Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663

Mansioni di fattorino (cd. riders), Contratti di
collaborazione coordinata e continuativa, Accertamento della natura
subordinata del rapporto di lavoro, Differenze retributive, Retribuzione
stabilita per i dipendenti del 5° livello del CCNL Logistica trasporto merci, Art. 2, D.Lgs. n. 81/2015 (testo
vigente ratione temporis), Modifiche alla disciplina ex D.L. n. 101/2019, non hanno carattere retroattivo
– Tutela prestatori ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti
in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione

Fatti di causa

1. Con ricorso depositato il 10 luglio 2017, M. P.,
G.C., A.A.R., R.L. e V.G. hanno chiesto al Tribunale di Torino l’accertamento
della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la D.S. XXXVI
Italy srl (F.) in liquidazione, lavoro consistente nello svolgimento di
mansioni di fattorino in forza di contratti di collaborazione coordinata e
continuativa (cd. riders), con la conseguente condanna della società convenuta
al pagamento delle differenze retributive maturate, da liquidarsi in separato
giudizio. I ricorrenti hanno inoltre sostenuto di essere stati illegittimamente
licenziati dalla società e hanno chiesto il ripristino del rapporto, nonché la
condanna al risarcimento del danno subito per effetto del licenziamento, e per
violazione dell’art. 2087 cod. civ. Gli stessi
ricorrenti hanno infine lamentato di aver subito un danno non patrimoniale, da
liquidarsi in separato giudizio, per violazione delle norme poste a protezione
dei dati personali.

2. Con sentenza del 7
maggio 2018, n. 778 il Tribunale di Torino ha rigettato tutte le domande.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello i
lavoratori.

4. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 26 depositata il 4 febbraio 2019, in
parziale accoglimento dell’appello, ha negato la configurabilità della
subordinazione e ha ritenuto applicabile al rapporto di lavoro intercorso tra
le parti l’art. 2 del d.lgs. n. 81
del 2015, come richiesto in via subordinata dai lavoratori già in primo
grado; conseguentemente, in applicazione di tale norma ha dichiarato il diritto
degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione
all’attività lavorativa prestata, sulla base della retribuzione stabilita per i
dipendenti del V livello del CCNL logistica trasporto merci, dedotto quanto
percepito; inoltre, ha condannato la società appellata al pagamento delle
differenze retributive così calcolate, oltre accessori.

Ogni altro motivo di appello, tra cui in particolare
quello relativo all’asserita illegittimità dei licenziamenti, è stato respinto,
pur osservandosi da parte della Corte di appello, su quest’ultimo punto, che in
ogni caso non vi era stata un’interruzione dei rapporti di lavoro in essere da
parte della società prima della loro scadenza naturale.

5. Per quanto qui ancora interessa, la Corte
distrettuale ha ritenuto che l’art.
2 del d.lgs. n. 81 del 2015, nel testo applicabile ratione temporis, individui
un “terzo genere”, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro
subordinato cui all’art. 2094 cod. civ. e la
collaborazione coordinata e continuativa come prevista dall’art. 409, n. 3, cod. proc. civ., soluzione voluta
dal legislatore per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di
lavoro che, a seguito dell’evoluzione e della relativa introduzione sempre più
accelerata delle nuove tecnologie, si stanno sviluppando. Il giudice di appello
ha ritenuto esistenti i presupposti per l’applicazione di questa norma, in
particolare la etero-organizzazione dell’attività di collaborazione anche con
riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro e il carattere continuativo della
prestazione.

6. Avverso la citata sentenza della Corte di appello
di Torino ha proposto ricorso per cassazione la F.D. s.r.I., quale incorporante
della D.S. XXXVI Italy s.r.l. in liquidazione. Il ricorso è stato affidato a
quattro motivi, illustrati da memoria. I lavoratori hanno resistito con
controricorso.

7. Successivamente al deposito del ricorso è stato
pubblicato il decreto legge n. 101 del 2019
recante, fra l’altro, modifiche all’art.
2 d.lgs. n. 81 del 2015. Ciò ha suggerito il rinvio a nuovo ruolo della
causa originariamente fissata per l’udienza del 22 ottobre 2019, in attesa
della conversione in legge del suddetto decreto, avvenuto con legge n. 128 del 2019.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la
ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 del d. Igs. n. 81 del 2015
in relazione agli art. 2094 cod. civ. e 409, n. 3, cod. proc. civ., nonché dell’art. 12 disp. prel. cod. civ.

