Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2020, n. 2301

TFR, Corresponsione, Quietanza, c.t.u. grafologica

Fatti di causa

 

1. M.G. ricorre per cassazione, affidandosi a
quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., avverso il decreto
del Tribunale di Cuneo del 30 novembre 2017, reiettivo della sua opposizione ex
art. 98 l.fall., alla
mancata ammissione al passivo del fallimento R.T. s.r.l. dei propri ulteriori
(rispetto a quello di € 969,56, già riconosciutogli in chirografo dal giudice
delegato) crediti di € 16.233,57, a titolo di TFR, ed € 8.099,96, per rimborso
spese corrisposte ai professionisti che lo avevano assistito nel corso della
precedente causa di lavoro da lui instaurata, contro la predetta società in
bonis, per l’ottenimento di detto TFR.

1.1. Resiste, con controricorso, la curatela
fallimentare.

1.2. Per quanto qui ancora di interesse, quel
tribunale ritenne raggiunta la dimostrazione dell’avvenuta corresponsione al
G., anteriormente al fallimento, di quanto da lui invocato per TFR, ricavandola
dalle risultanze della prova testimoniale svoltasi nel corso della suddetta
causa di lavoro, dalla corrispondente quietanza da lui firmata e non
disconosciuta, quanto ad autenticità della sottoscrizione, nel medesimo
giudizio, nonché dagli esiti della c.t.u. grafologica eseguita, su detta
quietanza, nel procedimento, ex artt.
98-99 l.fall., per effetto del disconoscimento della relativa genuinità ivi
effettuato dall’opponente.

 

Ragioni della decisione

 

1. Le formulate doglianze prospettano,
rispettivamente:

I) <<Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 214 e ss. c.p.c. e 2697 c.c. in tema di onere della prova nel
giudizio di verificazione della scrittura privata>>. Si assume che <<il
documento cartaceo prodotto dalla curatela a riprova dell’avvenuto pagamento al
G. dell’anticipo TFR risultante dalla busta paga del luglio 2012 non è
risultato autentico, né genuino, essendo stato oggetto di un successivo
inserimento tramite stampa di un’ulteriore parte all’interno della tabella
originariamente stampata>>, contestandosi, in parte qua, le conclusioni
cui era pervenuto il tribunale. Si formula il seguente quesito di diritto:
<<Vorrà l’Ecc.ma Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del
presente motivo, accertare che, nel procedimento incidentale teso alla
verificazione di un documento disconosciuto, spetta alla parte che intende
avvalersene l’onere di provarne la genuinità e l’autenticità, e che in caso di
impossibilità di fornire la relativa prova, il documento non può essere
utilizzato ai fini della decisione>>;

II) <<Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 244 e ss. c.p.c. e 116 c.p.c. in tema di valutazione della
testimonianza ed attendibilità del testimone in caso di contrasto con altra
prova>>. Si lamenta un’erronea valutazione delle prove orali da parte del
giudice di merito, prospettandosi la contraddittorietà tra la deposizione resa
dal testimone G. e quanto emerso nella relazione di c.t.u.

Viene formulato il seguente quesito di diritto:
<< Vorrà l’Ecc.ma Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del
presente motivo, accertare che, in caso di contrasto tra prove documentali,
relazioni peritali e dichiarazioni testimoniali, il Giudice debba far prevalere
le prime, dovendo in ogni caso incidere dette contraddizioni sul vaglio di
attendibilità del testimone>>;

III) <<Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 1362 e ss., 1199
e 2708 c.c., in tema di valore probatorio della
sottoscrizione del lavoratore apposta sulla busta paga ovvero su altra
documentazione redatta dal datore di lavoro>>. Si ascrive al decreto
impugnato di aver erroneamente interpretato la sottoscrizione del lavoratore
come una quietanza/confessione idonea a pregiudicare il suo diritto ad azionare
i crediti oggetto del presente giudizio. Il motivo è concluso dal seguente
quesito di diritto: << Vorrà l’Ecc.ma Corte Suprema di Cassazione, in
accoglimento del presente motivo, accertare che la mera sottoscrizione della
busta paga e del documento prodotto dalla datrice sub 4) valga quale
accettazione delle somme conteggiate e dovute, e non quale quietanza di
avvenuto pagamento delle stesse>>;

IV) <<Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 115 e 116 c.p.c.
in tema di valutazione delle prove>>, censurandosi la decisione del
tribunale per aver fondato il proprio rigetto anche sulla circostanza, a dire
del ricorrente infondata oltre che in contrasto con la documentazione da lui
prodotta, che il G., prima del giudizio di opposizione davanti al Giudice del
lavoro, mai avesse sollecitato il pagamento della cospicua somma di €
14.203,00, proprio perché aveva già ricevuto tale importo nel 2012. La
doglianza è conclusa dal seguente quesito di diritto: << Vorrà l’Ecc.ma
Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del presente motivo, accertare
che, in caso di pregressa richiesta stragiudiziale delle somme dovute, detta
circostanza possa valere quale presunzione di debenza della somme richieste
giudizialmente>>.

