Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 gennaio 2020, n. 1559

Gestione commercianti, Figlio coadiutore, Compensi
assoggettati a contribuzione presso la Gestione separata, Principio della
doppia iscrizione

 

Rilevato in fatto

 

che, con sentenza depositata il 14.11.2013, la Corte
d’appello di Trento ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
dichiarato sussistente l’obbligo di F. C. L. di assicurare presso la Gestione
commercianti i propri figli F. e F. C. L., siccome coadiutori dell’azienda L.
s.r.l. di cui egli è socio e gestore, benché essi fossero semplici consiglieri
di amministrazione della società e i loro compensi fossero stati assoggettati a
contribuzione presso la Gestione separata; che avverso tale pronuncia F. C. L.
ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura;

che l’INPS ha resistito con controricorso;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia
violazione degli artt. 1 e 2,
I. n. 613/1966, e 1, comma
203, I. n. 662/1996, per avere la Corte di merito ritenuto che i suoi figli
potessero essere iscritti alla Gestione commercianti pur non essendo soci di L.
s.r.l. e che l’obbligo contributivo gravasse direttamente su di lui, invece che
sull’azienda; che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione
dell’art. 1, comma 206, I. n.
662/1996, per avere la Corte territoriale ritenuto che fosse stata data
prova dello svolgimento di attività commerciale da parte dei suoi figli; che,
con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione
dell’art. 12, comma 11, d.l. n.
78/2010 (conv. con I. n. 122/2010), per
avere la Corte di merito ritenuto possibile la doppia iscrizione dei suoi figli
pur in assenza della qualità di soci di L. s.r.l.;

che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce
l’omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte territoriale reso una
motivazione affatto contraddittoria circa la possibilità di estendere ai non
soci la tutela assicurativa propria della Gestione commercianti;

che il primo, il secondo e il quarto motivo possono
essere trattati congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle
censure svolte, tutte volte ad infirmare l’assunto della sentenza impugnata
secondo cui l’odierno ricorrente sarebbe personalmente tenuto ad assicurare i
propri figli presso la Gestione commercianti in dipendenza della loro qualità
di coadiutori familiari ed a prescindere dalla loro qualità di soci di L.
s.r.l.;

che, al riguardo, va premesso che l’art. 1, comma 203, I. n. 662/1996,
nel disciplinare l’obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti, ha
previsto, tra l’altro, l’obbligatorietà dell’iscrizione alla gestione
commercianti anche per il socio amministratore di società a responsabilità
limitata operante nel settore commerciale allo scopo di evitare che, grazie
allo schermo della struttura societaria, la prestazione di lavoro del socio,
resa nella compagine aziendale, venisse sottratta alla contribuzione
previdenziale, ancorché non si discostasse in punto di fatto da quella prestata
dall’unico titolare della ditta commerciale (così Cass.
n. 20268 del 2012);

che, avuto riguardo alla ratio della disposizione
cit., l’obbligo di iscrizione va ritenuto sussistente non soltanto per i soci
che contribuiscano al lavoro aziendale con la propria partecipazione abituale e
prevalente (nel senso ritenuto da Cass. n. 4440
del 2017 e successive conformi), ma altresì per i loro parenti e affini entro
il terzo grado e i loro familiari coadiutori preposti al punto di vendita,
sempre che partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di
abitualità e prevalenza, dovendosi anche nei confronti di costoro affermare la
medesima esigenza di evitare che, grazie allo schermo della struttura
societaria, la loro prestazione lavorativa venga sottratta alla contribuzione
previdenziale pur non discostandosi, in punto di fatto, da quella prestata dai
parenti, dagli affini e dai familiari coadiutori dell’unico titolare
dell’impresa commerciale; che, una volta che ciò sia acclarato, nessun dubbio
può residuare circa il soggetto obbligato al pagamento della contribuzione, da
identificarsi nella persona fisica obbligata in proprio (rectius quale socio) all’iscrizione
presso la Gestione commercianti, potendosi essere familiare coadiutore di uno o
più soci iscritti, ma non certo di una società (Cass.
n. 7336 del 2017);

che è ormai consolidato il principio secondo cui, in
caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti,
artigiani o coltivatori diretti, che sia contemporaneo all’esercizio di
attività autonoma per la quale è obbligatoria l’iscrizione alla gestione
separata ex art. 2, comma 26, I.
n. 335/1995, l’art. 1, comma
208, I. n. 662/1996, per come autenticamente interpretato dall’art. 12, comma 11, d.l. n. 78/2010
(conv. con I. n. 122/2010), ha posto il
principio della doppia iscrizione, di talché, così come il socio di una società
a responsabilità limitata, che svolge per la società stessa attività di lavoro
autonomo quale collaboratore coordinato e continuativo, è soggetto a
contribuzione presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e
presso la gestione commercianti per il reddito d’impresa (così Cass. S.U. n. 17076 del 2011, cui hanno dato
seguito, tra le tante, Cass. nn. 9803 del 2012 e 5452
del 2017), altrettanto deve logicamente affermarsi per i familiari
coadiutori che esercitino anche attività di lavoro autonomo presso l’azienda,
non potendo confondersi il lavoro in azienda per il quale vale l’obbligo di
assicurazione presso la Gestione commercianti con il lavoro di consigliere di
amministrazione per il quale vale l’obbligo di iscrizione presso la Gestione
separata;

che, conseguentemente, il primo, il terzo e il
quarto motivo di censura si rivelano infondati;

che il secondo motivo è viceversa inammissibile,
pretendendo di veicolare, sub specie di violazione e falsa applicazione delle
disposizioni di legge richiamate nella rubrica, una richiesta di riesame delle
risultanze istruttorie sulla cui scorta i giudici di merito hanno ritenuto
provato che F. e F. C. L. svolgessero attività abituale e prevalente di
coadiutori dell’odierno ricorrente, in spregio al consolidato principio secondo
cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca una
violazione di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei
fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la
surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017); che, conclusivamente, il
ricorso va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del
giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria del
rigetto del ricorso, debbono ritenersi sussistenti i presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
4.200,00, di cui € 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari
al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.

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