Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2020, n. 2929

Contributi INPS, Accertamento ispettivo, Dipendenti farmacia
– Qualificazione rapporto, Collaborazione professionale, Accertamento della
natura subordinata

Rilevato che

 

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n.
420/2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Farmacia B. di G.K.C.
& c. s.n.c. nei confronti dell’Inps (anche quale mandatario di S. s.p.a)
avverso la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione a cartella
relativa ai contributi pretesi dall’INPS a seguito dell’accertamento ispettivo
che aveva qualificato quali lavoratori subordinati dipendenti della farmacia i
farmacisti M.D., A.D., R.S., R.P. e V.S.;

ad avviso della Corte territoriale, la natura
subordinata dei rapporti di lavoro dei predetti era emersa:

– dalle dichiarazioni rese dal titolare della
farmacia in sede ispettiva, posto che lo stesso aveva riconosciuto che il
personale sopra indicato svolgeva l’attività durante l’orario di apertura e
chiusura della farmacia, sotto le proprie direttive o di quelle di un suo
collaboratore;

– dalle dichiarazioni rese in sede ispettiva da
R.B., R.S. e V.S., nonché in sede testimoniale da M.D., soprattutto in ordine
alla necessità di comunicare preventivamente eventuali assenze all’incaricato
V.D.;

– dal rilievo che il periodo feriale era organizzato
in maniera da garantire la continuità del servizio secondo turni
preventivamente comunicati all’incaricato D., ovvero concordati con il
titolare;

– dal servizio, di addetto alla vendita di
medicinali e di altri prodotti in vendita nella farmacia, prestato dai suddetti
farmacisti in modo continuativo, come era stato accertato dalle registrazioni
sul libro matricola, dalle risultanze dei contratti di lavoro e relative proroghe
prodotti agli atti e dalla dichiarazione del teste S.;

dunque, i contratti a progetto stipulati sia prima
che successivamente all’entrata in vigore del d.lgv.
n. 276 del 2003 erano del tutto privi di valido progetto in quanto tutti si
occupavano di vendita di medicinali e di altri prodotti venduti in farmacia e
di riporre i medesimi in magazzino, attività del tutto coincidente con quella
dell’attività d’impresa ed in difetto di indicazione di un obbiettivo da
raggiungere;

infine, la Corte d’appello ha precisato che la
domanda di compensazione giudiziale, tra quanto versato a titolo di contributi
per i lavoratori oggetto d’accertamento e quanto richiesto in cartella,
correttamente era stata rigettata dal primo giudice, posto che la stessa – sia
pure astrattamente fondata – non poteva essere esaminata in mancanza di domanda
amministrativa e di un pronunciamento dell’INPS di diniego della richiesta di
recupero;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione
Farmacia B. di G.K.C. & c. s.n.c. sulla base di dieci motivi: 1) violazione
dell’art. 2094 cod. civ. in quanto si era
ritenuta provata la subordinazione dei cinque lavoratori sulla base del
contenuto del verbale ispettivo, non confermato dalla testimonianza dei
lavoratori che erano stati sentiti, in parte, in libero interrogatorio; 2)
violazione dell’art. 2697 c.c. in ragione del
fraintendimento delle risultanze istruttorie da parte della sentenza impugnata
e della carenza del quadro istruttorio, non essendo stati escussi in qualità di
testi A.D. e R.B.; 3) violazione dell’art. 61, commi 1, 2 e 3 d.lgs. n.
276/2003 in relazione alla posizione di R.B. e di V.S. che avevano
stipulato attività libero professionale, occasionalmente, per cui non poteva
trovare applicazione la disciplina del lavoro a progetto; 4) violazione dell’art. 2721, comma 2, c.c., artt. 246 e 115 c.p.c.
in ragione del fatto che l’istruttoria posta a base dell’accertamento della
natura subordinata dei rapporti di lavoro non era stata espletata con
acquisizioni di prove testimoniali, a supporto delle risultanze ispettive, ma
attraverso il libero interrogatorio dei presunti lavoratori;