2. Secondo la ricorrente, l’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015
non ha introdotto, come invece ritenuto dalla Corte d’appello, un tertium genus
di lavoro, non riconducibile né al lavoro coordinato senza subordinazione
(previsto dall’art. 409, n. 3, cod. proc. civ.)
né alla subordinazione in senso proprio (art. 2094
cod. civ.). Secondo la ricorrente, la etero-organizzazione è già un tratto tipico
della subordinazione disciplinata nell’art. 2094
cod. civ., con la conseguenza che l’art. 2 cit., nel porla in
esponente, non aggiungerebbe nulla alla ricostruzione della nozione sin qui
compiuta dalla giurisprudenza, presentandosi come una sorta di norma apparente,
inidonea a produrre autonomi effetti giuridici (tesi accolta dalla decisione di
primo grado).

3. La Corte d’appello avrebbe inoltre commesso un
altro grave errore di diritto, laddove essa ha affermato che la
etero-organizzazione disciplinata dall’art. 2 in discorso consisterebbe
nel potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione e cioè la
possibilità di stabilire i tempi e i luoghi della prestazione. In tal modo,
secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe trascurato che l’art. 2 richiede, ai fini della
sua applicazione, che le modalità di esecuzione della prestazione siano
organizzate dal committente “anche con riferimento ai tempi e al luogo di
lavoro”. La parola “anche” del testo normativo dimostrerebbe che
le tutele del lavoro subordinato garantite dall’art. 2 richiedono non una
semplice etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in
termini di mera “possibilità”, ma “una ingerenza più pregnante
nello svolgimento della collaborazione, eccedente quindi tale etero-determinazione”
(pag. 19 del ricorso).

4. Il motivo è infondato.

5. Il comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015,
sotto la rubrica “Collaborazioni organizzate dal committente”, così
recita: “1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del
rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si
concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le
cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.”

6. Sul testo dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015
e, più in generale, sul lavoro attraverso piattaforme Digitali, in specie sui
riders, è intervenuto il decreto legge 3 settembre
2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella legge 2 novembre 2019, n. 128. Le modifiche alla
disciplina in discorso non hanno carattere retroattivo, per cui alla
fattispecie in esame deve applicarsi il suddetto articolo 2 nel testo previgente
al citato recente intervento legislativo. Quest’ultimo, in particolare, quanto
al primo periodo del primo comma dell’art. 2 in discorso, sostituisce
la parola «esclusivamente» con «prevalentemente» e sopprime le parole «anche
con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Inoltre, la novella aggiunge,
dopo il primo periodo, il seguente testo: «Le disposizioni di cui al presente
comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione
siano organizzate mediante piattaforme anche Digitali.».

7. Prima di procedere all’analisi della censura,
conviene ricordare sinteticamente il regolamento contrattuale della
fattispecie, concluso sotto forma di contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, e le modalità delle prestazioni litigiose, per come tali elementi
sono stati ricostruiti dalla Corte territoriale, che richiama la sentenza di
primo grado, e ripercorrere brevemente l’iter logico-giuridico seguito dalla
sentenza impugnata per giungere alle conclusioni oggi criticate con il ricorso.

8. Secondo la ricostruzione della Corte territoriale,
che ha fatto propria quella del giudice di prime cure, la prestazione
lavorativa dei ricorrenti si è svolta a grandi linee nel modo seguente: dopo
avere compilato un formulario sul sito di F. i controricorrenti venivano
convocati in piccoli gruppi presso l’ufficio di Torino per un primo colloquio
nel quale veniva loro spiegato che l’attività presupponeva il possesso di una
bicicletta e la disponibilità di un telefono cellulare con funzionalità
avanzate (smartphone); in un secondo momento veniva loro proposta la
sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e,
dietro versamento di una caparra di euro 50, venivano loro consegnati gli
indumenti di lavoro ed i dispositivi di sicurezza  (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura
per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box).

