Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2020, n. 2147

Tributi, Tassazione agevolata per incentivo all’esodo,
Controversia di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore, Somma corrisposta in
sede di conciliazione, Esclusione della tassazione agevolata

 

Ritenuto che

 

L’Amministrazione finanziaria emetteva sei avvisi di
accertamento ai fini Ires, Irap ed Iva, per le annualità 2003, 2004 e 2005, nei
confronti della società B. s.p.a. e della società D.M. s.r.l., avendo la
società B. aderito al consolidato fiscale nazionale nella qualità di società
controllata dalla società D.M., controllante.

La Commissione tributaria provinciale, dopo aver
riunito i ricorsi presentati autonomamente dalle due società, li accoglieva
solo in parte, riconoscendo alle ricorrenti le perdite su crediti,
limitatamente al fallimento della società S. s.p.a., con conseguente ricalcolo
dell’Ires, nonché riduceva gli importi dei corrispettivi per l’imponibile Iva;
l’Ufficio presentava appello avverso tale decisione, con riferimento ai capi di
cui era rimasto soccombente, e, a sua volta, anche le società contribuenti
presentavano appello incidentale.

La Commissione tributaria regionale
dell’Emilia-Romagna, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello
dell’Agenzia delle entrate, confermando integralmente la sentenza dei primi
giudici; in particolare, quanto all’Iva, riteneva che il recupero ambientale
previsto dalla convenzione a carico della società B., non poteva ritenersi
soggetto all’Iva, in quanto non sussisteva, nella convenzione con il Comune di
San Sebastiano dal Po, da cui scaturiva il relativo obbligo, alcun elemento per
qualificare la prestazione di riqualificazione ambientale come prestazione di
servizi di fonte negoziale; quanto alla ripresa a tassazione di ritenute non
operate e relative sanzioni, riteneva che l’aliquota agevolata di cui agli artt. 17 e 19 del d.P.R. n. 917 del 1986, è
applicabile anche quando l’incentivo all’esodo riguardi un solo dipendente. La
Commissione regionale riteneva, altresì, infondate tutte le questioni poste
dalle società contribuenti con gli appelli incidentali.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per
Cassazione affidandosi a due motivi cui resistono con controricorso le società
contribuenti.

La società contribuente B. s.p.a. propone ricorso
incidentale.

La società D.M. s.r.l., propone ricorso incidentale.

In prossimità dell’udienza, la società B. s.p.a.,
deposita memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ..

 

Considerato che

 

1. Col primo motivo di ricorso, l’Agenzia
dell’Entrate assume la violazione degli artt. 17 e 19, comma 4 bis, del d.P.R. n. 917 del
1986, in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, cod. proc. civ., per aver i giudici di secondo grado tralasciato di
considerare che, nell’annullare la ripresa a tassazione di ritenute non operate
e non versate nell’anno 2004 e relative sanzioni, tra la B. ed il lavoratore
v’era stata una controversia di lavoro che si era, poi, composta attraverso una
conciliazione ai sensi dell’art. 411 cod. proc.
civ., in conseguenza della quale, la società aveva corrisposto al
lavoratore la somma di euro 741.000,00, somma che, dunque, non poteva
beneficiare del trattamento di favore (riduzione del 50% dell’aliquota)
previsto per le somme versate a titolo di incentivo all’esodo.

2. Col secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 3, comma 1, 11, comma 1, 13, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 633
del 1972, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui i secondi giudici hanno
escluso la sussistenza di un’operazione permutativa, senza valutare il rapporto
di sinallagmaticità tra le prestazioni scaturenti dalla convenzione inter
partes (escavazione del materiale sabbio-ghiaioso in cambio della prestazione
di rimodellamento geomorfologico ai fini del recupero ambientale).

3. Con il terzo motivo, assume il vizio di
motivazione insufficiente, contradditoria ed illogica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in
ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale la disamina delle
pattuizioni convenzionali, contenute nell’avviso di accertamento, dalle quali
emergerebbe che gli interventi di sistemazione ambientale costituiscono
attività primaria ed a sé stante, tale da costituire un’autonoma prestazione di
servizi e non, invece, una mera attività obbligatoria e conseguenziale da
eseguirsi a seguito dell’escavazione del materiale inerte.

4. Le società controricorrenti, deducono
l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza del gravame dell’Agenzia
dell’entrate; propongono, poi, ricorso incidentale.

