Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2020, n. 1889

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Obbligo di
repêchage, Esigenza di contenimento dei costi

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1975
del 14 maggio 2018, rigettava il reclamo proposto da V.C., già dipendente della
società F.U. s.r.l., avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Frosinone che,
in funzione di giudice del lavoro, in accoglimento dell’opposizione proposta
dalle società convenute F.U. s.r.l. e D.F. s.r.l., aveva respinto la domanda
della stessa lavoratrice volta ad ottenere, previo accertamento dell’esistenza
di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra le due società,
l’accertamento della nullità, inefficacia e/o illegittimità del licenziamento
intimato in data 31 maggio 2013 per giustificato motivo oggettivo e la
reintegra nel posto di lavoro o, in subordine, la tutela risarcitoria prevista
dal riformato art. 18 legge n.
300 del 1970.

2. Per quanto ancora rileva nella presente sede, la
reclamante aveva dedotto di avere lavorato alle dipendenze della F.U. s.r.l.,
che gestiva in regime di franchising un centro odontoiatrico con il marchio V.;
che in data 22 aprile 2013 i soci avevano ceduto il 100% delle loro quote
sociali alla D.F. s.r.l., titolare in Italia del marchio V.; che in data 31
maggio 2013 era stata licenziata per soppressione della sua posizione
organizzativa, disposta per motivi di riorganizzazione del personale ed
esigenze di contenimento dei costi, con assorbimento delle relative attività in
capo al responsabile del centro.

3. Il giudice della fase sommaria, ritenuto violato
l’obbligo di repêchage, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e risolto
il rapporto di lavoro dal 31 maggio 2013 con condanna delle società convenute
al pagamento di una indennità pari a 14 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto percepita dalla ricorrente.

4. Il giudice della fase a cognizione piena, escussi
altri quattro testimoni, aveva revocato l’ordinanza e respinto integralmente la
domanda. Tale sentenza era stata impugnata da V.C. con atto di reclamo.

5. Nel rigettare l’impugnazione, la Corte di appello
osservava, in sintesi:

– che era stato dimostrato il giustificato motivo
oggettivo, in quanto la responsabile del centro A.S., dopo il licenziamento
della ricorrente, aveva assunto anche le funzioni di “responsabile
attenzione al paziente” (R.A.P.), già ricoperte dalla Conte, e alla stessa
faceva capo quantomeno un ruolo di controllo del centro;

– che era altresì genuina la rappresentata esigenza
di contenimento dei costi, restando irrilevante che le perdite accumulate dalla
F.U. fossero state in gran parte determinate dai debiti accumulati nei
confronti della D.F. e che le stesse fossero poi state ripianate attraverso la
cessione delle quote della società a prezzo simbolico;

– che non era stato violato l’obbligo di repêchage,
poiché al momento del licenziamento non vi erano presso la F.U. posizioni
lavorative disponibili, equivalenti o di livello inferiore, ove la lavoratrice
potesse essere ricollocata;

– che, una volta accertata l’effettività e la
legittimità della soppressione del posto di lavoro della ricorrente, stabilire
se D.F. e F.U. potessero o meno essere considerate un centro unitario di
imputazione del rapporto di lavoro rileverebbe unicamente ai fini del
repêchage, il cui obbligo di parte datoriale dovrebbe estendersi alla
dimostrazione della inesistenza di posti vacanti in organico (anche) presso la
D.F.;

– che tuttavia la questione era stata appena
accennata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, laddove la
ricorrente, dopo aver affermato che la predetta società non aveva
“minimamente valutato la possibilità di reimpiegare la lavoratrice”,
aveva aggiunto che “la resistente propone quotidianamente offerte di
lavoro su tutto il territorio nazionale”,

ma tale questione, non esaminata dal Tribunale, non
era stata riproposta nelle successive fasi e gradi del giudizio.

6. Per la cassazione di tale sentenza V.C. ha
proposto ricorso affidato a tre motivi. Hanno resistito con controricorso le
due società F.U. s.r.l. e D.F. s.r.l..

7. La ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis. 1 cod. proc.
civ..

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342
e 434 cod. proc. civ.
per avere la Corte di appello ritenuto che non fosse stata riproposta nelle
fasi e nei gradi successivi alla fase sommaria la questione dell’unicità del
centro di imputazione del rapporto di lavoro.

Parte ricorrente trascrive le parti salienti della
sentenza di primo grado e il contenuto dell’atto di reclamo, onde contestare
l’affermazione secondo cui non era stato specificamente contestato in appello
il capo della sentenza del Tribunale che aveva modificato il suo precedente
convincimento in ordine alla sussistenza di un unico centro di imputazione e di
interessi tra le due società. Argomenta che l’iter logico seguito al Tribunale
era stato specificamente confutato nell’atto di appello richiamando tutti gli
elementi emersi nell’istruttoria, che andavano in senso opposto
all’argomentazione del giudice di prime cure.

2. Il secondo motivo lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 legge
n. 604 del 1966 e dell’art. 2697 cod. civ.
(art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) in relazione al medesimo passaggio
argomentativo della sentenza impugnata, ossia all’affermazione della mancata
riproposizione della questione dell’unicità del centro di imputazione di
interessi ai fini dell’ampliamento dell’area di indagine per il riscontro
dell’assolvimento dell’obbligo di repêchage.

Rileva parte ricorrente che la questione, introdotta
nella prima fase del giudizio di primo grado, era stata riproposta con l’atto
di opposizione all’ordinanza. Trascrive nelle parti salienti il ricorso in
opposizione ex art. 1, comma 51,
legge n. 92 del 2012 e il reclamo ex art. 1, comma 58 della stessa
legge.