9. Il contratto che veniva sottoscritto, cui era
allegato un foglio contenente l’informativa sul trattamento dei dati personali
e la prestazione del consenso, aveva le seguenti caratteristiche: si trattava
di un contratto di “collaborazione coordinata e continuativa”;

era previsto che il lavoratore fosse “libero di
candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie
disponibilità ed esigenze di vita”;

il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne
avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di tutti i
requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”;

era previsto che il collaboratore avrebbe agito
“in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di
subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza
o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”, ma era
tuttavia “fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività
della stessa committente”;

era prevista la possibilità di recedere liberamente
dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con comunicazione scritta
da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di anticipo;

il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si
impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario
indicato per il ritiro del cibo, con la comminatoria a suo carico di una penale
di 15 euro;

il compenso era stabilito in euro 5,60 al lordo
delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità;

il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare
all’INPS “domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8
agosto 1995 n. 335” e la committente doveva provvedere a versare il
relativo contributo;

la committente doveva provvedere all’iscrizione del
collaboratore all’INAIL ai sensi dell’art.
5 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38; il premio era a carico del
collaboratore per un terzo e della committente per due terzi;

– la committente – come accennato – doveva affidare
al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista, un giubbotto e un
bauletto dotato dei segni distintivi dell’azienda a fronte del versamento di
una cauzione di euro 50.

10. Quanto alle modalità di esecuzione delle
prestazioni litigiose, la gestione del rapporto avveniva attraverso la
piattaforma multimediale “S. e un applicativo per smartphone (inizialmente
“U.N.” e successivamente “H.”), per il cui uso venivano
fornite da F. apposite istruzioni. L’azienda pubblicava settimanalmente su S.
le fasce orarie (slot) con l’indicazione del numero di riders necessari per
coprire ciascun turno. Ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per
le varie fasce orarie in base alle proprie esigenze personali, ma non era
obbligato a farlo. Raccolte le disponibilità, il responsabile della
“flotta” confermava tramite S. ai singoli riders l’assegnazione del
turno. Ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all’orario
di inizio di quest’ultimo in una delle tre zone di partenza predefinite (Piazza
Vittorio Veneto, Piazza Carlo Felice o Piazza Bernini), attivare l’applicativo
H. inserendo le credenziali (nome dell’utilizzatore, user name, e parola
d’ordine, password) per effettuare l’accesso (login) e avviare la
geolocalizzazione (GPS). Il rider riceveva quindi sull’applicazione la notifica
dell’ordine con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante. Accettato l’ordine,
il rider doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in
consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare
tramite l’apposito comando dell’applicazione il buon esito della verifica. A
questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a
consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato
tramite l’applicazione, e doveva quindi confermare di avere regolarmente
effettuato la consegna.

11. Non ignora la Corte il vivace dibattito
dottrinale che ha accompagnato l’entrata in vigore e i primi anni di vita dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del
2015 – dibattito che non si è esaurito e che certamente proseguirà alla
luce delle novità portate dal recente intervento legislativo che si è ricordato
– e nell’ambito del quale sono state proposte le soluzioni interpretative più
varie, soluzioni che possono schematicamente e senza alcuna pretesa di
esaustività così evocarsi:

a) una prima via, che segue inevitabilmente il
metodo qualificatorio, preferibilmente nella sua versione tipologica, è quella
di riconoscere alle prestazioni rese dai lavoratori delle piattaforme Digitali
i tratti della subordinazione, sia pure ammodernata ed evoluta;

b) una seconda immagina l’esistenza di una nuova
figura intermedia tra subordinazione e autonomia, che sarebbe caratterizzata
dall’eteroorganizzazione e che troverebbe nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del
2015 il paradigma legale (teoria del tertium genus o del lavoro
etero-organizzato);

c) la terza possibilità è quella di entrare nel
mondo del lavoro autonomo, dove tuttavia i modelli interpretativi si
diversificano notevolmente essendo peraltro tutti riconducibili nell’ambito di
una nozione ampia di parasubordinazione;

d) infine, vi è l’approccio “rimediale”,
che rinviene in alcuni indicatori normativi la possibilità di applicare una
tutela “rafforzata” nei confronti di alcune tipologie di lavoratori
(quali quelli delle piattaforme Digitali considerati “deboli”), cui
estendere le tutele dei lavoratori subordinati.

12. La via seguita dalla sentenza impugnata è quella
per cui l’art. 2 del d.lgs. n. 81
del 2015 avrebbe introdotto un tertium genus avente caratteristiche tanto
del lavoro subordinato quanto di quello autonomo, ma contraddistinto da una
propria identità, sia a livello morfologico, che funzionale e regolamentare.

13. La conseguenza più significativa
dell’inquadramento proposto dalla Corte torinese è rappresentata
dall’applicazione delle tutele del lavoro subordinato al rapporto di
collaborazione dei riders. Anche in questo caso, però, la Corte territoriale
non ritiene praticabile un’estensione generalizzata dello statuto della
subordinazione, ma opta per un’applicazione selettiva delle disposizioni per
essa approntate, limitata alle norme riguardanti la sicurezza e l’igiene, la
retribuzione diretta e differita (quindi relativa all’inquadramento
professionale), i limiti di orario, le ferie e la previdenza ma non le norme
sul licenziamento.

