo della sussunzione. Come ancora
recentemente ribadito da questa Corte (Cass. 10
luglio 2018, n. 18170), essa ricorre quando sia posta una questione,
sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo della falsa
interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd.
“elastica” (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta
causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del
giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data
concretezza ai fini del suo adeguamento a un determinato contesto storico –
sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la
sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della
giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in
relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998,
n. 10514). La Corte di cassazione può sindacare, come noto, l’attività di
integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a
condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di
merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma
contenga, invece, una specifica denuncia di incocrenza del predetto giudizio
rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella
realtà sociale (Cass, 26 aprile 2012, n. 6498;
Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

Ed è proprio una tale valutazione, nel merito del
giudizio di fatto, che viene contestata dal ricorrente, che nella sostante
sollecita un riesame del merito non consentito in questa sede.

24.3. Inoltre, occorre riaffermare come il
licenziamento sia stato intimato per giusta causa, che è nozione legale
rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni
disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi,
che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del
giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a
compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite
che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo
costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo
in relazione ad una determinata infrazione (Cass. 24 ottobre 2018, n. 27004; Cass. 16 luglio 2019, n. 19023).

Ma ciò non si verifica nel caso di specie, avendo la
Corte territoriale ritenuto “la fattispecie accertata assimilabile ad
alcune delle ipotesi previste dall’art. 54 CCNL, specificamente lettera
k)” sanzionata con il licenziamento senza preavviso “quanto alla
condotta complessiva che integra gli estremi di quei fatti dolosi compiuti in
connessione con il rapporto di lavoro anche nei confronti di terzi di gravità
tale da essere sanzionati penalmente e precludere, quindi, la prosecuzione del
rapporto di lavoro” (così al secondo e terzo alinea e ancora dal settimo
al decimo di pg. 11 della sentenza).

24.3. A conclusione del ragionamento, si deve
considerare che la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità
dei fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del
datore nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni
che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da
parte del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e
congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica
motivazione, come appunto nel caso di specie, si sottrae a censure in sede di
legittimità (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018,
n. 23046).

25. Il nono e il sedicesimo motivo, congiuntamente
esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza, sotto i
profili rispettivamente denunciati, della censura nei vizi di ultra e di
extrapetizione della sentenza in merito al ritenuto uso indebito dal lavoratore
della carta prepagata di A. S., sono pure infondati.

25.1. I vizi dedotti non sussistono, ricorrendo
quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione
(petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto
(petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello
conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o
delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 gennaio 2011, n. 455;
Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo
2019, n. 8048). Ed infatti, la pronuncia resa corrisponde alla devoluzione
della società datrice di una contestazione comprensiva della condotta in
questione (come dalla relativa lettera del 23 luglio 2015 trascritta, per la
parte d’interesse, al terzultimo capoverso di pg. 12 del controricorso),
qualificata dalla Corte felsinea, con più sintetica e generica locuzione, come
uso indebito della carta.

25.2. Infine, il secondo motivo scrutinato
(sedicesimo) difetta di specificità, in assenza della trascrizione della
memoria di costituzione in appello di Poste Italiane s.p.a., quanto meno in
parte qua, (Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 4 marzo 2014, n. 4980; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784) in ordine alla
denunciata omessa riproposizione, ai sensi dell’art.
346 c.p.c., dell’uso indebito dal lavoratore della carta prepagata
intestata a S..

26. Anche i motivi dal decimo al tredicesimo sono
congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione per la convergenza,
sotto i profili rispettivamente denunciati, nella censura relativa ai
prelevamenti del lavoratore utilizzando la carta prepagata di A. S..

26.1. Essi sono infondati.

26.2. Non sussiste la violazione delle norme di
legge censurate, in difetto dei requisiti prescritti (Cass. 16 gennaio 2007, n.
828; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass, 15 gennaio 2015, n. 635).

In particolare, essa deve essere esclusa per gli artt. 115 e 116 c.p.c.:
posto che, in riferimento all’art. 115 c.p.c.,
l’errore di percezione deve vertere sulla ricognizione del contenuto oggettivo
della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove
reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017,
n. 9356); e che una pertinente denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio
della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea
ad integrare il vizio di error in procedendo, solo quando il giudice di merito
disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista,
ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza
probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

Ma neppure ricorre violazione del principio del
contraddittorio, quale error in procedendo, avendo la Corte territoriale
accertato, in base a prova per documenti (al primo capoverso, sub punto 3 delle
circostanze di fatto, di pg. 9 della sentenza), i prelevamenti presso vari ATM
con uso indebito da parte di A. J. della carta prepagata di A. S., oggetto di
specifica contestazione (come da lettera di contestazione trascritta, per la parte
d’interesse, al penultimo capoverso di pg. 10 del controricorso), così come
quelli mediante altre carte prepagate (nella trascrizione della lettera di
contestazione, per la parte d’interesse, al terzultimo capoverso di pg. 12 del
controricorso)

26.3. Appare poi al limite della pretestuosità la
prospettata confusione tra l’ somministrazioni di denaro (ossia di ricariche
delle carte prepagate attinte dal conto corrente intestato ad associazione
sportiva partecipata da J.) e prelevamenti, (avendo la Corte territoriale
indicato questi ultimi quale utilizzazione delle ripetute ricariche delle carte
prepagate, secondo la chiara e specifica contestazione di addebito (sul punto
trascritta all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): con il conseguente
difetto di alcuna denunciata nullità della sentenza per contraddittorietà e
illogicità manifesta della motivazione.

27. Il quattordicesimo motivo, relativo a nullità
della sentenza per manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione
per la qualificazione come indebiti del rilascio di carte Postpay intestate a
soggetti diversi da A. S. e l’utilizzo della sua attivata dall’ufficio postale
di Bologna 30, è parimenti infondato.

27.1. Il lavoratore difetta di interesse per la
parte relativa a carte prepagate, in ordine alle quali la Corte ha negato
essere dimostrata la sussistenza di un addebito disciplinare.

Né sussiste alcuna contraddittorietà a riguardo
della carta intestata ad A. S., per l’evidente differenza tra gli addebiti di
abusiva richiesta di attivazione di una carta prepagata e invece di sua
falsificazione: sicché non si configura la nullità denunciata.

28. Infine, il quindicesimo motivo, relativo a
violazione di norme di legge in ordine alla prova dell’uso indebito dal
lavoratore della carta prepagata intestata ad A. S., è inammissibile.

28.1. Ancora una volta non ricorre la violazione
delle norme di legge denunciata, per le ragioni ripetutamente indicate per
relationem al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, quanto
piuttosto una contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte di
merito, congruamente argomentata (per le ragioni esposte al primo capoverso, in
riferimento alle circostanze enumerate da 1 a 4 di pg. 9 della sentenza),
pertanto insindacabile in sede di legittimità.

29. Dalle superiori argomentazioni discende il
rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il
regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante
nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di
Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2020, n. 980
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