Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2020, n. 1955

Tributi, IRPEF, Redditi di lavoro dipendente, Stock option
– Plusvalenza, Regime fiscale, Modifica ex art. 2, D.L. n. 262/2006, Applicazione
– Decorrenza

 

Rilevato

 

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso
la sentenza della CTR Piemonte n.56/05/12 depositata il 26/09/2012 che aveva
parzialmente accolto l’appello del contribuente R.L.P.G..

La vicenda processuale discende dall’istanza (sulla
quale si formava il silenzio – rifiuto) che il sig. R. aveva inoltrato
all’Ufficio, per ottenere il rimborso della somma, trattenuta dal datore di
lavoro e di quella da lui versata in applicazione del regime fiscale delle
stock options, offertegli nel 2004, sul differenziale
(pari a euro 715.818,78) tra il prezzo (euro 148.750,00) delle azioni ancora
alla data del 15.12.2006, in cui aveva esercitato il diritto di opzione e il
prezzo ottenuto dalla contemporanea vendita dei titoli appena acquistati (euro
864.568,78).

Riteneva, il contribuente, errato il criterio
impositivo applicatogli dal momento che la modifica restrittiva, introdotta
all’art. 51, c.2.bis, dpr n. 917/86 dal D.L.
262/2006 convertito dalla I. 286/2006,
ancorché già vigente alla data del 15.02.2006, non avrebbe dovuto riguardarlo
giacché, in base all’art. 3 c. 1
l. 212/2000, le nuove disposizioni avrebbero dovuto aver efficacia solo a
partire dal periodo d’imposta successivo a quello della loro entrata in vigore.

In altri termini, per il periodo d’imposta 2006
continuava – a suo avviso – a trovare applicazione il previgente art.51 comma 2 lett.
g bis) dpr n. 917/86, in base al quale la
plusvalenza avrebbe dovuto essere tassata con l’aliquota agevolata del 12,50% e
non, come avvenuto, nella forma ordinaria di reddito da lavoro dipendente.

Va, peraltro, ricordato che il sig. R., avvalendosi
della riapertura dei termini per la rivalutazione dei diritti di opzione, nel
corso del 2005, aveva utilizzato tale possibilità fissando il valore
fiscalmente riconosciuto ad euro 231.648,00, versando quanto dovuto a titolo di
imposta sostitutiva.

L’Agenzia delle Entrate, per confutare la decisione
impugnata, articola il suo ricorso in tre motivi.

Con il primo deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 3 c. 1 della legge
212/2000 nonché dell’art. 51 c.
2 lett. g) e c. 2 bis nel testo modificato
vigente alla data del 15.12.2006 ed inoltre degli artt.
1239 e 1532, sotto il profilo sia
dell’errato differimento della applicazione della nuova disciplina al periodo
d’imposta 2007, vertendosi nella specie in tema di “tributi
periodici”, sia dell’errato convincimento che i diritti conseguenti
all’opzione si incardinino già al momento della concessione.

Con il secondo, deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 c. e 3
c. 1 della stessa legge n. 212/2000 e dell’art. 2 del d.l.
262/2006 convertito nella legge n. 286/2006,
per aver ritenuto la CTR che il principio del differimento dell’applicazione
della modifica derivasse anche dalla mancanza, nella nuova disposizione, di
norme transitorie e di esplicita deroga al principio di cui all’art. 3 I. n. 212/2000.

Con il terzo, deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 5, commi 1 e 2, della
legge n. 448/2001, per aver la CTR riconosciuto al contribuente il diritto
al calcolo del differenziale, assumendo come dato di partenza non il prezzo di
acquisto del diritto di opzione, ma il valore rivalutato.

Resisteva il contribuente con controricorso e
successiva memoria.

 

Considerato

 

Con i primi due motivi l’Agenzia delle Entrate ha
censurato sia la tesi che i diritti derivanti dall’opzione si perfezionino già
al momento dell’offerta e non al momento in cui il dipendente li abbia
esercitati, sia la tesi che le modifiche apportate all’art. 51 TUIR disposte dal d.l. 262/2006 (conv. l. 286/2006) abbiano
efficacia solo dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore
delle modifiche.

Essi possono essere esaminati congiuntamente, per la
connessione dei profili che li caratterizza, e debbono ritenersi fondati
entrambi.

In primo luogo è da individuare la normativa
applicabile al caso in esame tenendo presente che il d.l. n. 262/2006, convertito dalla legge n. 286/2006, è entrato in vigore in data 3
ottobre 2006 e che il contribuente ha esercitato i suoi diritti di opzione il
15 dicembre 2006. Tale ultima è la data da considerare al fine di stabilire
quale sia il regime fiscale cui assoggettare la plusvalenza conseguita dal sig.
R. a seguito dell’esercizio dell’opzione e della immediata vendita dei titoli
acquisiti. Ne discende l’applicazione della più severa modifica del nuovo
regime fiscale perché entrato in vigore in data antecedente a quello di
esercizio del diritto. Infatti, all’atto della vendita dei titoli, già vigente la
nuova disciplina, il contribuente, come è del resto pacifico, non godeva anche
delle tre condizioni, aggiunte dal d.l. 262/2006 alle due già previste, per fruire del
regime agevolato.

Giova, infatti, ricordare che, per effetto del
succedersi degli interventi legislativi nel corso del 2006 (d.l. n. 223/2006

, convertito con I. n.
248/2006 e d.l. n.
262/2006 convertito con I. n. 286/2006),
il quadro normativo delineatosi prevedeva che, per fruire del regime agevolato
a seguito dell’esercizio del diritto di opzione, dovessero sussistere cinque
condizioni.

Le due precedenti, richiedenti: a) che le azioni
ricevute non fossero cedute o costituite in garanzia nei cinque anni successivi
alla data di assegnazione; b) che il valore delle azioni assegnate non
superasse l’importo della retribuzione lorda annua relativa al periodo di
imposta precedente a quello di assegnazione. Tre, aggiunte, quali: c) il
mantenimento, nei cinque anni successivi alla data di assegnazione, di un
investimento delle azioni ricevute almeno pari alla differenza tra il valore
normale delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal
beneficiario; d) l’esercitabilità dell’opzione non
prima di tre anni dalla sua attribuzione; e) la quotazione delle azioni,
oggetto delle stock options, quando l’azione diviene
esercitabile.

Conseguente alla mancanza, nella specie, delle
ultime tre condizioni, è la soggezione della plusvalenza maturata dal sig. R.
al regime di tassazione ordinaria dei redditi da lavoro.

Il riferimento alla data dell’esercizio dei diritti
di opzione, e non a quello della loro offerta, per stabilire se applicare la
modifica o il precedente regime, è stato più volte affermato da questa Corte e
va ribadito. Infatti è solo in quel momento che i titoli vengono effettivamente
“assegnati” ed entrano a far parte del patrimonio del beneficiario ed
è da tale momento che insorge il presupposto impositivo (ex multis
Cass. n. 17695/2019).

Ciò nondimeno, il giudice regionale ha ritenuto di
sottrarre, per il periodo d’imposta 2006, la plusvalenza in oggetto alla
tassazione ordinaria alla stregua della nuova disciplina, pur se pienamente
vigente, in applicazione della disposizione di cui all’art. 3 c. 1 ultimo periodo della
legge n. 212/2000 (c.d. statuto del contribuente), laddove prevede una
clausola di differimento dell’efficacia, per la quale “relativamente ai
tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal
periodo successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle
disposizioni che le prevedono”.

L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto errata la
decisione della CTR sul punto, considerando che, anche in presenza della
clausola surrichiamata, non possa prescindersi dalla
volontà di segno contraria del legislatore ove questa, come nel caso di specie,
risulti dalla chiara finalità antielusiva dell’intervento normativo e dallo
stesso strumento di normazione adottato per attuarlo, quale la decretazione
d’urgenza. Aspetti che palesano l’intendimento di immediata applicazione al
periodo d’imposta corrente, per cui l’entrata in vigore della modifica e la sua
efficacia appaiono temporalmente coincidenti.

Il controricorrente, ritiene, invece, da confermare
la contraria statuizione della Commissione territoriale, considerata la
mancanza nella nuova disposizione di una deroga espressa alla clausola di
differimento. E si sostiene essere, perciò, consequenziale la sua applicazione
in quanto dettata da prioritarie esigenze di tutela del contribuente e di
stabilità del regime fiscale per la durata, quanto ai tributi periodici,
dell’arco temporale di riferimento in corso.

In altri termini, per il controricorrente, la
mancanza di una espressa deroga o di una disciplina transitoria, rende
automatico il differimento dell’efficacia del nuovo regime al periodo d’imposta
successivo, cioè dal 2007.