14. Contro la sentenza della Corte torinese i
lavoratori non hanno proposto ricorso incidentale, non insistendo così sulla
loro originaria tesi principale, tendente al riconoscimento nella fattispecie
litigiosa di veri e propri rapporti di lavoro subordinato.

15. Venendo ora all’esame del motivo, sotto il primo
profilo la doglianza censura radicalmente l’applicazione alla fattispecie
litigiosa dell’art. 2, comma 1,
d.lgs. n. 81 del 2015 giacché si tratterebbe di norma
“apparente”, incapace come tale di produrre effetti nell’ordinamento
giuridico.

16. Non ritiene la Corte di poter accogliere tale radicale
tesi.

17. Come è stato osservato, i concetti giuridici, in
specie se direttamente promananti dalle norme, sono convenzionali, per cui se
il legislatore ne introduce di nuovi l’interprete non può che aggiornare
l’esegesi a partire da essi, sforzandosi di dare alle norme un senso, al pari
di quanto l’art. 1367 cod. civ. prescrive per
il contratto, stabilendo che, nel dubbio, il contratto o le singole clausole
devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in
quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

18. La norma introdotta nell’ordinamento nel 2015 va
contestualizzata.

Essa si inserisce in una serie di interventi
normativi con i quali il legislatore ha cercato di far fronte, approntando
discipline il più possibile adeguate, alle profonde e rapide trasformazioni
conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per effetto delle
innovazioni tecnologiche, trasformazioni che hanno inciso profondamente sui
tradizionali rapporti economici.

19. In attuazione della delega di cui alla legge n. 183 del 2014, cui sono seguiti i decreti
delegati dei quali fa parte il d.lgs. n. 81 del
2015, e che vanno sotto il nome di Jobs Act, il legislatore delegato, nel
citato d.lgs., dopo aver indicato nel lavoro subordinato a tempo indeterminato
il modello di riferimento nella gestione dei rapporti di lavoro, ha infatti
affrontato il tema del lavoro “flessibile” inteso come tale in relazione
alla durata della prestazione (part-time e lavoro intermittente o a chiamata),
alla durata del vincolo contrattuale (lavoro a termine), alla presenza di un
intermediario (lavoro in somministrazione), al contenuto anche formativo
dell’obbligo contrattuale (apprendistato), nonché all’assenza di un vincolo
contrattuale (lavoro accessorio). Per quanto attiene allo svolgimento del
rapporto, il legislatore delegato ha poi introdotto un ulteriore incentivo
indiretto alle assunzioni, innovando profondamente la disciplina delle mansioni
attraverso l’art.3 d.lgs. n.81 del
2015, con la riformulazione dell’art. 2103 cod.
civ.

20. La finalità complessiva degli interventi del
Jobs Act, costituita dall’auspicato incremento dell’occupazione, perseguita
attraverso la promozione del contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, è stata attuata anche attraverso l’esonero contributivo previsto
dalla legge di stabilità, la quale ha previsto questa agevolazione per un
triennio nel caso di assunzioni effettuate nel 2015 e l’esonero contributivo
del 40% per un biennio per le assunzioni effettuate nel 2016; il legislatore
delegato del 2015 è dunque intervenuto in tutte le fasi del rapporto di lavoro
con l’intento di incentivare le assunzioni in via diretta ed indiretta.

21. Anche l’abolizione dei contratti di lavoro a
progetto, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche
a progetto e di persone titolari di partite IVA e la disciplina delle
collaborazioni organizzate dal committente si collocano dunque nella medesima
prospettiva.

22. In effetti, le previsioni dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015
vanno lette unitamente all’art.52
dello stesso decreto, norma che ha abrogato le disposizioni relative al
contratto di lavoro a progetto previsto dagli artt. da 61 a 69-bis del d.lgs. n.276
del 2003 (disposizioni che continuano ad applicarsi per la regolazione dei
contratti in atto al 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del decreto),
facendo salve le previsioni di cui all’art. 409
cod. proc. civ. Quindi dal 25 giugno 2015 non è più consentito stipulare
nuovi contratti di lavoro a progetto e quelli esistenti  cessano alla scadenza, mentre possono essere
stipulati contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell’art. 409, n. 3 cod. proc. civ. sia a tempo
determinato sia a tempo indeterminato.