2. I descritti motivi sono esaminabili
congiuntamente perché tutti accomunati dalla medesima ragione di
inammissibilità.

2.1. Costituisce, invero, principio pacifico quello
secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art.
360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di
inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la
indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto,
mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a
motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto
contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate
norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla
Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il
fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata
la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare
indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati
attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel
risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante
specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa
con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera
contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della
sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.2. A tanto deve aggiungersi, peraltro, che compete
al giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere,
tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee
a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge.

2.3. Gli odierni assunti del G., invece, si
risolvono chiaramente, in ciascuno dei prospettati motivi, nel tentativo, da
parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita
nella decisione impugnata, una propria alternativa loro interpretazione,
sebbene sotto la formale rubrica di violazione di legge, totalmente
obliterando, però, da un lato, che la denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può
essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., ex
multis, Cass. n. 5248 del 2019, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010;
Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006); dall’altro che il
giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un
nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli
esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò
solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle
proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, anche in
motivazione, le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 5248 del 2019).

2.3.1. In proposito, ed atteso quanto osservato dal
ricorrente nella sua memoria ex art. 380-bis cod.
proc. civ., valga, più analiticamente, ritenere:

1) quanto al primo motivo, che il ricorrente insiste
nell’affermazione che il documento cartaceo (quietanza) prodotto da controparte
a riprova dell’avvenuto pagamento al G., dell’anticipo TFR risultante nella
busta paga di luglio 2012 non sarebbe risultato autentico, né genuino, essendo
stato oggetto di un successivo inserimento tramite stampa di una ulteriore
parte all’interno della tabella originariamente stampata. Orbene, al netto
dell’evidente profilo ulteriore di inammissibilità che pure caratterizza la
censura in esame, per violazione del combinato disposto degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., laddove fa
riferimento ad un documento – la quietanza ivi richiamata – il cui contenuto
nemmeno è compiutamente riportato in ricorso, rileva il Collegio che la
decisione impugnata dà ampiamente atto degli esiti delle disposte indagini
peritali (svolte, per la parte di ingegneria forense, dalla dott.ssa G. e
dall’ing. C.; per la parte istochimica, dal prof. B.), che <<hanno
confermato la versione dei fatti resa dal datore di lavoro e dal teste G.F. In
particolare, il prof. B. ha affermato che “la sottoscrizione G.M. – al pari
delle restanti sottoscrizioni presenti sul foglio Luglio 2012 – è stata apposta
successivamente alla stampa a toner della linea di posizionamento”,
aggiungendo “che si tratta di un documento derivato dalla stampa di un
unico file e non di un collage di due colonne ottenute file diversi” (pag.
32 relazione di CTU). Il concetto è ripreso nella pagina successiva, in cui il
prof. B. riferisce che “il fatto che la firma G.M. sia sovrapposta alla
linea di posizionamento nella colonna di destra indica che al momento
dell’apposizione della suddetta firma era presente anche la colonna di
sinistra”.

Tale elemento risulta decisivo, se si considera che
il ricorrente aveva dichiarato a più riprese “di non avere mai
sottoscritto a margine, il documento prodotto sub 4”, (pag. 1 del verbale
di udienza 13.05.2015 della causa di lavoro) … La reiterata negazione del
ricorrente e stata smentita dal prof. B., il quale ha invece confermato che la
firma del ricorrente, come quella degli altri tre lavoratori, è stata apposta
su un documento già “predisposto e non è frutto di collage di stampe
derivate da file diversi” (pag. 33 della Relazione del CTU). Il prof. B.
segnala poi che la dicitura a stampa presente nella riga corrispondente agli
acconti “è stata prodotta in due successive operazioni”, deducendolo
dal fatto che la parte “860 assegno 14203 contanti” appare “fuori
asse rispetto all’indicazione del nominativo e all’importo indicato nella
colonna BUSTA. [….] Conclude infatti il prof. B. che “il doc. 4, nella
forma in cui si presenta, è da ritenersi derivato dalla stampa di un unico
file. E da escludere che si possa trattare, del risultato dell’assemblaggio di
parie a stampa di origine diversa. La firma G.M. è stata apposta
successivamente alla produzione della parte a stampa presente su doc. 4. Lo
stesso vale per le tre restanti firme presenti sul documento”. Anche
quest’ultimo riferimento agli altri tre dipendenti, che firmarono per ricevuta
lo stesso foglio, è assai significativo, essendo impossibile ipotizzare che
tante persone diverse possano aver concorso a creare un documento falso.
Esaminando, invece, il documento complementare al doc. 4), con parti a stampa e
altre manoscritte, il prof. B. ha riferito che l’analisi chimica per datazione
eseguita sul tratto inchiostrato ha “fornito risultati indicanti una
condizione di esaurimento del processo di invecchiamento, tale da indicare che
la manoscrittura in esame non possa essere stata prodotta successivamente
all’inizio del 2014″… Anche i CTU G. e C. hanno confermato la genuinità
dei metadati associati ai file “bonifici dipendenti.xls” presenti
nella Pen-Drive esaminata, affermando che le date di creazione dei file
“risultano essere coerenti sia con le informazioni logiche presenti nel
file (i nomi presenti nelle tabelle) sia con le modalità operative di creazione
descritte nelle testimonianze in atti. La data di ultimo salvataggio, circa 30
secondi dopo della data di stampa, avvalora la genuinità delle datazioni
presenti nei metadati” (v. pag. 60 relazione del CTU)…>>;