5. Le eccezioni preliminari sollevate dalle società
controricorrenti d’inammissibilità del ricorso principale per carenza di
legittimazione dell’Avvocatura generale dello Stato e per violazione del
principio di autosufficienza del ricorso, sono infondate.

5.1. Quanto alla legittimazione dell’Avvocatura
generale dello Stato, è sufficiente richiamare l’orientamento di questa Corte
secondo cui: «In tema di rappresentanza e difesa in giudizio, le Agenzie
fiscali, ai sensi dell’art. 72 del
d.lgs. n. 300 del 1999, possono avvalersi, ex art. 43 del r.d. n. 611 del
1993, del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che, in forza di tali
disposizioni, si pone con esse in un rapporto d’immedesimazione organica, ben
diverso da quello determinato dalla procura “ad litem”, che trova
fondamento nell’ “intuitus fiduciae” e nella personalità della
prestazione. Ne consegue che gli avvocati dello Stato esercitano le loro
funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede, senza bisogno
di mandato, neppur quando, come nel caso del ricorso per cassazione, è
richiesto il mandato speciale e che, avendo la difesa dell’Avvocatura dello
Stato carattere impersonale, ed essendo quindi gli avvocati dello Stato
pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo
giudizio, l’atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è
apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l’atto,
unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale
abilitante alla difesa» (cfr. Sez. 5, Sentenza n.
4950 del 28/03/2012, Rv. 621742-01; Sez. 5,
Ordinanza n. 13627 del 30/05/2018, Rv. 648677-01).

5.2. Quanto all’eccezione di difetto di
autosufficienza del ricorso principale, essa è inconferente, rispondendo il
ricorso pienamente ai requisiti di cui all’art. 366
cod. proc. civ.

6. Passando al merito, il primo motivo di ricorso
principale è fondato e va accolto.

7. Non è contestato tra le parti che, in data
26.10.2004, è intervenuta una conciliazione, sfociata in un verbale innanzi
alla Commissione provinciale del lavoro, con la quale l’ing. M.V. e la B.
s.p.a. risolvevano consensualmente, alla w data del 23/09/2004, il rapporto di
collaborazione dirigenziale dell’ing. V. presso la predetta società, con
calcolo delle competenze dovute per il trattamento di fine rapporto con
riferimento al 30.09.2004 (v., a pagina 8 del ricorso, la trascrizione del
verbale di conciliazione).

7.1. Ciò che è contestato è la qualificazione
giuridica delle somme corrisposte, per euro 741.000,00, dalla società datrice
di lavoro al lavoratore, e cioè se trattasi di somme incentivanti l’esodo e
come tali soggette ad aliquota agevolata di cui all’art. 19, comma 4-bis, del d.P.R. n. 917
del 1986 o, invece, di somme corrisposte quale normale trattamento di fine
rapporto e, quindi, soggette a tassazione separata per l’intero ammontare (art. 17, comma 1, lett. a), e art. 51 d.P.R. cit.).

7.2. La sentenza impugnata ha ritenuto che, poiché
le norme agevolative riguardanti l’incentivo all’esodo sono applicabili anche
ad un solo dipendente a prescindere, dunque, dall’esistenza di un piano di
ristrutturazione aziendale o di riduzione del lavoro, la somma corrisposta
dalla B. al lavoratore doveva considerarsi soggetta all’aliquota agevolata di
cui all’art. 19, comma 4-bis, d.P.R.
cit., confermando, conseguentemente, la decisione dei primi giudici di
annullamento della ripresa a tassazione su tali somme.

8. Vero è che la giurisprudenza di questa Corte,
richiamata dai secondi giudici, che qui si condivide, ha affermato che l’art. 19 (già art. 17), comma 4-bis, del d.P.R. n. 917 del 1986
(nella formulazione vigente “ratione temporis”) – che ha introdotto
per i contributi d’incentivo all’esodo dei lavoratori dipendenti un’aliquota
dimezzata rispetto a quella per il trattamento di fine rapporto – si applica
alle somme corrisposte al lavoratore a titolo d’incentivo per le dimissioni
anticipate, indipendentemente dal carattere individuale o collettivo della
corrispondente pattuizione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Ordinanza n. 33628 del
28/12/2018, Rv. 652129-01). E’ stato, altresì, chiarito che, al fine di
favorire l’obiettivo del legislatore di razionalizzare le risorse aziendali e
creare nuove opportunità di lavoro, l’art.
19, comma 4-bis, del d.P.R. cit., è applicabile a tutti i lavoratori i
quali abbiano superato una determinata età anagrafica, anche se non in possesso
dei requisiti minimi per l’età pensionabile e che il suo ambito operativo non
può essere ridotto con l’inserimento negli accordi aziendali di limiti non
contemplati dalla legge, in quanto, ai fini del riconoscimento
dell’agevolazione, le aziende non sono tenute a prevedere piani ed incentivi
generalizzati o indirizzati ad una pluralità di destinatari (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 24313 del 29/11/2016, Rv.
641759-02; Sez. 6-5, Sentenza n. 19626 del
17/09/2014, Rv. 632461-01).