23. È venuta meno, perciò, una normativa che, avendo
previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle garanzie per il
lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale più ampia
che, come tale, comporta il rischio di abusi. Pertanto, il legislatore, in una
prospettiva anti-elusiva, ha inteso limitare le possibili conseguenze negative,
prevedendo comunque l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro
subordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con
l’ingerenza funzionale dell’organizzazione predisposta unilateralmente da chi
commissiona la prestazione. Quindi, dal 1 gennaio 2016, si applica la
disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la
prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia
svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della
prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano
organizzate dal committente.

24. Il legislatore, d’un canto consapevole della
complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di
ricondurle ad unità tipologica, e, d’altro canto, conscio degli esiti talvolta
incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art. 2094 cod. civ., si è limitato a valorizzare
taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità,
etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l’applicazione della
disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni
ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella
fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell’apprezzamento di
essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi.

25. In una prospettiva così delimitata non ha
decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate
e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante
evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero
dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai
confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle
norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina.

26. Tanto si spiega in una ottica sia di prevenzione
sia “rimediale”. Nel primo senso il legislatore, onde scoraggiare
l’abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha
selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili
fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso ha, poi,
stabilito che quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e
dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il
collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione
equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina
del lavoro subordinato.

27. Si tratta di una scelta di politica legislativa
volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro
subordinato, in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di
tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di “debolezza”
economica, operanti in una “zona grigia” tra autonomia e
subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea.
L’intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella
cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile
l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la
sufficienza – per l’applicabilità della norma – di prestazioni
“prevalentemente” e non più “esclusivamente” personali,
menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme Digitali e,
quanto all’elemento della “etero-organizzazione”, eliminando le
parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così
mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive
di tale nozione.

28. Il secondo profilo della doglianza in esame
invita proprio questa Corte, invece, a adottare un’interpretazione restrittiva
della norma in discorso.

29. Secondo la ricorrente, come si è detto, la Corte
territoriale, affermando che la etero-organizzazione disciplinata dall’art. 2
consisterebbe nel potere di determinare le modalità di esecuzione della
prestazione e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro,
avrebbe trascurato che l’art. 2
richiede, ai fini della sua applicazione, che le modalità di esecuzione della
prestazione siano organizzate dal committente “anche con riferimento ai
tempi e al luogo di lavoro”. La parola “anche” del testo
normativo dimostrerebbe che le tutele del lavoro subordinato garantite dall’art. 2 richiedono non una
semplice etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in
termini di mera “possibilità”, ma “una ingerenza più pregnante
nello svolgimento della collaborazione, eccedente quindi tale
etero-determinazione”.

30. Anche tale censura non può essere condivisa.

31. La norma introduce, a riguardo delle prestazioni
di lavoro esclusivamente personali e continuative, la nozione di
eteroorganizzazione, “anche con riferimento ai tempi e al luogo di
lavoro”.

32. Una volta ricondotta la etero-organizzazione ad
elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del
committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la
modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed
integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si mette in evidenza
(nell’ipotesi dell’art. 2 d.lgs.
n. 81 del 2015) la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di
comune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto
dall’esterno, appunto etero-organizzato.

33. Tali differenze illustrano un regime di
autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015:
integro nella fase genetica dell’accordo (per la rilevata facoltà del
lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase
funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di
prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e
da un applicativo per smartphone.

34. Ciò posto, se è vero che la congiunzione «anche»
potrebbe alludere alla necessità che l’etero-organizzazione coinvolga tempi e
modi della prestazione, non ritiene tuttavia la Corte che dalla presenza nel
testo di tale congiunzione si debba far discendere tale inevitabile
conseguenza.

35. Il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro
esprime solo una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione,
con la parola “anche” che assume valore esemplificativo. In tal senso
sembra deporre la successiva soppressione dell’inciso ad opera della novella cui
si è fatto più volte cenno. Del resto è stato condivisibilmente rilevato che le
modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa lo sono,
nell’attualità della rivoluzione informatica, sempre meno significative anche
al fine di rappresentare un reale fattore discretivo tra l’area della autonomia
e quella della subordinazione.

36. Parimenti si deve ritenere che possa essere
ravvisata eteroorganizzazione rilevante ai fini dell’applicazione della
disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a
determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e
continuativa .

