Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 febbraio 2020, n. 2395

Infortunio sul lavoro, Macchinario difettoso, Responsabilità
– Concorso di colpa

 

Fatti di causa

 

G.B. ha agito in giudizio nei confronti di S. S.r.l.
per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio sul
lavoro avvenuto mentre utilizzava un macchinario prodotto da tale società.

La società convenuta, avendo dedotto, tra l’altro,
che la responsabilità dell’infortunio era in realtà imputabile alla società
datrice di lavoro dell’attore (D. di D.F. & C. S.a.s.), ha chiesto
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima, ai sensi
dell’art. 102 c.p.c.

L’istanza non è stata accolta.

Nel corso del giudizio è intervenuto l’INAIL
chiedendo alla società convenuta la restituzione degli importi erogati al
lavoratore a titolo di indennità.

Le domande dell’attore e dell’istituto intervenuto
sono state accolte dal Tribunale di Milano.

La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma
della decisione di primo grado, ha ridotto l’importo liquidato a titolo di
risarcimento del 30%.

Ricorre la S. S.r.l., sulla base di sette motivi.

Resiste con controricorso l’INAIL.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede
l’altro intimato. La società ricorrente ha depositato atto di costituzione di
nuovo difensore nonché memoria ai sensi dell’art.
378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia
«Lesione del litisconsorzio necessario – violazione dell’art. 102 c.p.c.(Cass. SS.UU n. 22776/2012)».

Con il secondo motivo si denunzia «Segue. Nullità
del procedimento di II grado».

I primi due motivi del ricorso costituiscono
espressione della medesima censura; possono quindi essere esaminati
congiuntamente.

La società ricorrente deduce di avere indicato,
nelle proprie difese, il datore di lavoro dell’attore come esclusivo
responsabile del danno da questi subito e sostiene che ciò avrebbe determinato
la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con tale
soggetto; non essendo stato il contraddittorio integrato nei confronti dello
stesso, ne fa discendere la violazione dell’art.
102 c.p.c. e la nullità dell’intero giudizio, di primo e secondo grado.

Le censure sono infondate.

Nel caso in cui il convenuto in un giudizio
risarcitorio prospetti l’esclusiva responsabilità di un terzo per il danno
allegato dall’attore, non si determina affatto una ipotesi di litisconsorzio
necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c. con il
terzo indicato quale responsabile.

II convenuto stesso può eventualmente chiederne la
chiamata in causa ai sensi dell’art. 106 c.p.c.
ovvero detta chiamata può essere eventualmente disposta dal giudice,
nell’esercizio di una sua facoltà discrezionale non sindacabile in sede di
impugnazione, ai sensi dell’art. 107 c.p.c.
(cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6208 del
13/03/2013, Rv. 625938 – 01: «la contestazione della legittimazione passiva
da parte del convenuto, con l’indicazione di un terzo quale soggetto
effettivamente legittimato danno luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio
facoltativo, dal quale deriva a carico del giudice solo la facoltà, non
sindacabile in sede di gravame, presupponendo una valutazione discrezionale, di
ordinare la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell’art. 107 c.p.c.»; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n.
22596 del 01/12/2004, Rv. 579364 – 01; Sez. L, Sentenza n. 4129 del 22/03/2002,
Rv. 553204 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7083 del 22/06/1995, Rv. 493031 – 01).

Solo laddove effettivamente avvenga la chiamata in
giudizio del terzo, peraltro, si determina (non una ipotesi di litisconsorzio
necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c., ma)
una ipotesi di inscindibilità di cause, per dipendenza, e quindi di
litisconsorzio necessario meramente processuale (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza
n. 4722 del 28/02/2018, Rv. 647631 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 11946 del
08/08/2003, Rv. 565766 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13397 del 29/10/2001, Rv.
549891 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 3114 del 01/04/1999, Rv. 524813 – 01).

Quanto sin qui osservato è sufficiente a dar conto
dell’infondatezza delle censure di cui ai motivi di ricorso in esame, formulate
esclusivamente sulla base della deduzione dell’insussistente violazione dell’art. 102 c.p.c.

