Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 febbraio 2020, n. 2592

Rendita da malattia professionale, Domanda, Esposizione ai
fumi e alle polveri di berillio, Fibrosi polmonare Consulenza tecnica,
Verifica di esistenza del nesso causale

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 157 pubblicata il 13.2.2018 la
Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’appello dell’Inail e in
riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di R.G. di
rendita da malattia professionale (fibrosi polmonare causata dall’esposizione
al berillio nell’esercizio dell’attività di odontotecnico);

2. la Corte territoriale ha ritenuto non dimostrata
l’esposizione del R. al rischio professionale, sia nel periodo di
frequentazione della scuola per odontotecnico in quanto non costituente
attività lavorativa e sia nel periodo dal 1997 al 2005 (oltre ai mesi da giugno
ad agosto 2007), per difetto di allegazioni sull’impegno temporale giornaliero
dell’attività di lavoro; quanto al nesso causale, richiamata la c.t.u. che aveva
riconosciuto la “probabilità che il periziato (avesse) contratto la
fibrosi polmonare per causa lavorativa, in virtù della concreta possibilità e
probabilità di un lungo periodo espositivo ai fumi e alle polveri di berillio,
della durata di circa dieci anni”, ne ha escluso la sussistenza sul
rilievo che la durata dell’esposizione, limitata al periodo di attività
lavorativa, fosse inferiore ai dieci anni e non fosse neanche accertata la
quantità temporale dell’esposizione durante il lavoro;

3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione R.G., affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso
l’Inail;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alla
parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

 

Considerato che

 

5. con il primo motivo di ricorso il R. ha dedotto
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4, 131, d.p.r. n. 1124 del 1965;
degli artt. 2697, 2727,
2728 cc; degli artt.
421, 434, 437, 445 c.p.c.e dell’art.
41 c.p. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.);

6. ha argomentato la violazione dell’art. 4, D.P.R. n. 1124 del 1965
che comprende nell’assicurazione “gli alunni delle scuole o istituti di
istruzione di ogni ordine e grado, anche privati, che attendano ad esperienze
tecno scientifiche od esercitazioni pratiche, o che svolgano esercitazioni di
lavoro…” ed ha richiamato le prove testimoniali, dimostrative delle
esercitazioni tecnico pratiche svolte dal R. presso l’istituto frequentato
negli anni dal 1988 al 1993 con uso di “mescole e resine per la
preparazione delle protesi”;

7. ha censurato la decisione di secondo grado per
aver disatteso le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado, in modo
apodittico e superficiale, senza i necessari approfondimenti, anche mediante
rinnovo della consulenza tecnica, e senza riferimento alcuno ad eventuali
fattori causali estranei all’attività lavorativa;

8. col secondo motivo il ricorrente ha denunciato
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c.) per essere la sentenza impugnata assolutamente lacunosa e
apodittica e non fondata su una spiegazione razionale e scientificamente
plausibile;

9. col terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza
d’appello per violazione e falsa applicazione degli artt.
91 e 92 c.p.c. (art.
360, comma 1, n. 3 c.p.c.) adducendo l’errata regolazione delle spese di
lite quale conseguenza della fondatezza dei primi due motivi di ricorso;

10. i primi due motivi di ricorso, che si trattano
congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati e devono trovare
accoglimento;

11. l’art. 4 n. 5, D.P.R. n. 1164/1965 (ndr art. 4 n. 5, D.P.R. n. 1124/1965)
include tra le persone a cui si applica la tutela assicurativa contro gli
infortuni e le malattie professionali anche “gli insegnanti e gli alunni
delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche
privati, che attendano ad esperienze tecnico-scientifiche o a esercitazioni
pratiche o che svolgano esercitazioni di lavoro; gli istruttori e gli allievi
dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento
professionale anche aziendale, o dei cantieri scuola, comunque istituiti o
gestiti, nonché i preparatori, gli inservienti e gli addetti alle esperienze ed
esercitazioni tecnico-pratiche o di lavoro”;

12. questa Corte ha più volte precisato (cfr. Cass.
2887/04; n. 19495/09) che “In tema di
infortuni sul lavoro, con riguardo a quelli occorsi nello svolgimento di
attività didattica, l’art. 4,
n. 5, del D.P.R. n. 1124 del 1965 limita la copertura assicurativa agli
insegnanti ed alunni che attendono ad esperienze o a esercitazioni pratiche o
che svolgono esercitazioni di lavoro. Pertanto, la tutela assicurativa, che
copre soltanto tale rischio specifico e non anche quello generico, è operante
quando l’evento lesivo si sia verificato nel corso o in conseguenza di tali
esperienze tecnico – scientifiche o di tali esercitazioni pratiche (ossia nel
corso di attività essenzialmente manuali, pur se legate a conoscenze teorico –
scientifiche) ovvero quando sia legato con nesso di causalità allo svolgimento
di tali attività”;

13. la sentenza impugnata laddove ha escluso, ai
fini della valutazione dell’esposizione a sostanze nocive, il periodo (dal 1988
al 1993) in cui il R. ha frequentato la scuola per odontotecnico, con relative
esercitazioni tecnico pratiche, “atteso che non si tratta di attività
lavorativa”, ha violato l’art.
4, D.P.R. n. 1124/1965;

14. la Corte d’appello ha ritenuto non dimostrato il
periodo decennale di esposizione, indicato nella relazione peritale, poiché ha
preso in esame solo gli anni in cui il R. ha svolto attività lavorativa; in
tale contesto, il periodo di frequentazione della scuola per odontotecnico e la
relativa, ove accertata, esposizione, assumono rilievo decisivo ai fini della
verifica di esistenza del nesso causale;

15. per le ragioni esposte, devono accogliersi il
primo e secondo motivo di ricorso, risultando assorbito il terzo; la sentenza
impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in
diversa composizione, per un nuovo esame della fattispecie alla luce dei
principi sopra richiamati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso,
dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa
composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di
legittimità.

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