8.1. Tuttavia, è pur vero che questa Corte ha
evidenziato che le agevolazioni di cui all’art. 19, comma 4-bis, d.P.R. cit.,
costituiscono eccezioni, di strettissima interpretazione, al regime comune,
insuscettibili di trovare applicazione analogica in quanto pongono una deroga
al principio di capacità contributiva, sicché tutto quanto non sia sussumibile
con certezza nella speciale previsione agevolativa ricade nel regime fiscale
ordinario; la prova dei presupposti di fatto cui le agevolazioni sono collegate
deve essere fornita dal contribuente che la invoca (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 2931 del 06/02/2009, Rv.
606469-01).

9. Alla luce di tali principi, non v’è dubbio che la
fattispecie in esame esula dalle disposizioni richiamate.

9.1. La conciliazione di lavoro intervenuta inter
partes, riguarda presupposti del tutto diversi ed incompatibili, con il cd.
incentivo all’esodo proprio in quanto, per sua natura, presuppone una lite
attuale o potenziale dalla quale si è originata. Nella specie, cioè, la
conciliazione ha determinato lo scioglimento anticipato del rapporto di lavoro,
per il quale il lavoratore ha ottenuto, a titolo di trattamento di fine
rapporto, una somma di denaro (v. verbale di conciliazione trascritto in
ricorso); è evidente, quindi, che il presupposto di fatto da cui si è originato
tale versamento ha una causa propria e diversa da quella che riguarda la
corresponsione di somme per incentivare l’esodo anticipato di un lavoratore
prossimo alla pensione, finalità, quest’ultima, che le norma in parola
persegue, stabilendo specifici ed inderogabili requisiti.

9.2. Ha ragione, dunque, la ricorrente di dolersi
dell’errata qualificazione giuridica della fattispecie da parte della CTR e
della violazione delle norme che regolano la materia, in base alle quali,
invece, i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere legittimo il rilievo
mosso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società B., considerato
sia il contenuto della conciliazione, sia la circostanza che la società datrice
di lavoro nulla ha provato circa i presupposti di fatto cui le agevolazioni
invocate sono collegate per legge.

10. Il secondo motivo di ricorso principale è
fondato e va accolto, previo assorbimento del terzo.

10.1. La questione che si pone riguarda
essenzialmente il se le prestazioni pattuite tra la società e il Comune di San
Sebastiano Dal Po, in virtù della convenzione di riqualificazione ambientale e
di estrazione di materiale sabbio-ghiaioso, stipulata inter partes in data
20/02/2003, realizzino, oppur no, un’operazione permutativa rilevante ai fini
dell’imposizione Iva.

10.2. L’Ufficio ha inquadrato l’operazione in una
permuta (a fronte dell’attività di rimodellamento geomorfologico ai fini
ambientali, la B. poteva estrarre e commercializzare del materiale ghiaioso)
assoggettando ad Iva, ex art. 11 del
d.P.R. n. 633 del 1972, anche le prestazioni di servizi inerenti al
recupero ambientale.

10.3. I giudici di secondo grado hanno disatteso i
rilievi dell’Ufficio, ritenendo che: «… il fatto che la convenzione preveda
la riqualificazione ambientale mediante asportazione di materiale inerte
conferma l’ipotesi…che l’attività estrattiva si risolva praticamente in
quella che le parti hanno inteso effettivamente convenire, tanto che la stessa
appare quasi di per sé esaustiva al fine della riqualificazione
ambientale…non può certo sostenersi che tale intervento debba considerarsi
una prestazione di servizio imponibile ai fini Iva tenuto conto dell’assenza di
specifiche indicazioni sui costi e sugli interventi di rimodellamento
morfologico e di ritombamento e dunque non essendo sussistente un chiaro
rapporto negoziale configurante una prestazione di servizi» (v. sentenza pag.
3).