5) violazione degli artt.
1243 c.c. e 113 c.p.c. in quanto il motivo
d’appello relativo al mancato accoglimento della domanda di compensazione era
stato rigettato per difetto di domanda amministrativa senza specificare quale
fosse la norma che prevede tale obbligo ma facendo riferimento ad un
imprecisato principio generale; 6) violazione dell’art.
2094 c.c. e vizio di motivazione in ragione del fatto che l’accertamento
della natura subordinata dei cinque rapporti di lavoro era stato fondato sul
contenuto del verbale ispettivo, in sostanza si reitera il contenuto del motivo
sub n. 4); 7) violazione dell’art. 2697 c.c. e
della regola di riparto dell’onere della prova in quanto la Corte territoriale
aveva mal interpretato le risultanze istruttorie e non aveva considerato che
l’onere della prova sulla sussistenza dell’obbligo contributivo, relativo
all’attività dei collaboratori, incombeva sull’Ente che avrebbe dovuto
dimostrare anche la singola durata di ciascuna prestazione lavorativa mentre
era difettata la prova certa in tal senso, anche alla luce delle divergenti
dichiarazioni testimoniali rese dai lavoratori sentiti liberamente; 8)
violazione dell’art. 61, commi 1,
2 e 3, d.lgs. n. 276 del 2003 nuovamente in relazione alle posizioni di
R.B. e di V.S.; 9) la censura ripropone l’esatto contenuto del motivo sub 4);
10) il motivo ripropone integralmente il motivo sub 5) e 11) e denuncia
motivazione illogica sempre per la omessa compensazione dei contributi versati
con quelli dovuti; l’Inps si è limitato a depositare procura speciale;

 

Considerato che

 

I motivi, al netto delle evidenti reiterazioni sopra
evidenziate, vanno trattati congiuntamente essendo tutti connessi (ad eccezione
di quelli sub 5, 10 ed 11) dall’unico tema della affermata violazione di legge,
relativamente alle modalità di accertamento della natura subordinata e non di
collaborazione professionale, dei cinque rapporti di lavoro intercorrenti tra
il titolare della farmacia ricorrente ed i cinque farmacisti indicati nel
verbale di accertamento n. 508 del 3 marzo 2008;

deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di
ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del giudice del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio
a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero
erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo
quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394);

nella specie è evidente che la parte ricorrente
lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque un
vizio-motivo da valutare alla stregua del novellato art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5, che lo circoscrive all’omesso esame di un fatto
storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al
“minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione
(Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); in
particolare, la sentenza impugnata ha affermato che:

– dalle stesse dichiarazioni rese il 12 aprile 2008,
in sede ispettiva, dal titolare della farmacia G.C.K. si era appreso che tutti
i lavoratori oggetto di contestazione osservavano, nell’espletamento della
propria attività all’interno della farmacia (consistente nella vendita dei
medicinali e di altri prodotti e nella sistemazione degli stessi in magazzino),
gli orari di apertura e chiusura della stessa, sotto le direttive dello stesso
K. o da un collaboratore del medesimo;

– tali deduzioni avevano trovato conferma, sempre in
via ispettiva, nelle dichiarazioni di R.B. ed anche in quelle di R.S. e V.S.
nel corso del giudizio di primo grado, oltre che nella testimonianza di M.D.;

– quest’ultima aveva indicato in tale V.D. il punto
di riferimento dei vari professionisti e quest’ultimo, pur essendo stato
assunto come commesso, aveva in effetti riconosciuto di godere di un potere
disciplinare anche se in concreto mai esercitato;

– le eventuali assenze, di cui aveva riferito la D.,
seppure non necessitavano di preventiva autorizzazione, nondimeno andavano
preventivamente comunicate al D., senza con ciò che la farmacista dovesse
coordinarsi con gli altri o trovare un sostituto;

– lo stesso poteva dirsi per la fruizione delle
ferie, mentre dalle risultanze dei libri matricola, dalla produzione dei
contratti e delle proroghe, nonché dalle dichiarazioni del teste S., si era
tratta la prova della durata di ciascun rapporto;

è evidente, dunque, che la complessiva valutazione
di tutte le fonti di prova esaminate dalla sentenza impugnata, smentisce quanto
lamentato dal ricorrente circa l’erroneo utilizzo del contenuto del verbale
ispettivo, giacché la sentenza impugnata ha correttamente fatto applicazione
dei principi più volte espressi da questa Corte di cassazione secondo i quali,
nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito
previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della
pretesa contributiva, che l’Istituto fondi su rapporto ispettivo. A tal fine,
il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo
piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria,
quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante
allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente
valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. 14965 del 2012; Cass.
n. 14863 del 2017; Cass. n. 23800 del 2014, con ampi richiami
giurisprudenziali);