37. Il motivo in esame non critica dunque
efficacemente le pertinenti statuizioni della sentenza impugnata.

38. Detto questo, non ritiene la Corte che sia
necessario inquadrare la fattispecie litigiosa, come invece ha fatto la Corte
di appello di Torino, in un tertium genus, intermedio tra autonomia e
subordinazione, con la conseguente esigenza di selezionare la disciplina
applicabile.

39. Più semplicemente, al verificarsi delle
caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del
2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina
della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che
non crea una nuova fattispecie.

40. Del resto, la norma non contiene alcun criterio
idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere
affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici. In
passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare situazioni
diverse al lavoro subordinato, ha precisato quali parti della disciplina della
subordinazione dovevano trovare applicazione. In effetti, la tecnica
dell’assimilazione o dell’equiparazione è stata più volte utilizzata dal
legislatore, ad esempio con l’art.2
del R.D. n. 1955 del 1923, con l’art.2 legge n.370 del 1934, e
con l’art.1, comma 1, legge n.
1204 del 1971, con cui il legislatore aveva disposto l’applicazione al
socio di cooperativa di alcuni istituti dettati per il lavoratore subordinato,
nonché con l’art. 2 c.1 d.lgs.
n. 626 del 1994 e l’art. 2,
comma 1 lett. a), del d.lgs. n.81 del 2008 in tema di estensione delle norme
a tutela della salute e della sicurezza, e con l’art.64 del d.lgs. n. 151 del 2001,
come  successivamente modificato, che ha
disposto l’applicazione alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell’INPS
alcune tutele previste per le lavoratrici subordinate.

41. Non possono escludersi situazioni in cui
l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia
ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per
definizione non sono comprese nell’ambito dell’art.
2094 cod. civ., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto
all’esame di questa Corte.

42. All’opposto non può neanche escludersi che, a
fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro
normativo dell’art. 2094 cod. civ., il giudice
accerti in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione (nella
specie esclusa da entrambi i gradi di merito con statuizione non impugnata dai
lavoratori), rispetto alla quale non si porrebbe neanche un problema di
disciplina incompatibile; è noto quanto le controversie qualificatorie siano
influenzate in modo decisivo dalle modalità effettive di svolgimento del rapporto,
da come le stesse siano introdotte in giudizio, dai risultati dell’istruttoria
espletata, dall’apprezzamento di tale materiale effettuato dai giudici del
merito, dal convincimento ingenerato in questi circa la sufficienza degli
elementi sintomatici riscontrati, tali da ritenere provata la subordinazione;
il tutto con esiti talvolta difformi anche rispetto a prestazioni lavorative
tipologicamente assimilabili, senza che su tali accertamenti di fatto possa
estendersi il sindacato di legittimità.

43. Del resto la norma in scrutinio non vuole, e non
potrebbe neanche, introdurre alcuna limitazione rispetto al potere del giudice
di qualificare la fattispecie riguardo all’effettivo tipo contrattuale che
emerge dalla concreta attuazione della relazione negoziale, e, pertanto, non
viene meno la possibilità per lo stesso di accertare l’esistenza di un rapporto
di lavoro subordinato, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza in
materia, trattandosi di un potere costituzionalmente necessario, alla luce
della regola di effettività della tutela (cfr. Corte
cost. n. 115 del 1994) e funzionale, peraltro, a finalità di contrasto
all’uso abusivo di schermi contrattuali perseguite dal legislatore anche con la
disposizione esaminata (analogamente v. Cass. n.
2884 del 2012, sull’art. 86,
comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, in tema di associazione in
partecipazione).

44. Il secondo ed il terzo motivo possono essere
esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.

45. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la
ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in correlazione
con l’art. 111 della Costituzione. La
motivazione sarebbe caratterizzata da un contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili.

La sentenza sarebbe giunta alla sussunzione della
fattispecie concreta nell’art. 2
dopo aver descritto le modalità di espletamento della prestazione da parte
degli appellanti in termini tali (libertà di dare la disponibilità ai turni,
libertà di non presentarsi all’inizio del turno senza previa comunicazione e
senza sanzione) da escludere alla radice l’etero- organizzazione, come poi
delineata e assunta a base della sussunzione.

46. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la
ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015
in relazione al requisito della etero-organizzazione. L’errore che nel secondo
motivo si rifletterebbe sulla motivazione è qui denunciato direttamente come di
errore di sussunzione e dunque come violazione di legge.

