Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1391

Azienda alberghiera, Contratto d’affitto, Dipendenti
retrocessi, Accertamento rapporto di lavoro, Esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato, Riammissione in servizio del lavoratore, Risarcimento del
danno, Applicabilità dell’art. 2112 cod.civ.

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza n. 683/12 pronunciata all’udienza
del 6.12.2012, il Tribunale di Perugia, adito da C.E., già dipendente
dell’Hotel S. di Assisi sotto la gestione del padre S.E., già affittuario
dell’albergo, di proprietà degli Istituti R. di B. di Assisi (II.RR.BB.),
accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente e
la società O. s.r.l., nuova affittuaria dell’azienda alberghiera, a far data
dall’1.9.2008, ordinando alla società l’immediata riammissione in servizio del
lavoratore, in favore del quale la O. veniva condannata a corrispondere, a
titolo di risarcimento del danno, la somma di euro 70.399,60, oltre accessori,
mentre la domanda del ricorrente relativa al versamento dei contributi
previdenziali era dichiarata inammissibile.

Gli I.R., che erano stati chiamati in garanzia dalla
O., venivano condannati a tenere indenne quest’ultima dal pagamento delle somme
la cui spettanza era stata riconosciuta al lavoratore. Il Tribunale compensava
per metà le spese del giudizio tra il ricorrente e l’O. e tra quest’ultima e
gli I.R., mentre condannava la società e gli I.R. a corrispondere la rimanente
metà rispettivamente in favore dell’E. e di O.

2. La sentenza di prime cure veniva appellata dagli
I.R., che chiedevano la riforma del capo di sentenza concernente la loro
condanna a tenere indenne la società O. dal pagamento delle somme da
corrispondere al lavoratore.

3. La Corte di appello di Perugia, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, respingeva integralmente la domanda di
garanzia avanzata dall’O. nei confronti degli I.R., condannando la società alla
rifusione delle spese sostenute dagli I.R. per il primo grado del giudizio.
Confermava nel resto la sentenza impugnata, condannava la O. alla rifusione in
favore degli Istituti delle spese del grado di appello e compensava le spese
dello stesso grado tra l’O. e C.E.

4. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale,
affermata l’applicabilità dell’art. 2112 cod.civ.
nonostante la natura di ente pubblico non economico degli I.R., escludeva che
dovesse ritenersi operante nella fattispecie la garanzia cui gli Istituti si
erano impegnati con l’art. 9 del contratto di affitto con O., contratto
concluso in seguito alla tenuta di un’asta pubblica. La Corte di appello
opinava nel senso che la clausola litigiosa dovesse considerarsi riferita ai
crediti di cui all’art. 2112 secondo comma,
cioè i crediti di cui il lavoratore era titolare verso il precedente
affittuario, alla data alla quale l’azienda alberghiera era stata retrocessa
all’ente proprietario, per poi essere concessa in affitto alla O., mentre le pretese
del lavoratore riguardavano esclusivamente il periodo successivo alla
cessazione del contratto di affitto con S.E.

5. Per la cassazione di quest’ultima sentenza la O.
propone ricorso dinanzi a questa Corte, affidato a un unico complesso motivo.
Gli I.R. resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale
condizionato con due motivi, mentre C.E. resiste con controricorso nel quale
spiega difese nei confronti del ricorso incidentale condizionato proposto dagli
I.R.

 

Considerato in diritto

 

1. Con l’unico complesso motivo del ricorso
principale, la società O. lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli
art. 1362 e ss. cod.civ. per avere la Corte
territoriale erroneamente interpretato l’accordo contrattuale con gli I.R.,
dell’art. 2112 cod.civ. e dell’art. 1325 n. stesso codice, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. Inoltre, la
società ricorrente lamenta, nell’ambito di questa doglianza, l’omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, cioè la gestione dei dipendenti retrocessi da S.E., gestione assunta in
proprio e in esclusiva dagli I.R. e liquidazione agli stessi di “sostanziose
buonuscite” (incentivi all’esodo), ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale
condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale, gli I.R.
denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli art. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. e dell’art. 2112 comma 5 cod.civ., insistendo
sull’inapplicabilità dell’art. 2112 cod.civ. al
caso di specie, data la natura pubblica dell’ente.

3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale gli
I.R. lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli art. 2555 e 2112
cod.civ. con riferimento all’interruzione dell’attività aziendale – circa
otto mesi per lavori di ristrutturazione – interruzione che aveva determinato una
cesura tra l’azienda esercitata dal padre del lavoratore e ritornata in capo
agli II.RR.BB., stante l’impossibilità giuridica per questi ultimi, costituiti
in ente pubblico non economico, di gestire l’azienda.

