Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2020, n. 3731

Violazione della disciplina antinfortunistica, Reato di
lesioni colpose gravissime, Dipendente a tempo determinato della agenzia di
lavoro, Mezzi di sollevamento, Oneri di formazione, di addestramento e di
sicurezza del lavoratore, Svolgimento mansioni differenti, Prescrizione

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di appello di Lecce il 26 ottobre 2018,
in parziale riforma della sentenza emessa l’8 marzo 2016 all’esito del
dibattimento dal Tribunale di Brindisi, sentenza con cui, all’esito di un
complesso processo plurisoggettivo, per quanto in questa sede rileva, A.C. e
F.S. sono stati riconosciuti entrambi responsabili, in cooperazione colposa,
del reato di lesioni colpose gravissime nei confronti del lavoratore A.P., con
violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 12 maggio
2009, e dunque condannati, concesse al solo F.S. le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alla aggravante, alla pena di giustizia, condizionalmente
sospesa per il solo S., e la s.r.l. C.T. riconosciuta responsabile
dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. 8
giugno 2001, n. 231, e, con la riduzione di cui all’art. 12, comma 1, del d. Igs. n.
231 del 2001, condannata al pagamento di novanta quote, previo
riconoscimento ad A.C. della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. e stimata la stessa,
all’esito del giudizio di bilanciamento, equivalente, ha rideterminato,
riducendola, la pena nei confronti di A.C.; con conferma nel resto.

2. Il fatto, in estrema sintesi, come ricostruito
dai giudici di merito.

La sera del 12 maggio 2009, dopo le ore 22.00,
all’interno della centrale elettrica di Brindisi dell’E. stava lavorando, tra
gli altri, A.P., dipendente a tempo determinato della agenzia di lavoro
“O. l.” con mansioni di operaio addetto all’assemblaggio
(“imbracatore”)/montatore manuale concesso per un mese (in virtù di
contratto di somministrazione di prestatori di lavoro a tempo determinato del
17 aprile 2009) alla s.r.l. C., ditta che aveva avuto in appalto dall’E. il
nolo “a caldo” dei mezzi di sollevamento in relazione all’attività di
sollevamento di sacchi di sale e di trasporto degli stessi in appositi siti:
nell’occasione, A.P., che era quasi al termine dell’orario di lavoro, avendo
iniziato alle 15.00, stava conducendo un carrello elevatore (detto “muletto”)
con il quale sollevava i pesanti sacchi pieni di sale, minerale che era stato
prodotto dal macchinario desalatore “SEC”, e li portava sino al luogo
indicato per lo stoccaggio temporaneo.

A causa del ribaltamento del muletto sul fianco
sinistro, mentre conduceva il mezzo su un percorso diverso da quello previsto
per la fase di lavoro, A.P. è rimasto schiacciato e, per il peso del mezzo
sulla gamba, ha perso l’arto sinistro.

La causa del ribaltamento è stata individuata in una
improvvisa manovra di svolta a destra del conducente, che stava guidando il
mezzo a velocità eccessiva.

La persona offesa, secondo le emergenze istruttorie
valorizzate dai giudici di merito, non indossava al momento del sinistro la
cintura di sicurezza di cui pure il mezzo era provvisto e che era obbligatorio
indossare.

Quanto alle posizioni di garanzia, A.C. era legale
rappresentante e sostanziale datore di lavoro, provvisto di poteri
organizzativi, gestionali e di spesa, oltre che socio, e responsabile del
servizio di prevenzione e protezione (acronimo: R.S.P.P.) della ditta
“C.”, utilizzatrice della manodopera inviata dall’agenzia “O.
l.” e contrattualmente tenuta ad adempiere agli oneri di formazione, di
addestramento e di sicurezza del lavoratore; F.S. era capocantiere, cioè
preposto, ed inoltre direttore tecnico di cantiere e coordinatore dei lavori
realizzati dalla ditta C. presso la centrale dell’E..

I due sono stati ritenuti responsabili per avere
impropriamente adibito quel giorno, come – si è ritenuto da parte dei giudici –
già avvenuto in precedenza in altre occasioni, A.P., che era stato formato ed
informato quale “imbracatore”, alle differenti mansioni di conducente
di carrello elevatore ovvero per avere tollerato che P. vi fosse adibito, pur
essendo privo di qualsiasi abilitazione in tal senso e non essendo stato
formato alla guida del mezzo né informato circa i rischi specifici, e senza
l’ausilio di un altro lavoratore a terra.

La s.r.l. C. è stata riconosciuta responsabile
dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. n.
231 del 2001.

Per completezza espositiva, risulta che la persona
offesa è stata risarcita, in parte dalla assicurazione F. Ass.ni s.p.a. e in
parte dalla s.rl. C.T., di cui A.C. è legale rappresentante (v. p. 9 della
sentenza impugnata e p. 41 di quella del Tribunale).