in coerenza con tale principio è stato affermato
che, viceversa, detti verbali non fanno fede dei fatti di cui i pubblici
ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ne dei fatti della cui verità
essi si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni
logiche (Cass. n. 9111 del 1995; Cass. n. 10569 del 200; Cass. n. 14863 del 2017);

nella specie, la Corte di merito ha applicato
correttamente tali principi, attribuendo al verbale ispettivo valore di piena
prova solo per gli atti compiuti dai pubblici ufficiali verbalizzanti e per le
dichiarazioni e i documenti da essi raccolti, non anche per l’intrinseca
veridicità delle dichiarazioni. Su quest’ultimo aspetto la Corte ha espresso un
giudizio del tutto esaustivo e privo di incongruenze rilevando come la
decisione del primo giudice, pienamente condivisa, fosse fondata sull’esame
complessivo di tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, come la mancata
contestazione di determinate circostanze da parte del titolare della farmacia,
le dichiarazioni raccolte in sede testimoniale ed ispettiva; in ordine, poi,
alla dedotta incapacità di testimoniare da parte dei lavoratori interessati
all’accertamento ispettivo degli enti previdenziali, questa Corte ha avuto modo
di affermare, con orientamento costante, che “l’interesse che dà luogo ad
incapacità a testimoniare, a norma dell’art. 246
c.p.c., è l’interesse giuridico, personale, concreto, che legittima
l’azione o l’intervento in giudizio, sicché il lavoratore dipendente di una
parte in causa non è, per ciò solo, incapace di testimoniare, né può ritenersi,
per questa sola ragione, scarsamente attendibile” (Cass. n. 15313 del 2016,
Cass. n. 2075 del 2013, Cass. n. 21418 del 2015);

quanto, poi alla affermata violazione dell’art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003,
in relazione a due dei farmacisti interessati, va osservato che esso coglie un accertamento
di fatto della sentenza impugnata non decisivo. Vero è che nella sentenza si
afferma l’insussistenza di validi progetti (senza esaminare il tema delle
collaborazioni occasionali di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61),
ma tale affermazione non costituisce una ratio decidendi della sentenza, che
non è fondata integralmente sulla possibilità di qualificare i rapporti quali
lavori a progetto ma sull’accertamento, all’esito della valutazione delle
prove, della natura subordinata dei rapporti di lavoro anche durante i periodi
formalmente svolti in regime di collaborazione occasionale (autonoma);

la censura è dunque inammissibile perché non
conferente rispetto al tenore complessivo della sentenza impugnata;

anche i motivi relativi al mancato accoglimento
della domanda di compensazione tra la contribuzione versata presso la gestione
separata e quella qui pretesa sono infondati;

la sentenza di appello non ha negato in astratto
tale possibilità, ma ha rilevato che la parte non aveva allegato, né provato,
di aver proposto domanda amministrativa all’INPS;

sul punto, va osservato che, a prescindere dalla
correttezza dell’affermazione di principio sulla necessità di presentare una
domanda amministrativa non trattandosi di richiesta di prestazione, la sentenza
ha in sostanza fatto valere la circostanza ostativa che l’Istituto non fosse
stato messo nella concreta condizione di valutare la pretesa in sede
amministrativa;

in effetti, sul piano processuale, deve darsi atto
che il ricorso introduttivo di primo grado ( riportato sul punto alla pagina 8
del ricorso per cassazione) pur essendo intitolato <<eccezione di
compensazione>> si limitava a dedurre che la società aveva pagato
all’Inps certe somme per contributi e rinviava ai modelli 770 allegati;

è evidente la carenza di allegazione di elementi
essenziali alla valutazione della predetta eccezione, posto che il ricorso
avrebbe dovuto contenere lo sviluppo completo delle ragioni creditorie di
ciascuna delle parti al fine di consentirne l’esame in sede giudiziale ed in
questo senso, infatti, il primo giudice aveva rilevato che il mero pagamento di
somme non dovute non poteva comportare il venir meno dell’obbligo contributivo
oggetto di verbale ispettivo, fermo restando il diritto della società di
richiedere all’INPS la restituzione di quanto dovuto (vd. testo della sentenza
di primo grado riportato in ricorso); in conclusione, il ricorso va rigettato;

nulla va disposto per le spese attesa la mancanza di
costituzione dell’INPS che si è limitato a depositare procura speciale;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico
della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2020, n. 2929
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