47. In realtà con il secondo motivo, pur se esso
viene presentato come error in judicando, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., si deduce
un vizio di nullità della sentenza, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), dolendosi la
ricorrente di un contrasto irriducibile tra affermazioni della sentenza
impugnata che sarebbero tra loro inconciliabili, in particolare in relazione a
due dati funzionali all’accertamento della eterodeterminazione dei tempi e dei
luoghi di lavoro dalla sentenza ritenuti decisivi, cioè, da una parte il
“fattore tempo”, in particolare con riguardo alla circostanza che,
secondo la Corte di appello “Gli appellanti … lavoravano sulla base di
una “turnistica” stabilita dall’appellata” e, d’altra parte, al
fattore “luogo della prestazione”, giacché la stessa sentenza
riconosce che i lavoratori dovevano recarsi all’orario di inizio del turno in
una delle tre zone di partenza definite (Piazza Vittorio Veneto, Piazza Carlo
Felice o Piazza Bernini).

48. Sotto il primo profilo si fa valere che la
stessa sentenza impugnata aveva riconosciuto che, pur trattandosi di fasce
orarie predeterminate dalla società, questa non aveva il potere di imporre ai
lavoratori di lavorare nei turni in questione o di non revocare la
disponibilità data, oltre al fatto che si ammette nella sentenza della Corte
territoriale che i lavoratori erano liberi di dare la propria disponibilità per
i vari turni offerti dall’azienda, e che la stessa Corte aveva pure accertato
l’insussistenza di un potere gerarchico disciplinare da parte della società nei
confronti degli appellanti, giacché quest’ultima non aveva mai adottato
sanzioni disciplinari a danno dei lavoratori anche se questi dopo aver dato la
loro disponibilità la revocavano (funzione swap) o non si presentavano a
rendere la prestazione (no show).

49. Sotto il secondo profilo, la ricorrente fa
valere che la possibilità per il lavoratore di recarsi in una qualsiasi delle
tre piazze indicate evidenziava che la scelta del luogo non era imposta dalla
società.

50. Come si è notato, gli stessi elementi vengono
valorizzati come vizio di sussunzione nella fattispecie disciplinata dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81
come interpretato dalla Corte di appello, e quindi come violazione di legge.

51. A parere della Corte le critiche mosse con le
due doglianze in esame non valgono a censurare efficacemente la sentenza
impugnata, che ha individuato l’organizzazione impressa ai tempi e al luogo di
lavoro come significativa di una specificazione ulteriore dell’obbligo di
coordinamento delle prestazioni, con l’imposizione di vincoli spaziali e
temporali emergenti dalla ricostruzione del regolamento contrattuale e delle
modalità di esecuzione delle prestazioni. In particolare, sotto il primo
profilo, valorizzando l’impegno del lavoratore, una volta candidatosi per la
corsa, ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario
indicato per il ritiro del cibo, sotto comminatoria di una penale. Sotto il
secondo profilo, dando peso alle modalità di esecuzione della prestazione, in
particolare:

– all’obbligo per ciascun rider di recarsi
all’orario di inizio del turno in una delle zone di partenza predefinite e di
attivare l’applicativo H., inserendo le credenziali e avviando la
geolocalizzazione;

– all’obbligo, ricevuta sulla applicazione la
notifica dell’ordine con indicazione dell’indirizzo del ristorante, di recarsi
ivi con la propria bicicletta, prendere in consegna i prodotti, controllarne la
corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite apposito comando della
applicazione il buon esito dell’operazione;

– all’obbligo di consegna del cibo al cliente, del
cui indirizzo il rider ha ricevuto comunicazione sempre tramite l’applicazione,
e di conferma della regolare consegna.

52. Gli elementi posti in rilievo dalla ricorrente,
se confermano l’autonomia del lavoratore nella fase genetica del rapporto, per
la rilevata mera facoltà dello stesso ad obbligarsi alla prestazione, non
valgono a revocare in dubbio il requisito della etero-organizzazione nella fase
funzionale di esecuzione del rapporto, determinante per la sua riconduzione
alla fattispecie astratta di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 del
2015.

53. Come si osservava, se l’elemento del
coordinamento dell’attività del collaboratore con l’organizzazione dell’impresa
è comune a tutte le collaborazioni coordinate e continuative, secondo la
dizione dell’art. 409, comma 3, cod. proc. civ.,
nel testo risultante dalla modifica di cui all’art. 15, comma 1, lett. a) della
legge n. 81 del 2017, nelle collaborazioni non attratte nella disciplina
dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81
del 2015 le modalità di coordinamento sono stabilite di comune accordo tra
le parti, mentre nel caso preso in considerazione da quest’ultima disposizione
tali modalità sono imposte dal committente, il che integra per l’appunto la
etero-organizzazione che dà luogo all’applicazione della disciplina del lavoro
subordinato.