È peraltro opportuno osservare (anche per
completezza espositiva) che la società ricorrente non chiarisce in modo
sufficientemente specifico se, costituendosi tempestivamente, aveva chiesto la
chiamata in causa del datore di lavoro dell’attore, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., per sostenere l’esclusiva o
concorrente responsabilità di quest’ultimo e/o per essere manlevata e, tanto
meno, precisa se aveva ritualmente chiesto a tal fine lo spostamento
dell’udienza al giudice istruttore, come previsto dall’art. 269 c.p.c. (richiesta di differimento la cui
omissione determina la decadenza del convenuto dalla facoltà di chiamare in
causa il terzo: cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 10579 del 07/05/2013, Rv.
626173-01).

Dunque il ricorso, anche a volerlo intendere come
volto a censurare la mancata autorizzazione alla chiamata del terzo, non
potrebbe ritenersi ammissibile, per un palese difetto di specificità
nell’allegazione del carattere decisivo della doglianza.

2. Con il terzo motivo si denunzia «Omessa pronuncia
circa l’ammissibilità della querela di falso presentata in primo grado da S.».

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente deduce di avere proposto querela di
falso in primo grado, in relazione ad un verbale di intervento della ASL avente
ad oggetto il macchinario difettoso: riferisce che sia l’istruttore, sia il
tribunale, nella sentenza di primo grado, avevano ritenuto la querela
irrilevante; sostiene che il proprio specifico motivo di appello sul punto non
sarebbe stato esaminato in secondo grado.

Orbene, deve in primo luogo rilevarsi che, nelle
conclusioni rassegnate in appello dalla ricorrente (che risultano trascritte
nell’epigrafe della sentenza impugnata), non vi è alcun cenno né alla richiesta
istruttoria relativa all’ammissione della querela di falso né al relativo
motivo di gravame.

D’altra parte, anche tenuto conto del costante
indirizzo di questa Corte secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è
configurabile su questioni processuali, quale certamente è quella in esame (ex
multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10422 del 15/04/2019, Rv. 653579 – 01; Sez.
3, Sentenza n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 1876
del 25/01/2018, Rv. 647132 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013, Rv.
628214 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009, Rv. 606407 – 01), è
assorbente la considerazione che la censura difetta di specificità, in quanto
essa, per come è formulata, non consente di apprezzare adeguatamente i termini
della effettiva rilevanza della querela di falso avanzata.

La ricorrente si limita ad affermare che aveva
contestato il contenuto del verbale della ASL, ma non richiama puntualmente il
contenuto di tale verbale ed il tenore della querela, con le specifiche
contestazioni avanzate in relazione ad esso, né precisa in modo adeguato le
ragioni della affermata rilevanza delle suddette contestazioni ai fini della
decisione.

Orbene, le censure concernenti la violazione dei
“principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole
processuali di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c.,
devono avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione
e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia; in mancanza esse
sono inammissibili (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22341 del 26/09/2017, Rv.
646020-03).

Inoltre, l’accertamento della ammissibilità e della
concludenza della querela di falso, avendo carattere meramente strumentale, è
riservato esclusivamente al giudice del merito e non può essere autonomamente
impugnato in Cassazione (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1333 del 03/02/1993, Rv.
480660 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12399 del 28/05/2007, Rv. 597512 – 01; Sez. 1,
Sentenza n. 5102 del 13/03/2015, Rv. 634640 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4310 del
26/03/2002, Rv. 553280 – 01).

Il motivo di ricorso in esame va pertanto dichiarato
inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 2,
c.p.c.

3. Con il quarto motivo si denunzia «Violazione e
falsa applicazione dell’art. 120,
D. Lgs. 206/2005 in tema di onere della prova».

Con il settimo motivo si denunzia «Omesso esame del
fatto che i macchinari fabbricati da S. Srl non sono prodotti in serie».

Il quarto ed il settimo motivo del ricorso sono
connessi, in quanto riguardano entrambi la prova del difetto del macchinario e
del nesso di causa tra tale difetto ed il danno subito dall’attore; possono,
quindi, essere esaminati congiuntamente

Essi sono infondati.

