Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2020, n. 2238

Licenziamento per giusta causa, Indennità risarcitoria,
Violazione del regolamento aziendale, Utilizzazione per la propria spesa di
una carta fedeltà dimenticata da una cliente, Valutazione di gravità della
condotta

 

Fatti di causa

 

Con sentenza in data 26 luglio 2018, la Corte
d’appello di L’Aquila dichiarava risolto il rapporto di lavoro tra S.C. e S.
s.p.a. alla data del licenziamento intimato alla prima dalla seconda per giusta
causa il 22 aprile 2016 e condannava la società datrice al pagamento, in favore
della lavoratrice a titolo di indennità risarcitoria, di quindici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori: così riformando la
sentenza di primo grado, che aveva escluso la ricorrenza della giusta causa,
ordinato la reintegrazione della lavoratrice e condannato la società al
pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal
licenziamento all’effettiva reintegrazione.

A motivo della decisione, la Corte territoriale
riteneva, per le scrutinate modalità della condotta e la reazione
nell’immediatezza e le successive giustificazioni della lavoratrice,
l’intenzionalità (a differenza del Tribunale che aveva invece ravvisato una dimenticanza
incolpevole) dell’utilizzazione per la propria spesa, a fine turno di cassa nel
supermercato di S. s.p.a. presso cui lavorava, di una carta fedeltà dimenticata
da una cliente, in violazione del regolamento aziendale da lei ben conosciuto
(avendo lavorato ivi oltre dieci anni), anziché restituirla.

Tenuto tuttavia conto dell’assenza di altre sanzioni
disciplinari nell’intera carriera lavorativa, della non diretta incidenza del
comportamento sulla specifica attività di cassiera e del modesto danno per la
società (avendo cumulato la cliente sulla carta fedeltà indebitamente
utilizzata 750 punti per un importo di € 5,00), la Corte aquilana escludeva la
notevole gravità della condotta, qualificandola “altra ipotesi” alla
stregua del novellato art. 18,
quinto comma I. 300/1970 ed applicando pertanto la tutela indennitaria
nella misura suindicata, computata sulla retribuzione part time percepita dalla
lavoratrice.

Con atto notificato il 24 settembre 2018 S.C.
ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui S. s.p.a. resisteva con
controricorso, contenente ricorso incidentale con unico motivo.

 

Ragioni della decisione

 

1. Evidenti ragioni di pregiudizialità
logico-giuridica rendono opportuno avviare la trattazione dall’illustrazione
del ricorso incidentale.

Con unico motivo, la società controricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 225, 229 CCNL in relazione
agli artt. 2104, 2105,
1175, 1176, 1375 e 2106 c.c.,
per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza della giusta causa di
licenziamento nella condotta della lavoratrice, ostativa alla prosecuzione,
neppure temporanea, del rapporto di lavoro e pertanto lesiva del vincolo di
fiducia tra le parti, così errando nel negare al comportamento addebitato il
carattere di notevole gravità.

1.1. Esso è infondato.

1.2. Non si configura, infatti, la violazione dell’art. 2119 c.c., non rilevando qui (come ancora
recentemente ritenuto da: Cass. 10 luglio 2018, n.
18170) una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa
interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd.
“elastica” (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta
causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del
giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data
concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico –
sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la
sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della
giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in
relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre
1998, n. 10514). E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di
cassazione, dell’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal
giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo
operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente
contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del
predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento,
esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile
2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

1.3. Nel caso di specie, la società censura invece
la valutazione di gravità della condotta operata dalla Corte territoriale, che
l’ha esclusa sulla base di un ragionamento argomentativo congruo (non essendo
stato ritenuto “il comportamento posto in essere … di
“notevole”gravità”al terzo capoverso di pg. 7 della sentenza).
Ed infatti, la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità dei
fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore
nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo
hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia nel
giudizio del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e
congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica
motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018,
n. 23046).

2. Con il primo motivo, la lavoratrice ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
2106, 2119, 2697,
2729 c.c., 5 I. 604/1966, per la mancata
prova, essendone addirittura stato invertito l’onere sulla lavoratrice, della
sussistenza di una giusta causa di licenziamento, a carico del datore di lavoro
e dell’intenzionalità della condotta tenuta dalla medesima, erroneamente
presunta, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, inerente la
condotta contestata.

3. Con il secondo, ella deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1455 e 2119 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi per il
giudizio, in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, alla
presunta gravità dei fatti addebitati, alla insussistenza dell’elemento
intenzionale della lavoratrice e alla proporzionalità tra la condotta e la
sanzione irrogata.