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza A.C.,
F.S. e la s.r.l. C.T., tramite separati ricorsi curati da differenti difensori,
affidandosi a più motivi con i quali denunziano sia violazioni di legge che
vizi di motivazione; li si sintetizza, secondo quanto disposto dall’art. 173, comma 1, disp. attuaz. cod. proc. pen.

4. Il ricorso nell’interesse di A.C. (avv. V.F. del
Foro di Brindisi) è articolato in sette motivi.

4.1. Con il primo motivo si censura erronea
applicazione della legge penale in relazione agli artt.
533 cod. proc. pen.e 6, par. 3, lett. d), CEDU e, nel
contempo, mancanza di motivazione, per non avere la Corte territoriale, in
relazione al primo motivo di appello, escluso la implausibilità delle ipotesi
alternative affacciatesi nel processo: ciò con particolare riferimento alla
divergenza tra le dichiarazioni rese nel corso delle indagini e quella rese a
dibattimento, alla denunzia del comportamento abnorme della vittima, giudicato
interruttivo del nesso causale, alla plausibilità di una deroga avvenuta ad
insaputa di A.C., peraltro impossibilitato ad essere costantemente presente in
più cantieri in luoghi diversi.

4.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea
applicazione della legge penale (artt. 40, 41 e 589 cod. pen.
e 16, comma 3, del d. Igs. n.
231 del 2001) e mancanza di motivazione con riguardo alla valutazione della
posizione di garanzia e degli obblighi gravanti sull’imputato.

La motivazione della Corte di appello, nella parte
in cui (alla p. 7) afferma la sussistenza della responsabilità di A.C. in
quanto datore di lavoro con poteri di gestione e di spesa, trascura, ad avviso
del ricorrente, la autonomia di F.S., che non solo veniva indicato come
direttore tecnico di cantiere e coordinatore dei lavori ma che in concreto,
secondo quanto emerso dall’istruttoria, ad avviso del ricorrente svolgeva tali
funzioni senza la presenza di C., che in pratica – si ritiene – aveva
trasferito a S. tutti i poteri concernenti l’organizzazione dell’impresa.

La Corte di appello, pur avendo affermato la penale
responsabilità di S., in qualità di direttore tecnico di cantiere, coordinatore
dei lavori e “preposto carrellista”, sicuramente gravato dell’obbligo
di garanzia quanto alla sicurezza dei dipendenti, non ne avrebbe, però, tratto
le necessarie conseguenze quanto alla mancanza di responsabilità in capo a S.
Si richiamano precedenti di legittimità stimati pertinenti e si sottolinea
avere la Corte di merito trascurato il contenuto del quinto motivo di appello,
incentrato sulla esistenza di una vera e propria delega di funzioni da parte di
C. a S.

Il ricorrente sottolinea l’adozione di un modello
organizzativo gestionale ex art.
30 d. Igs. n. 81 del 2008 da parte della società («è fuori di dubbio che la
C.T. srl si fosse regolarmente dotata del modello organizzativo ex L. 231/2000,
la cui mancata adozione non è in alcun modo contestata alla società C. srl»,
così alla p. 5) ed inoltre la predisposizione da parte della stessa del
documento di valutazione del rischio (acronimo: D.V.R.). La adeguatezza del
modello organizzativo, peraltro, esplicherebbe la sua efficacia esimente sia
quanto all’ente che nei confronti del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 16, comma 3, e 30, comma 4, del d. Igs. n. 81 del
2008, intendendosi assolto l’obbligo di vigilanza datoriale – si ritiene,
come una “presunzione assoluta” – in caso di adozione e di efficace
attuazione del modello organizzativo.

4.3. Mediante il terzo motivo il ricorrente si duole
della violazione degli artt. 27 Cost. e 43 cod. pen.e di omissione di motivazione in
relazione all’elemento soggettivo del reato.

Al riguardo, la Corte di appello si sarebbe limitata
a richiamare quanto si legge nella sentenza di primo grado, la cui motivazione
sarebbe estremamente lacunosa, senza, però, pronunziarsi sui profili soggettivi
dell’imputazione colposa e, in particolare: sulla esigibilità in concreto di
una condotta conforme alla regola cautelare; sulla prevedibilità e sulla
prevedibilità dell’evento; e sulla causalità della colpa, per verificare cioè
se la regola cautelare il cui rispetto è stato omesso fosse volta a scongiurare
esattamente quel tipo di evento in concreto verificatosi e per accertare la
rilevanza nella concreta vicenda del comportamento alternativo lecito. Si
richiama giurisprudenza di legittimità stimata pertinente.

L’imputato sarebbe stato, dunque, condannato per
responsabilità oggettiva o di posizione, in violazione – si ritiene – dell’art. 27 Cost.

4.4. Il quarto motivo è incentrato sul mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche quali prevalenti o,
almeno, equivalenti all’aggravante, ciò in cui si concretizzerebbe la
violazione degli artt. 62-bis, 63 e

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