2) quanto al secondo ed al quarto motivo – anch’essi
caratterizzati da ulteriori profili di inammissibilità, per violazione del combinato
disposto degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., laddove fanno
riferimento a documenti (il verbale di conciliazione, nonché le missive
dell’associazione sindacale CISL e dell’Avv. S.), il cui contenuto nemmeno è
compiutamente riportato in ricorso – che inammissibilmente vengono invocate una
rimeditazione circa l’attendibilità delle risultanze della prova orale ed una
rivisitazione di accertamenti fattuali: valutazioni, spettanti, invece,
entrambe, al giudice di merito;

3) circa, infine, il terzo motivo, che il Tribunale
di Cuneo ha, in realtà, tratto la conclusione della già avvenuta corresponsione
al G. delle somme a titolo di TFR, non soltanto dalle risultanze della
quietanza predetta, ma da una complessiva ponderazione di quanto ricavabile da
quest’ultima e dalle risultanze della espletata prova orale, così operando in
linea con quanto sostanzialmente sancito dalla giurisprudenza di legittimità
con riguardo al valore della quietanza rilasciata dal dipendente (cfr., ex
aliis, Cass. n. 18321 del 2016; Cass. n. 13150 del 2016; Cass. n. 18094 del 2015).

2.4. Va solo rimarcato, per mera completezza, che
nemmeno sussistono le prospettate violazioni degli art.
2697 cod. civ. (che, notoriamente, si configura soltanto nell’ipotesi in
cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da
quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione
delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.
Cfr., tra le più recenti, Cass. n. 26769 del 2018), 115
cod. proc. civ. (ipotizzabile quando il giudice, contraddicendo
espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia
posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma
disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli. Cfr.
Cass. n. 26769 del 2018) e 116 cod. proc. civ.
(rinvenibile, quando il giudice disattenda, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, prove legali, oppure consideri come facenti piena prova,
recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che, invece, siano
soggetti a valutazione. Cfr. Cass. n. 2700 del 2016). Nella specie, infatti, il
tribunale, con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi
dettati in tema di onere della prova e/o di prova presuntiva, è giunto alla
conclusione che il complessivo quadro (la cui valutazione fattuale è, qui,
evidentemente insindacabile) desumibile dalle risultanze istruttorie – gli
esiti di una prova testimoniale svoltasi nel corso di una precedente causa di
lavoro tra il G. e la R.T. s.r.l. in bonis, la corrispondente quietanza da lui
firmata e non disconosciuta, quanto ad autenticità, nel giudizio appena
indicato; le conclusioni della complessa c.t.u. grafologica eseguita, su detta
quietanza, nel procedimento, ex artt.
98-99 l.fall., per effetto del disconoscimento della relativa
sottoscrizione ivi effettuato dall’opponente – valutato in ciascun elemento e
nel suo complesso, fosse idoneo a far ritenere raggiunta la prova dell’avvenuta
corresponsione al G. medesimo, anteriormente al fallimento, di quanto da lui
oggi invocato per TFR, né potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare
del giudice di merito abbia trascurato alcuni dati dedotti da quest’ultimo per
la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente,
irrilevanti.

2.5. Le odierne censure del ricorrente
rappresentano, allora, il mero tentativo volto a giungere a conclusioni diverse
da quelle esposte dal tribunale piemontese, così procedendosi, però, a
valutazioni che, impingendo nel merito, sono, come si è detto, inammissibili
nel giudizio di legittimità.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile,
restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate da principio di
soccombenza, altresì rilevandosi che sussistono i presupposti per
l’applicazione dell’art. 13, comma
1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma
17.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna M.G.
al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla
curatela controricorrente, liquidate in € 3.000,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 100,00, ed
agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
giusta il comma 1 -bis dello stesso articolo
13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2020, n. 2301
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