4. Con il terzo, la ricorrente deduce omesso esame
di fatti decisivi per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2016, 2119 c.c. e 229 CCNL di settore, per la mancata
proporzionalità della sanzione applicata, erroneamente graduata in relazione
alla non particolare gravità del fatto rispetto ad infrazioni ben più gravi,
per le quali è stabilita dall’art. 225 CCNL di settore una sanzione
conservativa e dall’art. 229 dello stesso CCNL la sanzione espulsiva.

4.1. Essi sono congiuntamente esaminabili, per
ragioni di stretta connessione e sono infondati.

4.2. In via di premessa, giova chiarire che la
qualificazione di “altra ipotesi”, per la quale, a norma dell’art. 18, quinto comma I. 300/1970
(nel testo novellato dalla I. 92/2012 applicabile
ratione temporis), il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro ed applica
l’indennità risarcitoria ivi stabilita, presuppone l’accertamento di esclusione
(“non ricorrono”) de”gli estremi … della giusta causa”.

4.3. Inoltre, l’art. 18, quarto comma I. cit.
riconosce la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto
contestato, nonché nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente
irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore. La
non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato
rientra, invece, nel suddetto quarto comma quando dai contratti collettivi
ovvero dai codici disciplinari applicabili, risulti la previsione per esso di
una sanzione conservativa; qualora ciò non si verifichi, si realizzano le
“altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo
o della giusta causa, per le quali il quinto comma dell’art. 18 prevede la tutela indennitaria cd.
forte (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178; Cass. 16 luglio 2018, n. 18823).

4.4. Qualora vi sia dunque sproporzione tra sanzione
e infrazione, deve essere riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta
addebitata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti
collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione
conservativa: così ricadendo pertanto il difetto di proporzionalità tra le
“altre ipotesi” stabilite dall’art.
18, quinto comma, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela
indennitaria cd. forte (Cass. 12 ottobre 2018, n.
25534; Cass. 20 maggio 2019, n. 13533).

4.5. La Corte territoriale, in esatta applicazione
dei suenunciati principi di diritto, con accertamento in fatto congruamente
argomentato sulla base di un attento e critico scrutinio delle risultanze
istruttorie (per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 5 al primo di
pg. 7 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19
marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013,
n. 24679; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197), ha ritenuto “il fatto
addebitato … sussistente nel suo elemento oggettivo e soggettivo” (nella
letteralità dell’espressione al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza). E
lo ha sanzionato, sulla base i un giudizio di proporzionalità di spettanza
esclusiva del giudice di merito, parimenti insindacabile in sede di legittimità
ove congruamente giustificato (Cass. 8 gennaio
2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788;
Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre
2018, n. 23046), come appunto nel caso di specie, per la ragionevolezza
argomentativa di esclusione della “notevole gravità” (al terzo
capoverso di pg. 7 della sentenza).

4.6. Neppure sussiste, infine, la denunciata
inversione dell’onere della prova, posto che ricorre una violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.,
soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia appunto attribuito l’onere della
prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di
scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi
ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il
giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n.
15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).

Ma neppure si configura una violazione dell’art. 2729 c.c., sindacabile da questa Corte
nell’esercizio della sua funzione nomofilattica di controllo che i principi
contenuti nell’art. 2729 c.c. siano applicati
alla fattispecie concreta al fine della ascrivibilità di questa a quella
astratta, essendo stata piuttosto oggetto di censura la valutazione, di
spettanza esclusiva del giudice di merito, della ricorrenza dei requisiti
enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. per valorizzare gli elementi di fatto
quale fonte di presunzione, in assenza di una specifica indicazione dei criteri
giuridici in tema di formazione della prova critica non osservati dal giudice,
che si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in
giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi
(Cass. 5 maggio 2017, n. 10973): operazione che la Corte aquilana ha anzi
adeguatamente compiuto.

4.7. Sicché, i mezzi congiuntamente scrutinati si
risolvono in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria e
dell’accertamento del fatto della Corte territoriale, insindacabili per le
ragioni dette.

Neppure, infine, essendo correttamente dedotta, con
il secondo e il terzo motivo, la denuncia di omesso esame di fatti, non
configuranti alcun fatto storico, secondo l’ambito devolutivo più circoscritto
e il paradigma deduttivo previsti dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10
febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015,
n. 21439), né tanto meno decisivi, anche per la pluralità della loro deduzione
(Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28
maggio 2018, n. 13625), che nega in radice la decisività del fatto (come già
detto neppure tale).

5. Dalle superiori argomentazioni discende il
rigetto di entrambi i ricorsi, con la compensazione integrale delle spese del
giudizio tra le parti e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante
nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di
Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi e compensa interamente le
spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente
incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma
del comma 1 bis, dello stesso art.
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2020, n. 2238
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