11. L’art.
11 del d.P.R. cit., rubricato “Operazioni permutative e dazioni di
pagamento”, al primo comma, prevede che:«Le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o
prestazioni di servizi o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette
all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono
effettuate.». Detta disposizione, nel traguardare le operazioni permutative ai
fini Iva, amplia la nozione civilistica del contratto di permuta, di cui all’art. 1552 cod. civ., in quanto prevede un oggetto
più ampio per la permuta rilevante ai fini fiscali, ricomprendendo non solo lo
scambio tra proprietà di cose o di altri diritti da un contraente all’altro, ma
anche lo scambio di servizi con altri servizi (cfr. Cass. n. 16173 del
23/12/2000 e n. 28723 del 30/11/2017).

11.1. Sul punto, questa Corte ha evidenziato che il
fatto che l’esecuzione della prestazione di servizi corrisponda all’impegno di eseguire
una cessione di beni oppure di eseguire un’altra prestazione di servizi, non è
di ostacolo alla configurazione dell’operazione permutativa, atteso che è il
risultato traslativo – consistente nell’attribuzione dell’utilità derivante
dalla futura prestazione di servizi o dalla futura cessione di beni di una
determinata opera da realizzare, coincidente con il bene futuro – ad essere
assunto come termine di scambio con la prestazione di servizi già eseguita,
corrispondente al bene presente (in termini, con riguardo alla permuta, Cass. 22/12/2005 n. 28479 e 25/10/2003 n. 24172,
richiamate da Sez. 5, Sentenza n. 25661 del 2018
e da Cass. Sez. 5 n. 7947 del 21/03/2019, entrambe non massimate).

11.2. Da tali principi ne deriva che la permuta
rilevante ai fini Iva, e, quindi, rilevante a norma dell’art. 11 d.P.R. cit., non va
considerata come un’unica operazione, ma come più operazioni tra loro indipendenti,
anche se assistite dal vincolo di corrispettività, alle quali va applicata
atomisticamente l’iva, e che tali operazioni sono da ritenere imponibili al
momento della loro esecuzione. In tal senso, è stato soggiunto che, nel caso di
permuta di servizi con altre prestazioni di servizi, il ricevimento da parte di
uno dei due contraenti del servizio, equivale, in parte qua, al pagamento del
corrispettivo (pagamento che, in tal caso, avviene in natura), sicché a tale
momento dell’operazione si considera effettuata e sorge l’obbligo di emissione
della fatturazione (così, Cass. n. 7947 del 2019).

12. Venendo alla convenzione tra la B. ed il Comune
di San Sebastiano dal Po, si rileva che – come è evidente dal tenore della
convenzione stessa, corrispondente evidentemente alla reale volontà delle
parti, mai posta in dubbio nel corso del giudizio di merito – la
riqualificazione ambientale costituisse una delle due prestazioni previste in
concreto nell’accordo contrattuale, di talché la concessione per l’estrazione e
la commercializzazione del materiale ghiaioso si è posta in vincolo di
sinallagmaticità con il progetto di rimodellamento geomorfologico; nella
specie, quindi, si è di fronte all’ipotesi di operazione permutativa
configurata dalla norma in parola, poiché l’attribuzione dell’utilità derivante
dalla futura prestazione di servizi della riqualificazione ambientale ha
costituito il risultato traslativo e, quindi, lo scambio con la prestazione di
servizi già eseguita.

12.1. Posto, dunque, che si tratta di un’operazione
permutativa senz’altro riconducibile alla disposizione di cui all’art. 11 d.P.R. cit., aderendo alla
giurisprudenza innanzi richiamata, le due operazioni che compongono la
complessiva operazione vanno sottoposte ad imposizione separatamente e,
altrettanto separatamente, vanno assoggettate agli obblighi formali e
sostanziali ai fini Iva e sono da ritenere imponibili al momento della loro
esecuzione.

