Il fine vessatorio posto in essere dal datore di lavoro tramuta in atti illeciti le condotte giuridicamente corrette ed aggrava quelli vietati dalla legge.

Nota Cass. 11 dicembre 2019, n. 32381

Alfonso Tagliamonte

Il mobbing non si esaurisce nella sommatoria di comportamenti già vietati dalla legge, ma postula ed esige un elemento psicologico aggiuntivo, “ossia l’animus nocendi, che rende vietati i comportamenti altrimenti leciti e aggrava il significato giuridico nonché sociale di comportamenti già vietati e per i quali l’ordinamento già assicura tutela, ossia un complesso di azioni che, in quanto convergenti verso un fine ultimo vessatorio, ed organizzate in sequela, oltre ad arrecare un maggior danno, perseguono un intento di degrado che il singolo atto non sarebbe altrimenti in grado di conseguire” (Cfr., sugli elementi identificativi del mobbing, Cass. 27 novembre 2018, n. 30673, in questo sito, con nota di S. GIOIA, Configurabilità del mobbing).

Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione 11 dicembre 2019, n. 32381 (conforme a App. Catania n. 676/2007), secondo cui la lesione della salute, della personalità o della dignità del lavoratore, causata dal mobbing, deve porsi in rapporto di causalità (c.d. nesso eziologico) con le condotte del datore di lavoro (o di un suo preposto); condotte che devono caratterizzarsi per l’intento persecutorio prolungato e sistematico nei confronti del dipendente/vittima.

Grava su quest’ultimo, inoltre l’onere di provare il comportamento del soggetto mobbizzante (Cass. 4 luglio 2019, n. 18000, in questo sito con nota di S. GIOIA, Responsabilità datoriale, mobbing e onere della prova; Cass. 6 maggio 2019, n. 11777, annotata in questo sito da G. CATANZARO, Mobbing, svuotamento di mansioni e onere della prova; Cass. 15 novembre 2017, n. 27110; Cass. n. 26684/2017, per la quale l’elemento qualificante del comportamento mobbizzante va ricercato “non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti, bensì nell’intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto”; Cass. nn. 898/2014 e 3785/2009).

Il mobbing: l’intento persecutorio come “collante” del complesso di azioni
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