54. La Corte territoriale ha individuato gli aspetti
logistici e temporali dell’etero-organizzazione, facendo leva sulla dimensione
funzionale del rapporto, e dandone conto con una motivazione coerente, esente
dal “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”
denunciato dalla ricorrente.

55. Non sussistono dunque né il vizio di motivazione
inferiore al “minimo costituzionale” (Cass.,
SU, n. 8053 del 2014, cit.) né quello di sussunzione risolventesi in
violazione di legge.

56. A conclusione della disamina dei primi tre
motivi di ricorso deve osservarsi che, pur non avendo questo Collegio condiviso
l’opinione della Corte territoriale quanto alla riconduzione dell’ipotesi
prevista dall’art. 2, comma 1,
d.lgs. n. 81 del 2015 a un tertium genus, intermedio tra la subordinazione
ed il lavoro autonomo, e alla necessità di selezionare le norme sulla
subordinazione da applicare, il dispositivo della sentenza impugnata deve
considerarsi, per quanto detto, conforme a diritto, per cui la stessa sentenza
non è soggetta a cassazione e la sua motivazione deve intendersi corretta in
conformità alla presente decisione, ai sensi dell’art.
384, ultimo comma, cod. proc. civ., come richiesto dall’Ufficio del
Procuratore Generale.

57. Non vi sono censure relative alle altre
condizioni richieste per l’applicabilità dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 del
2015, cioè il carattere esclusivamente personale della prestazione e il suo
svolgimento in maniera continuativa nel tempo.

58. A conclusione del ricorso, la ricorrente
prospetta poi, come quarto motivo, una questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 in discorso se
interpretato come norma di fattispecie, come norma cioè idonea a produrre
effetti giuridici e a dar vita a un terzo genere di rapporto lavorativo, a metà
tra la subordinazione e la collaborazione coordinata e continuativa. Sotto un
primo profilo la ricorrente osserva che la delega contenuta nella I. n. 183 del 2014 avrebbe autorizzato il
legislatore delegato a riordinare le tipologie contrattuali esistenti, ma non a
crearne di nuove. Se interpretato nei termini tracciati dalla Corte d’appello
di Torino, l’art. 2 si
porrebbe dunque in contrasto con l’art. 76 Cost.,
in quanto esso violerebbe i limiti posti dal legislatore delegante. Inoltre,
sotto un secondo profilo, tale lettura renderebbe l’art. 2 irragionevole e dunque in
contrasto con l’art. 3 Cost., equiparando i
riders ai fattorini contemplati dalla contrattazione collettiva, a prescindere
dalla effettiva equiparabilità delle mansioni svolte.

59. Sotto il primo profilo, la questione sollevata
non ha più ragione di essere, avendo questa Corte ritenuto l’art. 2, comma 1, D.Igs. n. 81 del
2015 norma di disciplina e non norma di fattispecie, dovendosi escludere
che essa abbia dato vita ad un tertium genus, intermedio tra la subordinazione
ed il lavoro autonomo, per cui non può parlarsi di eccesso di delega, ben
potendo inquadrarsi la norma in discorso nel complessivo riordino e riassetto
normativo delle tipologie contrattuali esistenti voluto dal legislatore
delegante.

60. Sotto il secondo aspetto, il Collegio non
ravvisa alcun profilo di irragionevolezza nella scelta del legislatore delegato
di equiparare, quanto alla disciplina applicabile, i soggetti di cui all’art. 2, comma 1, d. Igs. n. 81 del
2015 ai lavoratori subordinati, nell’ottica della tutela di una posizione
lavorativa più debole, per l’evidente asimmetria tra committente e lavoratore,
con esigenza di un regime di tutela più forte, in funzione equilibratrice.

61. Le questioni di costituzionalità sollevate
devono dunque ritenersi manifestamente infondate.

62. Alla luce delle considerazioni che precedono, il
ricorso è quindi complessivamente da rigettare.

63. L’assoluta novità della questione giustifica la
compensazione delle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ, come modificato
dall’art. 13, comma 1, del
decreto-legge n. 132/2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 162 del 2014.

64. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio
di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663
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