13. Come pure evidenziato da tutte le pronunce
richiamate, tali conclusioni risultano in linea con la giurisprudenza della
Corte europea in materia di Iva (v. la motivazione di Cass. n. 7947 del 2019),
secondo cui le operazioni permutative debbono qualificarsi quale operazioni a
titolo oneroso e le reciproche prestazioni che ne derivano vanno assoggettate
ciascuna, in modo autonomo, all’imposizione Iva (cfr., in particolare, in tema
di operazioni permutative, CGEU 13/06/2018, causa C-
421/17 Polfarmex Spolka Akcyjna w Kutnie: «alla luce della reciprocità
delle prestazioni tra le… società della duplice qualità di ciascuna parte
nell’ambito del loro rapporto giuridico, in quanto fornitore da un lato
beneficiario dall’altro… le due operazioni devono essere distinte». L’autonomia
tra le due prestazioni oggetto dell’operazione permutativa, si evince da una
serie di pronunce tra cui, cfr. CGUE, sentenza 26/09/2016, in causa C-283/12 –
Serebryannay vek EOOD, che ha ritenuto che la possibilità di qualificare
un’operazione titolo oneroso presuppone unicamente l’esistenza di un nesso
diretto tra la cessione di beni e la prestazione di servizi e un corrispettivo
effettivamente percepito nel soggetto passivo; cfr. CGUE sentenze 3/09/2009,
RCI Europe, C-37/08 e 3/05/2012, Lebara, C-520/10, secondo cui tale nesso diretto esiste
qualora tra il prestatore ed il destinatario della prestazione di servizi
intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di
reciproche prestazioni ed il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il
controvalore effettivo del servizio prestato destinatario; cfr. CGUE sentenza
03/07/2001, Bertelsmann, C – 380-99, secondo cui il corrispettivo della
cessione di beni ben può consistere in una prestazione di servizi e costituire
la base imponibile ai sensi dell’articolo 73 della direttiva Iva, a condizione,
tuttavia, che esista un nesso che colleghi direttamente la cessione di beni e
la prestazione di servizi e che il valore di quest’ultima possa essere espresso
in denaro; con riferimento alle operazioni permutative (ove il corrispettivo è
per definizione in natura) ed all’identità delle situazioni derivanti da
prestazioni di servizi in cui il corrispettivo in denaro, cfr., altresì, CGUE
03/07/1997 Goldsmiths, C. 330-95 e 19/12/2012 Orfey C-549-11).

14. In conclusione, la sentenza della CTR non si è
adeguata ai principi di diritto appena illustrati, avendo in radice escluso che
le prestazioni riguardanti la riqualificazione ambientale potessero essere
prestazioni di servizi imponibili ai fini Iva, per l’assenza «di specifiche
indicazioni sui costi e sugli interventi di rimodellamento morfologico e di
ritombamento»; tale decisione, in contrasto con i principi generali su esposti,
non ha considerato che, trattandosi di permuta di servizi, il risultato è dato
dalla utilità conseguente allo scambio, in quanto il ricevimento da parte di
uno dei due contraenti del servizio, equivale, in parte qua, al pagamento del
corrispettivo – che avviene in tal caso in natura- e fa sorgere l’obbligo di
imposizione Iva.

14.1. Per maggior chiarezza, si aggiungono le
seguenti considerazioni. Sul piano funzionale il vincolo di sinallagmaticità
non è altro che il nesso di interdipendenza tra le prestazioni, senza che il
diverso valore delle prestazioni possa far venir meno detto vincolo
sinallagmatico, sia perché allorquando le parti abbiano scelto di porre in
essere un’operazione permutativa, la sinallagmaticità entra a far parte della
causa del negozio, sia perché il giudizio sul valore delle reciproche
prestazioni è rimesso – nei limiti di legge – alle parti. D’altro canto, anche
nell’ambito dello schema civilistico della permuta, se una prestazione vale più
dell’altra, ciò non incide sulla sinallagmaticità, potendo, al più, far sorgere
l’ulteriore prestazione del conguaglio. Per giunta, nella specie, nessuno delle
parti contesta che, quella di cui alla convenzione, sia un’operazione fittizia,
confermandosi così la causa permutativa della convenzione.

14.2. Né, ai fini della qualificazione della
permuta, appaiono conferenti le difese delle società, circa gli obblighi
pubblicistici derivanti dalla convenzione inter partes, posto che la pubblica
amministrazione ben può realizzare un fine pubblico (nella specie la
riqualificazione ambientale) mediante l’attività contrattuale ordinaria (art. 1, comma 1 bis, I. n. 241 del
1990), fermo restando, si ripete, il vincolo di funzionalizzazione, che
lega la p.a. al perseguimento del pubblico interesse.