4. Il ricorso principale è infondato, con la
conseguenza dell’assorbimento del ricorso incidentale.

5. Questa Corte ha avuto modo di esaminare analogo
ricorso della società O. in liquidazione, relativo alla vicenda parallela di
altra lavoratrice già dipendente dell’Hotel S. per la quale era stata accertata
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la nuova affittuaria oggi
ricorrente principale e in ordine alla quale la Corte di appello di Perugia
aveva rigettato la domanda di manleva nei confronti degli II.RR.BB. Il Collegio
non vede ragioni per discostarsi dalla soluzione raggiunta in tale caso, deciso
con la sentenza di questa Corte del 28 ottobre 2016, n. 21893.

6. L’unico motivo di ricorso principale, relativo a
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 2112, 1325, n. 2 c.c.e vizio di motivazione, per erronea
interpretazione dell’accordo contrattuale contenuto nell’art. 9 del contratto
di affitto d’azienda tra le parti, in riferimento all’obbligo di manleva
assunto dall’istituto affittante nei confronti del nuovo affittuario, è
inammissibile.

7. La doglianza consiste, infatti, in una diversa
interpretazione del contenuto dell’accordo previsto dall’art. 9 del contratto
di affitto tra le parti e quindi del risultato interpretativo in sé. Ma esso
spetta esclusivamente al giudice di merito ed è pertanto insindacabile in sede
di legittimità, qualora sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici
né giuridici (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288;
Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie (per le
condivisibili ragioni illustrate dall’ultimo capoverso di pag. 5 al primo di
pag. 7 della sentenza). Né, d’altro canto, in presenza di un’interpretazione
ben plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia
l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178),
può darsi ingresso ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente
dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a
quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19
marzo 2009, n. 6694). E tale interpretazione contestata è stata giustificata
sulla base del “chiaro tenore letterale” (e pertanto del criterio
ermeneutico, che deve prevalere, quando riveli con chiarezza ed univocità la
volontà comune delle parti, sicché non sussistano residue ragioni di divergenza
tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti: Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 28 agosto
2007, n. 18180) della previsione dell’art. 9, terzo comma del contratto di
affitto, secondo cui: “l’Affittante rimane obbligata a tenere indenne e
manlevare l’Affittuario da qualunque ragione, responsabilità o pretesa che
possano gravare, anche in via solidale, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. ed aventi titolo nei rapporti
di lavoro dipendente che torneranno in capo all’Affittante”.

8. Da essa appare davvero inequivocabile l’esplicito
riferimento ai limiti posti dall’art. 2112 c.c.
e quindi, in particolare, di responsabilità solidale del cedente per i crediti
del lavoratore al tempo del trasferimento, anche a prescindere dalla conoscenza
o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, purché il rapporto di
lavoro fosse vigente al momento del trasferimento d’azienda (Cass. 6 marzo 2015, n. 4598; Cass. 29 marzo 2010, n. 7517).

9. Infine, quanto all’aspetto della doglianza
relativo al dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la gestione dei dipendenti
retrocessi da S.E., gestione assunta in proprio e in esclusiva dagli I.R. e
liquidazione agli stessi di “sostanziose buonuscite” (incentivi all’esodo), un
altro profilo di inammissibilità del mezzo deriva dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile
ratione temporis, per il difetto di una specifica indicazione del fatto storico
asseritamente omesso, neppure avendone trattato la sentenza impugnata. E ciò
per il mancato rispetto, che deve essere rigoroso, delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod.proc.civ., in ordine
alla individuazione dal ricorrente del “fatto storico”, il cui esame
sia stato appunto omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da
cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale
fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua
“decisività” (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n.
8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498): con la conseguente preclusione nel
giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro
valutazione a fini istruttori (Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

10. Dalle superiori argomentazioni discende il
rigetto del ricorso principale, con assorbimento dell’incidentale condizionato
e la regolazione delle spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente
principale e gli II.RR.BB secondo il regime di soccombenza, mentre le
circostanze della fattispecie e l’esito finale del giudizio giustificano la
compensazione delle spese tra gli II.RR.BB ed il lavoratore.

11. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, assorbito
l’incidentale condizionato e condanna la ricorrente principale al pagamento
delle spese processuali in favore della parte controricorrente I.R. di B.,
spese liquidate in euro 200,00 per esborsi e euro 5.000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Compensa le
spese del giudizio di legittimità tra gli I.R. di B. e E.C.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1391
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: