Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 gennaio 2020, n. 1867

Contratto Collettivo Nazionale dei Giornalisti, Attività
svolta dal collaboratore fisso, Requisiti della dipendenza, della continuità e
dell’impegno in via esclusiva, Disponibilità a coprire le esigenze editoriali
per un settore specifico, Concetto di professione giornalistica, Iscrizione
albo giornalisti

Fatti di causa

1.- Il Tribunale di Milano, con sentenza pubblicata
in data 18/10/2010, dichiarò l’esistenza tra L.O. e Il S. s.p.a. di un rapporto
di lavoro subordinato a decorrere dal gennaio 1996, riconoscendo alla O. la
qualifica di collaboratrice fissa e ordinando alla società di regolarizzare il
rapporto con l’attribuzione alla suddetta di una retribuzione mensile di €
2500,00.

2.- Con sentenza pubblicata il 17/12/2014, la Corte
d’appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta da II S. s.p.a.
ed in riforma della sentenza impugnata, dichiarò la nullità del rapporto di
lavoro subordinato intercorso tra le parti dal 1711/1997 al 30/3/2008, ai sensi
dell’art. 2 del Contratto
Collettivo Nazionale dei Giornalisti (d’ora in poi C.N.L.G.); rigettò ogni
altra domanda proposta dalla O. e compensò le spese di entrambi gradi del
giudizio.

2.1.- A fondamento della sua decisione la Corte
territoriale a) confermò la natura subordinata del rapporto di lavoro
giornalistico intercorso tra le parti e la qualifica di collaboratrice fissa
della O.; b) dichiarò che, in conseguenza dell’iscrizione della O. nell’elenco
dei pubblicisti e non dei giornalisti professionisti, come previsto dalla L. 3/2/1963, n. 69, art. 45,
il rapporto di lavoro era affetto da nullità, non sanabile attraverso lo
svolgimento di fatto dell’attività di praticantato giornalistico o di
giornalista professionista; c) sostenne che una diversa interpretazione non
poteva trovar fondamento nell’art.
36 del C.N.L.G., il quale doveva essere interpretato nel senso della sola
applicazione del trattamento economico e normativo previsto per i giornalisti
professionisti ex art. 1 del
C.N.L.G. in linea con gli approdi giurisprudenziali sull’applicabilità
dell’art. 2126 cod.civ.; d) riconobbe alla O.,
ai sensi dell’art. 2126 c.c., il trattamento
economico e previdenziale per il tempo in cui il rapporto nullo aveva avuto
esecuzione, ma non il diritto di continuare a rendere la prestazione o di
pretenderne lo svolgimento; e) infine, escluse che l’iscrizione nell’elenco dei
professionisti intervenuta nel gennaio 2010, allorché il rapporto di lavoro era
già cessato, avesse sanato la nullità.

3.- Contro la sentenza, la O. ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso
il  S. s.p.a.

4.- Fissata l’adunanza camerale, in prossimità della
quale le parti hanno depositato memorie ex art. 378
cod.proc.civ., la Corte – sezione lavoro ha ritenuto di rinviare la causa
alla pubblica udienza, all’esito della quale il Collegio ha emesso l’ordinanza
interlocutoria n. 14262, depositata in data 24/5/2019, con cui ha disposto la
trasmissione del ricorso al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle
Sezioni Unite.

4.1.- L’ordinanza interlocutoria, dopo aver
riportato le norme fondamentali di riferimento (art. 1 L. n. 3/2/1963, n. 69,
sia nel testo anteriore sia nel testo successivo alle modifiche apportate dalla
L. 26/10/2016, n. 198, art. 5)
e richiamato le norme del C.N.L.G. 10/1/1959, reso efficace erga omnes con d.p.r. 16/1/1961, n. 153, nonché dei contratti
collettivi successivi, ha esaminato i precedenti di questa Corte (a partire da
Cass. 29/12/2006, n. 27608, fino a Cass. 28/10/2016, n. 21884 e a Cass. 21/4/2017, n. 10158), in cui si è affermato
che, a norma dell’art. 45
della L. n. 69/1963, nel testo originale, per l’esercizio dell’attività
giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’albo dei
giornalisti professionisti, sicché il contratto giornalistico concluso con un
redattore non iscritto in quell’elenco è nullo per violazione di norme
imperative.

4.2.- Ha rilevato che i precedenti citati
riguardavano l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore e che solo la
recente sentenza n. 3177/2019 si era occupata del collaboratore fisso; rispetto
a quest’ultima decisione, ha prospettato una diversa soluzione, anche alla luce
della modifica normativa introdotta dalla L.26/10/2016,
n. 198.

4.3.- In primo luogo, ha dissentito dalla linea di
fondo seguita dalla citata sentenza, secondo cui il discrimine tra l’attività
di giornalista professionista e quella di collaboratore fisso è meramente
quantitativo, ossia legato alla esclusività o meno della prestazione: in tal
modo, secondo l’ordinanza interlocutoria, si trascura di considerare una
diversità qualitativa, legata al diverso percorso professionale che
caratterizza le due prestazioni e che richiede, per il primo, oltre ad un
periodo di praticantato, con l’iscrizione in un particolare registro (registro
dei praticanti), il superamento di una prova di idoneità professionale (art. 32), mentre, per il
secondo, solo la dimostrazione, attraverso la indicazione di giornali e
periodici contenenti scritti a sua firma e certificati dai direttori delle
pubblicazioni, dello svolgimento di attività di pubblicista regolarmente
retribuita da almeno due anni (art.
35).

4.4.- In secondo luogo, e conseguentemente, ha
dubitato che lo svolgimento in modo esclusivo dell’attività di collaboratore
fisso costituisca criterio univoco per attrarre l’esercizio della predetta
attività nella professione del giornalista professionista e, pertanto, per
richiedere, ai fini della validità del rapporto di lavoro, la sua iscrizione
nell’elenco dei giornalisti professionisti.

5.- Il Primo Presidente, in ragione della
particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia
a queste Sezioni unite. In prossimità dell’udienza, la controricorrente ha
depositato memoria illustrativa.

 

Ragioni della decisione

 

1.- Con il primo motivo di ricorso, la O. denuncia
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 45 della L. 3/2/1963, n. 69,
e dell’art. 2 del C.N.L.G.,
in relazione al D.P.R. 16/1/1961, n. 153.

1.1.- Osserva che l’art. 38 della L. 5/8/1981, n. 416,
come modificato dall’art. 76, comma
1, L. 23/12/2000, n. 388, prevede espressamente la possibilità che un
giornalista pubblicista svolga attività giornalistica in regime di
subordinazione, con il conseguente diritto all’iscrizione all’Istituto previdenziale
dei giornalisti; tali disposizioni normative contrastavano con la tesi della
nullità dell’attività giornalistica svolta da un giornalista pubblicista.

1.2.- Richiama l’art. 5 del C.N.L.G., il quale elenca
espressamente le attività e i ruoli per i quali è imprescindibile la qualifica
di giornalista professionista, e quindi l’iscrizione nel relativo albo,
argomentando, a contrario, che per quelli non menzionati, come il collaboratore
fisso, è sufficiente l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti.

1.3.- Definisce i caratteri tipici dell’attività del
collaboratore fisso, desunti dal citato art.2 del C.N.L.G. del 1959, reso
efficace erga omnes con d.p.r. n. 153/1961, i
quali sono dati dallo svolgimento di opera giornalistica non quotidiana, ma
connotata comunque dalla continuità della prestazione, dal vincolo di
dipendenza e dalla responsabilità di un servizio, rimarcando come la previsione
contrattuale sia del tutto sovrapponibile a quella prevista dall’art. 1 della L. n. 69/1963,
secondo cui «sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non
occasionale e retribuita, anche se esercitano altre professioni o impieghi» e
cogliendo la differenza rispetto al giornalista professionista nella
«esclusività della prestazione».

1.4.- Sottolinea come lo stesso art. 45 della L. 69/1963, nel
precludere l’esercizio della professione giornalistica a chi «non è iscritto
all’albo professionale», non distingue i due elenchi da cui lo stesso è
composto.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1423,
1424 e 2126 cod.civ.;
degli artt. 1 e 33 della L. 69/1963,
dell’art. 46, comma 2, del D.P.R. 4/2/1965; degli artt.
112 e 115 cod.proc.civ.

2.1.- La ricorrente rileva l’errore in cui è incorso
il giudice d’appello nel fissare al «31/3/2008» (così nel dispositivo della
sentenza, mentre nella parte motiva si indica il 31/10/2008, quale data di
scadenza dell’ultimo contratto di cessione di diritti di autore) la data di
cessazione del rapporto, osservando, in contrario, che al momento del deposito
del ricorso (17/4/2008) esso era ancora in corso e nessuna delle parti aveva
mai dedotto la sua cessazione. In questo errore era da riscontrarsi la
violazione degli artt. 112 e 115 del cod.proc.civ., in mancanza di prove della
fine del rapporto, non potendosi a tale scopo valorizzare l’istanza di
anticipazione di udienza datata 7/5/2010, che, in quanto volta ad ottenere una
sollecita definizione del giudizio, non aveva valore confessorio o di altra
prova.

2.2.- Censura quindi la sentenza nella parte in cui
non ha attribuito efficacia retroattiva alla sua iscrizione nel registro dei
praticanti (1/1/2008, data di decorrenza dell’iscrizione o dall’11/9/2009, data
della deliberazione del Consiglio dell’ordine dei giornalisti di Sicilia), o,
quanto meno, alla sua iscrizione nell’elenco dei professionisti (13/1/2010), e
tanto al fine di escludere la nullità del rapporto.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1.- In linea di fatto, deve permettersi che non
sono in discussione in questa sede il carattere subordinato del rapporto di
lavoro intercorso tra le parti e la qualifica di collaboratrice fissa,
riconosciuta alla O. dal Tribunale e confermata dalla Corte di appello.

È stato altresì accertato dal giudice del merito,
senza che si apprezzino idonee censure, che la odierna ricorrente ha prestato
attività di collaboratrice fissa in via esclusiva: questo dato emerge con
chiarezza dalla sentenza impugnata, sia nella parte in cui la Corte riporta i
termini della domanda giudiziale della lavoratrice – che ha sostenuto di aver
svolto attività di «giornalista professionista subordinata», deducendone
l’esclusività (pag. 11) -, sia nella parte in cui la stessa Corte definisce le
caratteristiche del rapporto di lavoro inter partes, accertando come
sussistenti i requisiti della dipendenza, della continuità e dell’impegno in
via esclusiva (pag. 7), nonché della disponibilità a coprire le esigenze
editoriali per un settore specifico, quale quello delle politiche
internazionali del lavoro e della formazione.

3.2. – Infine, è pacifico che la O. è stata iscritta
nell’albo dei pubblicisti nel 1993, nell’albo dei praticanti giornalisti il
giorno 11/9/2009 (con effetto retroattivo dal giorno 1/1/2008) e nell’albo dei
giornalisti professionisti con decorrenza dal 13/1/2010.

3.3.- E’ pure opportuno chiarire che la questione
sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite concerne esclusivamente la
validità del rapporto di lavoro giornalistico tra un editore di giornale e un
collaboratore fisso che, pur svolgendo l’attività in via esclusiva, non sia
iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti ma in quello dei
pubblicisti. Nella controversia in esame, non viene dunque in rilievo la
diversa questione dell’opera prestata dal collaboratore fisso in difetto di
esclusività professionale, in cui non sembra dubbia la validità del rapporto di
lavoro qualora sussista l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti (così anche
nella sentenza n. 3177/2019, in motivazione), né quella, per certi aspetti
affine ma esulante dall’oggetto del presente giudizio, dell’attività svolta dal
redattore non iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti, e nemmeno
quella, più radicale, dell’esercizio di fatto dell’attività di giornalista,
professionista o pubblicista, da parte di soggetto non iscritto all’albo
(rectius, in alcuno degli elenchi da cui l’albo è formato).

3.4.- Con riguardo a quest’ultima ipotesi, va
ricordato che la dottrina e la giurisprudenza dominanti ritengono che il
contratto individuale di lavoro sia nullo per violazione di norme imperative (art. 45 L. n. 69/1963, che
richiama l’art. 348 cod.pen. sull’esercizio
abusivo della professione e l’art. 498 cod.pen.
sull’usurpazione di titoli), ma non è illecito nell’oggetto o nella causa e
perciò non è inefficace per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione,
trovando applicazione l’art. 2126, comma 1°, cod.
civ. (v. Cass. 12/11/2007, n. 23472; Cass.
16/02/2006, n. 3399; Cass. 06/02/2006, n. 2476; Cass. 3/1/2005, n. 28; Cass.
23/02/2004, n. 3576; Cass. 21/09/2000, n. 12520; Cass.
27/5/2000 n. 7020; Cass. 1/6/1998 n. 5370;
Cass. 4/2/1998 n. 1157; Cass. 20/05/1997, n. 4502;
Cass. 6/4/1990 n. 2890; Cass. Sez. Un. 10/04/1979, n. 2029; Cass. 14/1/1976 n.
127; Cass. 5/4/1971, n. 995; principi ripresi di recente da Cass. 8/3/2019, n. 6874).

3.5.- Non può, invece, mai essere dichiarata, in
ragione della ritenuta invalidità del rapporto, la prosecuzione del rapporto o
la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, non potendosi costringere
il datore di lavoro ad attuare un contratto nullo. Sempre quale effetto della
nullità, deve escludersi un’efficacia retroattiva dell’iscrizione nell’albo ai
fini di rendere valido il rapporto, non conoscendo il nostro ordinamento
l’istituto della convalida del negozio nullo (art.
1423 cod.civ.) (su questo specifico aspetto, Cass.
25/01/2016 n. 1256; Cass. 11/02/2011, n. 3385;
Cass. 25/06/2009, n.14944). L’iscrizione
all’Albo disposta dall’ordine professionale con efficacia retroattiva vale nei
rapporti tra professionista e Ordine, ma non nei rapporti tra giornalista e
terzi, come il datore di lavoro, rispetto ai quali l’ordinamento professionale
è res inter alios acta (così Cass. 06/02/2006, n. 2476).

4.- La controversia in esame è sovrapponibile a
quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 3177/2019: in questo arresto
si è affermato che «l’attività di giornalista svolta da un collaboratore fisso
in modo continuativo ed esclusivo a scopo di guadagno … rientra pur sempre
nel concetto di professione di giornalista e, in quanto tale, è bisognosa di
previa iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti a pena di nullità
del contratto (secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di
legittimità: v. la già citata Cass. 29 dicembre 2006, n. 27608, nonché la già
citata Cass. n. 23472/2007)».

4.1.- Il presupposto logico-giuridico da cui muove
la sentenza è dato dall’art.
45 della L. n. 69/1963, sia prima sia dopo la modifica introdotta dalla L. n. 198/2016.

La norma, nel testo precedente alla riforma, e
applicabile ratione temporis anche alla presente controversia, così recita
«Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se
non è iscritto nell’albo professionale. La violazione di tale disposizione è
punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non
costituisca un reato più grave».

4.2.- Nell’esegesi di tale disposizione, la Corte ha
valorizzato la locuzione «professione di giornalista» ritenendo che essa
identifichi solo l’attività del «giornalista professionista» e ha interpretato
l’espressione «albo professionale» come elenco dei giornalisti professionisti,
sul presupposto che i pubblicisti «svolgono attività giornalistica non come
professione, cioè senza essere caratterizzati nel mercato del lavoro da un
determinato status»: ne ha tratto la conseguenza che ogni qual volta un
collaboratore fisso o un pubblicista svolga l’attività di giornalista in modo
esclusivo («in modo professionale», così la sentenza) è necessaria la sua
iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti, pena la invalidità del
contratto di lavoro.

5.- Tale interpretazione non appare convincente,
siccome non supportata dalla cornice normativa.

5.1.- La legge non definisce il giornalista, né la
professione di giornalista. Tuttavia, elementi definitori possono trarsi dalle
norme della contrattazione collettiva e dalla legge professionale.

L’art.
1 del C.N.L.G. 2009-2013 (rimasto sostanzialmente invariato a partire dal
primo contratto nazionale di lavoro giornalistico del 10/1/1959, reso efficace
erga omnes con d.p.r. 16/1/1961, n. n.153, e
avente pertanto valore di legge, seguito dai contratti collettivi del
1/10/1995, 30/9/1999, 1/3/2001, 28/2/2005, 1/4/2009, 31/2/2013) definisce il
rapporto di lavoro giornalistico attraverso l’individuazione dei soggetti che
ne fanno parte, ossia, da un lato, «gli editori di quotidiani, di periodici, le
agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, anche elettronici,
l’emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale e gli uffici stampa
comunque collegati ad aziende editoriali» e, dall’altro, «i giornalisti che
prestano attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con
vincolo di dipendenza anche se svolgono all’estero la loro attività».

5.2.- La dichiarazione a verbale riportata sotto l’art. 1 del CNLG precisa che le
norme del contratto nazionale di lavoro giornalistico costituiscono, nel loro
complesso, il trattamento economico e normativo minimo inderogabile per ogni
prestazione di lavoro giornalistico subordinato; esse, pertanto, si applicano
«ai giornalisti che prestino attività subordinata nei quotidiani, nei
periodici, nelle agenzie di stampa, nelle emittenti radiotelevisive e negli
uffici stampa di qualsiasi azienda».

5.3.- Sotto il profilo soggettivo, il contratto disciplina
l’attività del giornalista, senz’altra aggettivazione o distinzione, purché la
sua attività sia caratterizzata da continuità e subordinazione.

Manca ogni riferimento all’esclusività della
prestazione.

Altrettanto genericamente, ossia senza specificare
una particolare categoria di giornalista, usa l’espressione «prestazioni
professionali dei giornalisti» per disciplinare la relativa attività su
piattaforme multimediali.

5.4.- A maggiore precisazione, l’art. 2 del C.N.L.G., che
riproduce pressoché letteralmente quanto già disponeva l’art. 2 del Contratto
nazionale di lavoro giornalistico del 1959, dispone che il contratto si applica
ai «collaboratori fissi», cioè ai giornalisti addetti ai quotidiani, alle
agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti
radiotelevisive private e agli uffici stampa comunque collegati ad aziende
editoriali, «che non diano opera giornalistica quotidiana purché sussistano
continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un
servizio»

5.5.- Da un punto di vista letterale, entrambe le
norme parlano di giornalisti e di editori – questi ultimi da intendersi nel
senso di soggetti che esercitano un’attività imprenditoriale per la diffusione
delle notizie ed il cui fine primario è caratterizzato da un lucro economico
(Cass. 8/5/1992, n. 5447) -, sicché non vi è dubbio che tanto i giornalisti
cosiddetti professionisti, ovvero che prestano «attività giornalistica
quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza», quanto i
«collaboratori fissi» – i quali si differenziano dai primi solo perché ad essi
non si richiede la quotidianità della prestazione, – né, secondo quanto più
avanti si chiarirà, la esclusività dell’attività, in difetto di un’espressa
previsione in tal senso – rientrano nella stessa categoria dei giornalisti.
L’estensione della «materia del contratto» (art. 1) ad «ogni rapporto di lavoro
subordinato di tipo giornalistico» offre ulteriore conferma dell’ammissibilità
di un rapporto di lavoro subordinato tra un editore e un giornalista non
caratterizzato dalla quotidianità della prestazione.

5.6.- In tali sensi, e con specifico riguardo ai
collaboratori fissi, si è più volte espressa la giurisprudenza di questa Corte,
la quale ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro
giornalistico non quotidiano del collaboratore fisso, a condizione che
sussistano i requisiti di cui all’art. 2 del C.C.N.L. di categoria del 1959,
consistenti «nella continuità della prestazione, intesa come svolgimento di
un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze formative e
informative di uno specifico settore, nella responsabilità di un servizio, che
implica la sistematica redazione di articoli su specifici argomenti o rubriche;
nel vincolo di dipendenza, per effetto del quale l’impegno del collaboratore di
porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro permane anche negli
intervalli fra una prestazione e l’altra» (Cass. 17/06/1997, n. 5432; Cass.27/6/1990,
n. 6512; più di recente, Cass. 13/11/2018, n.29182; Cass. 20/05/2014, n.
11065).

6.- Nella medesima direzione si muove la L. 3/2/1963, n. 69, intitolata «Ordinamento della
professione di giornalista»

6.1.- Anche la legge non dà una definizione di
giornalista o di attività giornalistica.

L’art.
1, rubricato «Ordine dei giornalisti», dopo aver istituto l’Ordine dei
giornalisti («E’ istituito l’Ordine dei giornalisti»: comma 1), prevede che «ad
esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei
rispettivi elenchi dell’albo» (comma 2). La norma qualifica i giornalisti
«professionisti» come «coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo
la professione di giornalista» (comma 3) e i «pubblicistici» come «coloro che
svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se
esercitano altre professioni o impieghi» (comma 4).

6.2.- Nell’elencare i diritti e i doveri dei giornalisti
(art. 2), si rivolge
genericamente ai «giornalisti»; nel regolare l’elezione dei consigli
dell’ordine prevede che la convocazione dell’assemblea sia effettuata a tutti
gli iscritti, esclusi i sospesi «dall’esercizio della professione» (art. 4); tra i poteri
attribuiti al Consiglio vi è quello di curare l’osservanza della «legge
professionale», vigilare per la tutela del titolo di «giornalista» e per
reprimere l’esercizio abusivo della «professione» (art. 11); tra i compiti del
Consiglio nazionale, di cui fanno parte giornalisti professionisti e
pubblicisti, c’è quello di dare parere, quando ne sia richiesto dal Ministro
per la giustizia, sui progetti di legge e di regolamento che riguardano la
«professione di giornalista» e promuovere le attività intese al
«perfezionamento  professionale» (art. 20); l’albo
professionale è unico, ripartito in due elenchi (quello dei professionisti e
quello dei pubblicisti: art.
26) e l’anzianità è data «dalla data di iscrizione nell’albo», senza
distinzione tra i due elenchi (art.
27); a ciascun «iscritto nell’albo» è rilasciata la tessera (art. 27).

6.3.- L’esame di queste disposizioni rivela un uso generico
del termine «giornalista» (spesso, semplicemente, «iscritti»), indubbiamente
comprensivo tanto del giornalista professionista quanto del pubblicista, ed un
uso polisemico della parola «professione» o «professionale», che viene
adoperato a volte per indicare solo il «giornalista professionista» (art. 26, comma 2) a volte, in
senso lato, per indicare l’attività del giornalista, sia esso giornalista
professionista o pubblicista, caratterizzata da continuatività e scopo di
guadagno. La distinzione tra giornalista professionista e pubblicista torna a
riemergere solo quando, per particolari ragioni (come la composizione dei
consigli dell’ordine o del consiglio nazionale: art. 3, o l’attribuzione di
particolari cariche: art. 19),
viene in rilievo il diverso profilo professionale.

6.4.- Ciò consente di affermare, alla luce di
un’interpretazione letterale e sistematica, che la legge
n. 63/1969, nella parte in cui include il giornalista professionista e il
pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e
doveri disciplinari, mostra di considerare unitariamente la «professione di
giornalista», da intendersi come quell’attività «di lavoro intellettuale
diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli
organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale
tra il fatto e la sua diffusione (per tutte, Cass.
1/2/2016, n. 1853, e Cass. 29/08/2011, n.
17723; Cass. 21/2/1992, n. 2166).

6.5.- In tal senso depone anche la L. 5/8/1981, n.416 (Disciplina delle imprese
editrici e provvidenze per l’editoria, come modificato dalla L.23/12/2000, n. 388), che attribuisce
all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni
Amendola” (INPGI) la gestione, in regime di sostitutività, delle forme di
previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e
praticanti e  provvede, altresì, ad
analoga gestione «anche in favore dei giornalisti pubblicisti di cui all’articolo 1, commi secondo e
quarto, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, titolari di un rapporto di
lavoro subordinato di natura giornalistica» (art. 38).

Il richiamo, da parte della ricorrente, di questa
norma solo nel giudizio di cassazione deve ritenersi consentito – e non è
pertanto affetto da inammissibilità, come invece sostiene la difesa della
controricorrente – in quanto mero argomento difensivo posto a sostegno di una
tesi giuridica che non postula alcun accertamento di merito (cfr. Cass.
12/06/2018, n. 15196; Cass. 16/11/2000, n. 14848).

7.- Può dunque pervenirsi ad una ulteriore
conclusione.

I pubblicisti, al pari dei giornalisti
professionisti, sono anch’essi professionisti, nel senso su indicato, e si
distinguono primariamente per il fatto che il pubblicista può esercitare «altre
professioni o impieghi» (significativo è l’uso parte del legislatore
dell’aggettivo altre), a differenza del giornalista professionista la cui
attività – professione si caratterizza per l’esclusività del suo esercizio.

7.1.- Né vale in contrario l’argomento, pure speso
nella sentenza di questa Corte n. 23472/2007 e
ripreso da Cass. n. 3177/2019, secondo cui è il regime giuridico stesso dei
pubblicisti (e in particolare le modalità di iscrizione nel relativo elenco,
come indicate nell’art. 35
della L. 69/1963), siccome diverso da quello dei professionisti, ad
escludere la natura professionale della loro attività, in quanto non sarebbe
possibile alcun controllo sul livello qualitativo degli scritti e la loro
iscrizione nel relativo elenco non avrebbe funzione di garanzia del buon
livello della stampa.

7.2.- Come si è su evidenziato, non vi sono elementi
da cui desumere che il legislatore o le parti stipulanti del contratto
collettivo abbiano voluto attribuire lo status di giornalista solo al
cosiddetto giornalista professionista e negarlo al pubblicista.

Per il legislatore non vi è una differenza
ontologica tra le due attività, come dimostra che il fatto che entrambi sono
sottoposti ai medesimi diritti e doveri (art. 2 L. n. 63/1969): si è
piuttosto al cospetto di un diverso grado di professionalità, al pari di quello
che può riscontrarsi tra le varie qualifiche contrattuali previste dalla
contrattazione collettiva in un certo settore, segnato dall’entità dell’impegno
profuso a beneficio dell’attività giornalistica e che giustifica la formazione
dei due diversi elenchi nonché, a monte, il diverso iter da seguire per la
iscrizione nell’albo (art. 32
L. 63/1969 per il giornalista professionista e art. 35 per il pubblicista).

7.3.- La conferma che si tratta di due diverse
species di una stessa categoria (rectius: professione) può trarsi dall’art. 40 della L. n. 63/1969,
nella parte in cui prevede la cancellazione del giornalista dall’elenco dei
professionisti quando venga a mancare il requisito dell’esclusività
professionale e, contestualmente, la possibilità, per lo stesso giornalista, di
trasferirsi nell’elenco dei pubblicisti, ove ricorrano le condizioni di cui
all’art. 35 e ne faccia
domanda. E ancora, lo stesso contratto nazionale di lavoro giornalistico (art. 36 C.N.L.G.) prevede la
possibilità che i pubblicisti esercitino attività giornalistica in via
esclusiva, trovando in tal caso applicazione il trattamento economico e
normativo previsto per i giornalisti professionisti, con ciò confermandosi che
non si è in presenza di attività eterogenee e inconciliabili e,
simmetricamente, dovendosi escludere che l’attività del pubblicista sia fuori
dal concetto di professione.

7.4.- La diversa e restrittiva interpretazione
offerta dalle sentenze su richiamate non trova giustificazione neppure nel
linguaggio giuridico, ove si consideri che il concetto di professionalità,
adoperato per esempio nell’art. 2082 cod.civ.
per definire l’imprenditore, è pacificamente inteso nel senso di attività
commerciale svolta in modo sistematico e abituale, mentre non si richiede che
l’attività medesima sia esclusiva, e neppure che sia preminente rispetto alle
altre (Cass. 17/03/1997, n. 2321; Cass. 3/12/1981, n. 6395; Cass. 06/04/2017, n. 8982). Principi che valgono
anche per le professioni intellettuali, per la legittimità del cui esercizio
non è richiesto il carattere dell’esclusività, salvo che ciò non sia
espressamente richiesto dal singolo ordinamento professionale.

7.5.- In definitiva, tanto per la contrattazione
collettiva quanto per la legge ordinamentale, la professione del giornalista è
caratterizzata dalla continuatività, da intendersi come sistematicità e
abitualità della prestazione, in antitesi alla sporadicità e saltuarietà,
nonché dalla onerosità, senza che rilevi l’esclusività o la prevalenza della
stessa rispetto ad altre professioni o impieghi.

8.- Questi approdi interpretativi si pongono in
linea di continuità con la giurisprudenza della Corte costituzionale.

Con la sentenza 10 luglio 1968, n. 98 la Corte
costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 46 L. n. 63/1969, nella
parte in cui prevedeva che la carica di direttore e di vice direttore
responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa di
cui al comma 1° dell’art. 34
(«agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno quattro
giornalisti redattori ordinari, o presso un periodico diffusione nazionale e
con almeno sei giornalisti professionisti redattori ordinari») dovesse essere
svolta solo da un giornalista iscritto nell’elenco dei giornalisti
professionisti.

8.1.- Il Giudice delle leggi (richiamando il suo
precedente n. 11 del 23 marzo 1968) ha affermato che la funzione dell’Ordine
dei giornalisti è quella di garantire il rispetto della personalità e della
libertà dei giornalisti e di assicurare «la vigilanza sulla rigorosa osservanza
di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel
non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a
sollecitazioni che possano comprometterla».

Ha quindi ritenuto che l’obbligo imposto dall’art. 46 della legge – nella
parte in cui prescrive che direttore e vicedirettore responsabili siano
iscritti all’albo – risulta legittimo perché rafforza quella libertà di
manifestazione del pensiero che è principio dell’ordinamento democratico e come
tale viene tutelata dall’art. 21 della Costituzione:
«Ed infatti la funzione dell’Ordine … risulterebbe frustrata ove proprio i
poteri direttivi di un quotidiano, di un periodico o di un’agenzia potessero
essere assunti da un soggetto … che per il fatto di non essere iscritto
nell’albo non possa essere chiamato a rispondere di fronte all’Ordine per
eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui
dipendono».

8.2.- Queste ragioni – ha aggiunto la Corte –
«appaiono soddisfatte dall’iscrizione del direttore e del vicedirettore
nell’albo, indipendentemente dal fatto che si tratti di professionisti o di
pubblicisti: nell’uno e nell’altro caso, infatti, si rende possibile la
vigilanza dell’Ordine, nella quale, secondo quanto si è detto, si deve
ravvisare il solo fondamento di legittimità di quell’obbligo. Aggiungere – come
fa il primo comma dell’art. 46
per i quotidiani , per i periodici e le agenzie di stampa di cui all’art. 34 – l’ulteriore vincolo
di scelta del direttore e del vicedirettore responsabile fra gli iscritti
nell’elenco dei professionisti significa aggravare il limite posto alla libertà
garantita dall’art. 21 della Costituzione, e
ciò senza un’adeguata giustificazione costituzionale. Ed invero, escluso che
l’attività direzionale sia in qualche modo obiettivamente incompatibile con la
circostanza che il pubblicista non esercita il giornalismo in modo esclusivo
(tanto è vero che, secondo quanto dispone il capoverso dello stesso art. 46, egli può assumere la
direzione o la vicedirezione responsabile dei periodici e delle agenzie diversi
da quelli considerati nel primo comma), si può anche convenire sulla
opportunità che, ove si tratti di quotidiani o di periodici ed agenzie di
particolare importanza, le funzioni direttive vengano affidate a chi sia dedito
esclusivamente al giornalismo e possegga i particolari requisiti che si esigono
per l’iscrizione nell’elenco dei professionisti: ma è certo che non ci si trova
qui in presenza di un pubblico interesse né, a maggior ragione, di un interesse
generale di grado tale da giustificare l’intervento della legge, la quale,
quando si tratti di disciplinare l’esercizio di una libertà fondamentale, non
può porre limitazioni che, come quella in esame, non siano in funzione della tutela
di interessi direttamente rilevanti sul piano costituzionale (cfr. sentenza n.
11 del 1968). Per questa parte, dunque, il primo comma dell’art. 46 deve essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo».

8.3.- Nella sentenza sono fondamentali due passaggi:
l’iscrizione all’albo è di per sé garanzia di qualità dell’informazione e di
tutela degli interessi preminenti legati alla libertà di manifestazione del
pensiero, perché consente all’ordine professionale di esercitare il suo
controllo preventivo e sanzionatorio; il pubblicista, proprio perché iscritto
all’albo, offre le stesse garanzie di professionalità ed efficienza del
giornalista professionista, differenziandosi da questo unicamente in ragione
della non esclusività della sua prestazione. Ogni ulteriore limite posto dalla
legge con riguardo all’attribuzione della carica di direttore o vicedirettore
responsabile di quotidiani, periodici e agenzie di stampa introdurrebbe un
vulnus alla libertà di stampa non altrimenti giustificabile.

8.4.- L’orientamento giurisprudenziale segnato da Cass. n. 23472/2007, cit., nella parte in cui
attribuisce lo status di giornalista solo al giornalista professionista e
svaluta la funzione dell’iscrizione del pubblicista nel relativo elenco (v.
supra § 7.1), non appare in linea con i principi affermati dalla Corte
costituzionale.

9.- Si innesta in questo quadro la diversa
problematica riguardante i requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva
per l’attribuzione di particolari qualifiche e mansioni: si tratta di scelte
autonome e discrezionali delle parti stipulanti volte a valorizzare specifiche
esperienze o un particolare percorso formativo ritenuti necessari per lo
svolgimento di particolari mansioni.

9.1. – Vengono in rilievo le figure del redattore e
del collaboratore fisso.

L’art. 5 del CNLG prevede l’attribuzione della
qualifica di redattore ai giornalisti professionisti impegnati a) nelle
direzioni e nelle redazioni; b) come corrispondenti negli uffici di
corrispondenza da Roma, dalle capitali estere e da New York; c) come inviati;
d) come titolari degli uffici di corrispondenza di testate che dedichino
normalmente un’intera pagina alla locale cronaca cittadina, nonché ad ogni
giornalista professionista che faccia parte di una redazione decentrata e così
pure al giornalista professionista corrispondente da capoluoghi di provincia al
quale sia richiesto di fornire in modo continuativo, oltre a notizie di cronaca
locale, notizie italiane o estere di carattere generale da lui elaborate.

9.2.- La figura del collaboratore fisso è invece
delineata dall’art. 2 del C.N.L.G.:
è anch’egli un giornalista, ma non è richiesta la qualifica di giornalista
professionista; la sua prestazione si caratterizza per l’assenza della
quotidianità, dell’obbligo di presenza giornaliera nonché dell’osservanza di un
orario di lavoro. Non di meno, anche il collaboratore è un lavoratore
subordinato quando siano riscontrabili nello svolgimento del rapporto di lavoro
i requisiti del vincolo di dipendenza, della responsabilità di un servizio e
della continuità della prestazione, da intendersi come disponibilità
continuativa a rendere la prestazione o le prestazioni richieste.

9.3.- Le differenze già tracciate dalla
contrattazione collettiva sono state poi ulteriormente delineate dalla
giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 21/10/2015, n. 21424, richiamata da
Cass. n. 3177/2019; cui adde Cass. 13/11/2018, n. 29182)

Al redattore è richiesta una quotidianità
dell’impegno e un inserimento concreto ed effettivo nell’organizzazione
necessaria per la compilazione del giornale, vale a dire in quella apposita
struttura costituita dalla redazione (Cass.
6/5/2015 n. 9119; Cass. 7/10/2013, n. 22785;
Cass. 8/2/2011, n. 3037; Cass. 5/6/2009, n. 14913; Cass. 28/8/2003, n. 12252; Cass. 21/10/2000, n.13945). Egli è direttamente
coinvolto nella cosiddetta «cucina redazionale», partecipa alle riunioni di
redazione, al «disegno» e all’impaginazione, alla scelta dei titoli, attraverso
una stretta coordinazione con quella degli altri redattori (Cass. 13/11/2018,
n. 29182, ed ivi ulteriori richiami).

9.4.- Diversamente, il collaboratore fisso assicura
una semplice continuità dell’apporto, limitato di regola ad offrire servizi
inerenti ad un settore informativo specifico di competenza (ancora Cass. n.
29182/2018 cit.); non è richiesta la quotidianità, nel senso che non è tenuto a
garantire la sua presenza giornaliera in redazione, né a partecipare alla
«cucina» redazionale, né a rispettare un rigido orario di lavoro, sia pur
nell’imprescindibile rispetto dei tempi di lavorazione del giornale e rimanendo
a disposizione dell’azienda anche negli intervalli tra più prestazioni.

9.5.- L’idea di fondo che tra le due figure vi sia
una differenza non meramente quantitativa – segnata solo dalla quotidianità
della prestazione – ma anche qualitativa, in ragione del maggior apporto
professionale richiesto al redattore rispetto al collaboratore fisso, è alla
base di alcune pronunce di questa Corte che, pur muovendo dalla constatazione
dell’esistenza di elementi comuni caratterizzanti le due figure professionali,
ha comunque ravvisato un rapporto di sovraordinazione dell’una rispetto
all’altra, con la conseguenza che «ben può il giudice di merito, al quale sia
stato richiesto in giudizio il riconoscimento della qualifica di redattore,
prendere in esame le concrete modalità di esercizio dell’attività lavorativa,
così come dedotte dallo stesso lavoratore e risultanti acquisite al giudizio in
esito a regolare contraddittorio, al fine del riconoscimento della qualifica di
collaboratore fisso, senza che sia perciò configurabile una violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, giacché, in tal
caso, il giudice, sulla base degli stessi fatti oggettivi dedotti dal
lavoratore, si limita, nell’ambito del principio iura novit curia, ad
individuare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro in
contestazione (Cass. 09/06/2000, n. 7931; Cass.
17/04/1990, n. 3168).

9.6.- In questa differenziazione di ruoli
all’interno dell’azienda editoriale, in cui il redattore fornisce un contributo
di maggiore esperienza e professionalità, si giustifica la scelta della
contrattazione collettiva di attribuire la relativa qualifica solo al
giornalista professionista (art. 5) e di richiederne l’utilizzazione
nell’ambito di determinate posizioni.

Sempre in ragione del diverso e maggior apporto
professionale del giornalista redattore, si giustifica pure la scelta del
legislatore di richiedere lo svolgimento di un periodo di praticantato e il
superamento di una prova di idoneità professionale, non prevista invece per il
pubblicista. E anche l’esclusività della prestazione, tipica del giornalista
professionista – al quale soltanto, come si è detto, può essere attribuita la
qualifica di redattore secondo la contrattazione collettiva – trova la sua
ratio nell’esigenza di imporre al giornalista con maggiore professionalità di
impiegare le sue energie lavorative nell’ambito della sola attività
giornalistica.

9.7.- Queste ragioni non sono invece ravvisabili
nell’attività del collaboratore fisso, al quale non solo non è richiesta la
quotidianità della prestazione ma nemmeno la esclusività del lavoro
giornalistico rispetto ad altre professioni o impieghi, in difetto di
un’espressa previsione normativa in tal senso.

Le caratteristiche del collaboratore fisso sono solo
quelle delineate dall’art. 2
C.N.L.G. (continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità
di un servizio) ed esse appaiono del tutto compatibili con quelle descritte
dall’art. 1, I. n. 69 del 1963
(attività giornalistica non occasionale e retribuita, e non necessariamente
esclusiva, potendo il pubblicista esercitare anche altre professioni o
impieghi). E come il pubblicista «può, ma, evidentemente, non deve svolgere
altra attività professionale» (secondo quanto affermato da autorevole
dottrina), altrettanto il collaboratore fisso può ma non deve essere occupato
in altri impieghi o professioni, non essendo la mancanza di esclusività
(l’unico) elemento qualificante della sua prestazione.

9.8.- Appare così frutto di un salto logico
l’opzione interpretativa secondo cui, ove il collaboratore fisso svolga, per
ragioni meramente accidentali ed esterne alla tipologia del rapporto di lavoro,
attività giornalistica in via esclusiva, egli diventi per così dire «di fatto»
giornalista professionista, con la conseguente necessità della sua iscrizione
nel relativo elenco.

10.- Queste considerazioni consentono di pervenire
alla soluzione della controversia.

L’art.
45 della legge n. 63/1969, nel testo originario, sotto la rubrica
«Esercizio della professione», così dispone: «Nessuno può assumere il titolo né
esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’albo
professionale. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli articoli 348 e 498 del
codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave». L’art. 26 della stessa legge,
con la rubrica «Albo: istituzione» prevede l’istituzione, presso ogni consiglio
dell’ordine regionale o interregionale, dell’«albo dei giornalisti» che hanno
la residenza nel territorio compreso nella circoscrizione del consiglio. Il
secondo comma dispone: «L’albo è ripartito in due elenchi, l’uno dei
professionisti l’altro dei pubblicisti». L’albo è evidentemente unico (cfr. artt. 27 e ss.) e l’art. 45, nella parte in cui
impone l’iscrizione all’albo, non distingue tra i due diversi elenchi; anche la
locuzione «professione di giornalista», per le ragioni suesposte, non autorizza
una sua interpretazione limitata all’attività svolta dal giornalista
professionista.

Come è stato osservato anche in dottrina,
l’iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti o quelli dei
giornalisti pubblicisti non è costitutiva di uno status in senso proprio, bensì
di una posizione all’interno dell’ordine che implica per il giornalista
professionista di operare in regime di esclusiva, ossia di non svolgere
contemporaneamente altra attività professionale o altri impieghi, e per il
giornalista pubblicista di operare in modo non occasionale e retribuito, anche
se in concomitanza con lo svolgimento di altre professioni o impieghi.

10.1.- A fronte di questa finalità, lo svolgimento
di altre attività può esserci o può non esserci senza che per ciò stesso il
pubblicista mantenga o perda la sua fisionomia.

Conseguentemente, l’attività del pubblicista
iscritto nel relativo elenco, anche qualora egli non svolga altre attività, non
assume carattere abusivo ai sensi dell’art. 45 della legge
professionale, perché la regola è pienamente soddisfatta dall’iscrizione
all’albo. Una diversa e più restrittiva interpretazione non risulterebbe
coerente con i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze su
richiamate e limiterebbe in modo ingiustificato l’esercizio di un’attività
costituzionalmente protetta, creando un’ipotesi di nullità del rapporto di
lavoro non sorretta dal dato normativo.

10.2.- Il recente intervento del legislatore, con la
L. n. 198/2016, si pone in linea di continuità
e coerenza con questo orientamento. L’art. 5 della L. cit. ha
disposto la sostituzione dell’art.
45, che attualmente così dispone: «Art. 45. (Esercizio della
professione). – 1. Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione
di giornalista se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in
quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale
competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma
degli articoli 348 e 498
del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave».

10.3.- La nuova formulazione della norma supera i
dubbi interpretativi derivanti dalla espressione «professione di giornalista»,
che oggi indubbiamente connota l’attività tanto del giornalista professionista
tanto del pubblicista, e consente altresì di predicare la legittimità
dell’attività del pubblicista che sia iscritto nel relativo elenco.

11.- Dall’assimilabilità su evidenziata del
collaboratore fisso al pubblicista discende l’enunciazione del seguente
principio di diritto: «In tema di rapporto di lavoro giornalistico, l’attività
del collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e
responsabilità di un servizio rientra nel concetto di “professione
giornalistica”. Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione
necessaria e sufficiente la iscrizione del collaboratore fisso nell’albo dei
giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti:
conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma
imperativa contenuta nell’art.
45 L. n. 69/1963 il contratto di lavoro subordinato del collaboratore
fisso, iscritto nell’elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga
l’attività giornalistica in modo esclusivo».

12.- L’accoglimento del primo motivo, con la
cassazione della sentenza, assorbe la questione posta nel secondo motivo,
dovendo l’intera controversia, anche in ordine alla cessazione del rapporto,
essere riesaminata dal giudice del rinvio alla luce dei principi di diritto su
enunciati. Al giudice del rinvio spetterà regolare le spese del giudizio di
legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche
per le spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 gennaio 2020, n. 1867
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