Argomenta che l’affermazione della Corte di appello
muoveva dall’erroneo convincimento – a sua volta basato su un orientamento
giurisprudenziale ormai superato in tema di riparto dell’onere della prova in
materia di recesso per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge n. 604/66 – che
fosse onere della lavoratrice allegare gli elementi per una sua possibile
ricollocazione in ambito aziendale.

3. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza
per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, primo
comma, n. 4 cod. proc. civ.) per omessa pronuncia
sul motivo di appello riguardante la sussistenza di un frazionamento simulato
tra imprese. La ricorrente, trascritto l’atto di reclamo nelle parti
riguardanti le censure mosse alla sentenza di primo grado sul punto, lamenta
che la Corte di appello non abbia pronunciato al riguardo, limitandosi ad
affermare, peraltro sulla base di un’erronea inversione dell’onere della prova,
l’irrilevanza dell’accertamento circa il frazionamento simulato tra imprese.

4. Il ricorso merita accoglimento per le ragioni che
seguono.

5. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione
formulata da parte resistente di violazione dell’art.
366 n. 3 cod. proc. civ. e del principio di
sinteticità e chiarezza. Nessuno dei principi di cui alle sentenze richiamate
nel controricorso (Cass. n. 16628 del 2009, n. 19255
del 2010 e n. 5698 del 2010) risulta violato. Il ricorso reca la narrativa
della vicenda processuale e non la pedissequa riproduzione dell’intero,
letterale contenuto degli atti processuali; esso riporta le parti salienti atte
a supportare le censure, in immediato coordinamento con esse. Contrariamente a
quanto dedotto da parte resistente, non risulta affidato a questa Corte il
compito di leggere anche parti degli atti di cui non occorre sia informata per
poi procedere alla scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi
di ricorso; al contrario, le parti trascritte sono strettamente funzionali alla
comprensione del tenore delle censure.

6. Tutti e tre i motivi vertono sul passaggio
argomentativo in cui è sintetizzato il giudizio espresso dalla Corte di appello
in ordine alla questione del repêchage.

6.1. La sentenza, pur dando atto che vi era
interesse, da parte della Conte, a vedere accertata l’esistenza di un centro
unitario di imputazione del rapporto di lavoro, in quanto implicante
l’estensione della verifica al più consistente organico di D.F., rilevante ai
fini dell’adempimento dell’obbligo di repêchage, ha tuttavia ritenuto che
l’accertamento fosse ininfluente per l’assorbente rilievo che l’allegazione in
merito alla disponibilità di posti in organico presso la società controllante
D.F. aveva costituito oggetto di una iniziale indicazione ad opera della Conte
nell’atto introduttivo (“la resistente propone quotidianamente offerte di
lavoro su tutto il territorio nazionale”), non più riproposta nelle
successive fasi del giudizio.

6.2. Tale argomento, sul quale la sentenza si fonda,
muove dall’implicito presupposto che gravi sul lavoratore che agisce con
impugnativa del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo
l’onere di allegare la vacanza di posti in organico sui quali potere essere
ricollocato. Trattasi di un orientamento superato dalla più recente
giurisprudenza di questa Corte, peraltro già formatasi all’epoca della sentenza
di appello.

7. Secondo l’orientamento oramai consolidato di
questa Corte, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo,
incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova
dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche
l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di
lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore. Sul datore di lavoro incombe
l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del
potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente
l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonché
l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte (cfr. Cass. n. 5592 del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 20436 del 2016, Cass. n. 160 del 2017, Cass. n. 9869 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017).

L’impossibilità di reimpiego del lavoratore in
mansioni diverse costituisce elemento che, inespresso a livello normativo,
trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel
carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale,
che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del
lavoratore (Cass. n. 24882 del 2017

).

7.1. In ordine all’onere
di allegazione di posti disponibili per una utile ricollocazione, è stato
osservato che esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come
potrebbe essere ricollocato all’interno dell’azienda significa, se non
invertire sostanzialmente l’onere della prova (che – invece – l’art. 5 legge n. 604/66 pone
inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra
loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo
ad una delle parti in lite e il secondo all’altra, una scissione che non si
rinviene in nessun altro caso nella giurisprudenza di legittimità. Invece, alla
luce dei principi di diritto processuale, onere di allegazione e onere
probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha
l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o
impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della
relativa compiuta allegazione (sull’impossibilità di disgiungere fra loro onere
di allegazione e relativo onere probatorio gravante sulla medesima parte v., ex
aliis, Cass. n. 21847/14)
(in tali termini, Cass. n. 12101 del 2016 cit.).

8. La sentenza impugnata è
dunque errata per avere omesso l’esame della questione – riproposta dalla Conte
in tutte la fasi del giudizio successive a quella sommaria e infine reiterata
come motivo di reclamo – vertente sulla unicità del centro di imputazione del
rapporto di lavoro, il cui accertamento non poteva ritenersi irrilevante,
diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello sulla base di un
presupposto giuridicamente errato circa il riparto degli oneri di allegazione e
prova in tema di repêchage.

9. In conclusione, il primo,
il secondo motivo e il terzo motivo, esaminati congiuntamente, sono fondati per
avere la Corte di appello omesso l’esame del motivo di reclamo avente ad
oggetto la riproposizione dell’eccezione anzidetta, il cui accertamento era
funzionale al riscontro del corretto adempimento dell’obbligo del repêchage.

10. La sentenza va cassata
con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che
provvederà al riesame del merito alla luce dei principi sopra esposti e anche
alla regolazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2020, n. 1889
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