Secondo la società ricorrente l’attore non avrebbe
fornito adeguata prova del difetto del macchinario da essa prodotto, nonché del
nesso di causa tra il preteso difetto dello stesso e i danni da lui riportati.
Sarebbe, in tal senso, decisiva la circostanza che gli accertamenti del
consulente tecnico di ufficio avevano avuto luogo su un macchinario diverso da
quello che aveva causato l’incidente e che, erroneamente, la corte territoriale
aveva ritenuto trattarsi di macchine prodotte in serie.

Le censure in esame, sebbene denuncino la violazione
della disciplina normativa che regola l’onere della prova e l’omesso esame di
un fatto decisivo, in realtà si risolvono, nella sostanza, in contestazioni
relative ad accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e sostenuti da
adeguata motivazione (non apparente e non insanabilmente contraddittoria sul
piano logico, come tale non censurabile nella presente sede) nonché nella
richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.

In realtà va esclusa qualunque violazione – in
diritto – della disciplina normativa sull’onere della prova, correttamente
applicata dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto – in fatto – che
l’attore avesse provato sia il difetto del macchinario sia il nesso di causa
tra tale difetto ed il danno subito.

Inoltre, il fatto di cui la società ricorrente
lamenta l’omesso esame, oltre ad essere in realtà preso espressamente in
considerazione dai giudici del merito, non può in alcun modo ritenersi
decisivo.

La corte di appello ha infatti chiaramente dato atto
che il macchinario che aveva dato luogo all’incidente era stato esaminato e
fotografato (“da fermo”, cioè non in funzione) dal consulente tecnico di
ufficio e che tale esame aveva evidenziato il difetto ritenuto causa del danno.
Ha inoltre adeguatamente chiarito il motivo per cui ha ritenuto rilevante la
consulenza operata su un diverso, (anche se identico o, quanto meno, analogo)
macchinario, peraltro messo spontaneamente a disposizione dalla stessa
convenuta (l’accertamento aveva ad oggetto determinate caratteristiche proprie
dell’ordinario funzionamento dell’apparato, che non richiedevano di operare la
verifica sulla specifica macchina che aveva causato il danno). Esaminando nel
complesso la motivazione della sentenza impugnata, emerge d’altronde con
evidenza che l’inciso sulla produzione in serie dei macchinari in questione non
ha in realtà un concreto ed effettivo rilievo ai fini della decisione: la
suddetta motivazione resta cioè adeguata a dare conto del percorso
argomentativo posto alla base del giudizio di fatto, anche a prescindere da
tale inciso.

4. Con il quinto motivo si denunzia «Violazione e
falsa applicazione dell’art. 122
D. Lgs. 206/2005 in tema di esclusiva responsabilità del danneggiato».

Con il sesto motivo si denunzia «Omesso esame del
fatto che il danneggiato si è volontariamente esposto al pericolo».

Il quinto ed il sesto motivo sono connessi – avendo
entrambi ad oggetto il concorso di colpa del danneggiato – e possono, quindi,
essere esaminati congiuntamente.

Anche questi motivi sono infondati.

La corte territoriale, all’esito della valutazione
delle prove, ha ritenuto – in fatto – che non era stata fornita la
dimostrazione che il B. fosse consapevole del difetto del prodotto e del
pericolo che ne derivava e che si fosse volontariamente esposto a detto
pericolo. Ha peraltro effettivamente ritenuto che vi fosse un suo concorso di
colpa, riducendo notevolmente il risarcimento (del 30%) allo stesso
riconosciuto, per aver tenuto una condotta gravemente imprudente.

Anche in questo caso le censure, sebbene sia
denunciata una (del tutto insussistente) violazione di legge e l’omesso esame
di un fatto decisivo, in realtà si risolvono nella contestazione degli indicati
accertamenti di fatto operati dai giudici di merito i quali, in quanto
sostenuti da adeguata motivazione (non apparente né insanabilmente
contraddittoria sul piano logico) non sono censurabili in sede di legittimità,
nonché nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede,
sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti
processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità
dell’impugnazione) di cui all’art.
13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24
dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

– rigetta il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese
del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole
in complessivi € 6.000.00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed
accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità
dell’impugnazione) di cui all’art.
13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte della società ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma
del comma 1 bis dello stesso art.
13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 febbraio 2020, n. 2395
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