La motivazione della CTR e le argomentazioni
prospettate dal contribuente non sono condivisibili.

E’ ben vero che l’ultrattività della normativa
precedente alla modifica costituisce un principio generale a tutela del
contribuente, in termini di affidamento e di certezza giuridica, tal che
l’applicazione della clausola di differimento si impone, nei caso in cui
discostarsene infrangerebbe le suddette esigenze di stabilità e gradualità.
Tuttavia, è altrettanto vero che tali esigenza sono comunque da contemperare
con il pariordinato principio di ampia
discrezionalità dello Stato in materia tributaria, pur nei limiti della riserva
di legge. Ed è tenendo conto del necessario equilibrio tra tali aspetti che,
nella specie, è da ritenere non potesse il contribuente nutrire alcun
affidamento sulla immutabilità del regime agevolativo vigente al momento
dell’offerta del diritto di opzione, posto che non vi era alcuna certezza che,
successivamente, e cioè all’atto dell’effettivo esercizio, il valore dei titoli
avrebbe registrato un incremento rispetto a quello precedente. Il maturare di
una plusvalenza era una mera eventualità, per cui egli non poteva confidare
sulla persistenza di un regime impositivo (a lui più favorevole) in mancanza
del presupposto che ne avrebbe determinato l’applicazione e senza la certezza
che quel presupposto sarebbe intervenuto. Né la tesi, da lui propugnata,
secondo cui l’imposta sostitutiva partecipi della stessa natura (di tributo
periodico) dell’imposta sostituita, implica, di per se, l’automatica
applicazione della clausola in esame pur in mancanza della necessita di
preservare un inesistente affidamento del contribuente.

Il caso in esame esula, pertanto, dalla finalità che
ha determinato la ragion d’essere della clausola in parola, per cui le
modifiche introdotte dalle innovazioni del 2006, già vigenti all’atto
dell’esercizio dell’opzione, non configgono, nella specie, con quanto disposto
dall’art. 3 c. 1 della legge
212/2000.

Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto
violazione e falsa applicazione dell’art.
5 commi 1 e 2 della legge 448/2001. In particolare ha censurato che il
giudice regionale abbia riconosciuto al contribuente il diritto al calcolo
della differenza di valore partendo, non da quello di acquisto originario del
diritto di opzione (euro 148.750,00), ma dal valore rivalutato ai sensi del
suindicato art. 5 (euro
231.648,00), da sottrarre al prezzo di vendita (euro 864.569,78), così da
ottenere una plusvalenza tassabile minore.

Il motivo di ricorso è fondato.

L’art. 5
commi 1 e 2 I. 448/2001 ha disposto, per i titoli posseduti alla data del 1
gennaio 2002 (termine poi “riaperto” sino al 1.1.2003, con legge n. 27 del 2003, ed ancora sino al 1 gennaio
2005 con legge n. 248/2005), che, ai fini della
determinazione delle plusvalenze e minusvalenze, di cui all’art. 81 c. 1 lett.
c) e d) TUIR, venisse considerato il valore rivalutato fissato a quelle
date, mediante apposita perizia giurata di stima e non il valore posseduto dai
titoli alla data dell’acquisto del diritto.

L’art. 5
commi 1 e 2 della legge 448/2001, era riferito all’art. 81 (ora 67) TUIR e disponeva quindi solo
per i “redditi diversi” da quelli da lavoro, cioè per le sole
plusvalenze e minusvalenze derivanti da redditi di natura finanziaria.
Pertanto, la norma non può trovare applicazione anche per la tassazione di
plusvalenze imputabili a reddito di lavoro dipendente, scaturite dalle azioni
offerte alla generalità dei dipendenti e separatamente disciplinata dall’art. 48 (ora 51) TUIR. Soluzione questa imposta
dalla circostanza che la disposizione di cui al suindicato art. 5, contenente un trattamento
agevolato per le plusvalenze costituenti reddito da capitale, ha carattere
eccezionale e quindi di stretta interpretazione. (Cass. n.
19393/2018

; n. 9604/2019).

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va, dunque,
accolto e, cassata l’impugnata sentenza, la Corte può decidere nel merito
respingendo il ricorso introduttivo del contribuente. Le spese di legittimità
possono essere compensate in ragione della obiettiva complessità del thema decidendum.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Spese
dei gradi di merito e di legittimità compensate.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2020, n. 1955
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