16. I ricorsi incidentali delle società B. s.p.a. e
D.M. s.r.l., sono infondati.

16.1. Con il primo motivo, così rubricato:
«violazione in falsa applicazione degli artt. 6, 7, 18 della L.R. del Piemonte
del 22 novembre 1978 n. 69, del piano d’area del Parco del Po, approvato con
deliberazione del consiglio regionale del Piemonte n. 982-4328 in data 8 marzo
1985 e 243-17401, in data 30 maggio 2002, in relazione all’articolo 360 n.3 c.p.c.», le società ricorrenti
deducono che la Commissione Regionale dell’Emilia-Romagna avrebbe errato
nell’interpretazione della normativa richiamata, riconducendo erroneamente la
fattispecie concreta nell’ambito di un rapporto giuridico di natura privatistica
tra l’ente locale e le società riguardando, invece, tale convenzione una
concessione amministrativa (v. pag. 64-69 di entrambi i controricorsi).

16.2. Con il secondo motivo, così rubricato:
«insufficiente contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso
decisivo per il giudizio relazione all’articolo
360, n. 5, c.p.c.», le società deducono il vizio di motivazione nella parte
la sentenza impugnata non ha sufficientemente motivato il procedimento logico
che ha indotto secondi giudici a ritenere tassabile, ai fini Iva, l’estrazione
di materiale sabbio-ghiaioso.

16.3. Infine, denunciano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972,
asserendo che lo sfruttamento di una cava, contrariamente a quanto sostenuto
dalla Commissione regionale, non può costituire attività commerciale,
imponibile ai fini Iva, ma che rientra nei compiti istituzionali dell’Ente.

17. Tutti e tre i motivi di ricorso incidentale si
esaminano congiuntamente in quanto con essi si deduce, a vario titolo, e con
argomentazioni sostanzialmente ripetitive, la stessa questione relativa alla
qualificazione dell’attività di utilizzazione della cava.

18. In disparte la considerazione che ben può la
p.a. concludere contratti di natura privatistica, dismettendo la veste di
autorità pubblica pur nel rispetto del vincolo di funzionalità (interesse
pubblico), le censure di violazione di legge e di vizio di motivazione
formulate dalle controricorrenti si infrangono tutte in quanto si risolvono,
nella sostanza, in una inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e
circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Le controricorrenti,
infatti, pur formalmente denunciando i vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360, primo comma, cod. pro. civ., richiedono
nella sostanza una rivisitazione delle risultanze procedimentali (v., tra
l’altro, pag. 36 dei controricorsi: «la suddetta convenzione… trova il suo
fondamento… in un complesso di leggi e provvedimenti che hanno posto a carico
della società ricorrente una serie di obblighi pubblicistici….»),
insindacabili in questa sede, afferenti all’interpretazione del rapporto
scaturente dalla convenzione intervenuta tra le parti.

18.1. In particolare, quanto all’interpretazione del
contenuto della convenzione negoziale per cui è causa, alla luce della
giurisprudenza più che consolidata di questa Corte in tema di ermeneutica
contrattuale, va ribadito il principio secondo cui il sindacato di legittimità
non può investire il risultato interpretativo che appartiene al giudice di
merito nell’ambito del giudizio di fatto cui è preposto, ma può riguardare esclusivamente
il rispetto dei canoni normativi di interpretazione di cui agli articoli 1362 e seguenti del codice civile, con la
conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della
ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che non sia
proposta come violazione dei canoni di interpretazione dei contratti di cui
alle disposizione del codice civile. Tra l’altro, nella specie, le censure non
sono neppure accompagnate dall’esposizione del contenuto della convenzione, né
dall’indicazione specifica delle regole interpretative che si assume siano
state violate, il che evidenzia la totale inammissibilità delle relative
censure, sotto i profili di cui all’art. 366 cod.
proc. civ.

19. Il ricorso incidentale delle due società va,
pertanto, rigettato.

20. Conclusivamente, in accoglimento del ricorso
principale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR dell’Emilia
Romagna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della
controversia, in base ai principi di diritto su esposti. La CTR in sede di
rinvio è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio
di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale per quanto esposto in
motivazione;

rigetta i ricorsi incidentali; cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi di ricorso principale accolti e rinvia alla
Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione,
anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2020, n. 2147
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