Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2020, n. 3076

CORTE DI CASSAZIONE – Sez. lav.
– Sentenza 10 febbraio 2020, n. 3076

Licenziamento, Condotte costituenti reato giudicate con
sentenza di condanna irrevocabile, lncidenza della condotta sul rapporto di
lavoro, Concreta lesione del vincolo di fiducia tra le parti, Prova

Rilevato che

 

1. Con la sentenza n. 12256/2014 il Tribunale di
Napoli dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 6.12.2013 da P.I.
spa a G.E. per avere questi riportato sentenza di applicazione della pena su
richiesta ex art. 444 cpp, per fatti non
compiuti in connessione del rapporto di lavoro e, dichiarato risolto alla data
del licenziamento il rapporto medesimo, condannava la società a pagare al
lavoratore, ex art. 18 co. 6
legge n. 300 del 1970 (nel testo novellato dall’art.
1 della legge n. 92 del 2012), una indennità pari a sei mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.

2. Con la pronuncia pubblicata il 27.5.2015 la Corte
di appello di Napoli escludeva ogni tutela reintegratoria e, ritenuto di dovere
applicare la tutela indennitaria cd. forte di cui al comma 5 del citato art. 18, aumentava a dodici
mensilità l’indennizzo in favore di G.E..

3. La decisione di secondo grado veniva cassata
dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 24259 del
2016, la quale enunciava i seguenti principi di diritto: a) «Solo una condotta
posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso può integrare stricto
iure una responsabilità disciplinare del dipendente, diversamente non con
figurandosi neppure un obbligo alcuno di diligenza e/o di fedeltà ex art. 2104 e 2105 cc
e, quindi, una ipotetica violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 2106 cc»; b) «Condotte costituenti reato
possono -anche a prescindere da apposita previsione contrattuale in tal senso-
integrare giusta causa di licenziamento sebbene realizzate prima
dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, purché siano state giudicate con
sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si
rivelino -attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in
astratto sia in concreto- incompatibili con il permanere di quel vincolo
fiduciario che lo caratterizza».

4. In base a tali principi, al giudice di rinvio
sono stati indicati tali accertamenti: 1) se i fatti oggetto della sentenza di
applicazione della pena su richiesta ex artt. 444
cpp emessa il 15.11.2010 a carico del lavoratore fossero stati commessi (in
tutto o in parte) anteriormente all’1.7.2009; 2) quando il completo contenuto
di tale sentenza (e non la mera generica notizia) fosse concretamente venuto a
conoscenza della società; 3) se i fatti reato de quibus fossero -non solo in
astratto, ma anche in concreto- idonei a ledere il vincolo fiduciario tra le
parti.

5. La Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione, con la pronuncia n. 3881/2018, quale giudice di rinvio,
accoglieva il reclamo proposto da G.E. e, per l’effetto, dichiarava
l’illegittimità del licenziamento; annullava il recesso e condannava la società
a reintegrare il lavoratore nel pregresso posto nonché a risarcire il danno
quantificato in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto
percepita, oltre alla regolarizzazione previdenziale ed assistenziale.

6. In sintesi i giudici di seconde cure, dopo avere
rilevato la intempestività della contestazione, ritenevano il licenziamento
illegittimo perché i fatti extralavorativi rilevanti in sede penale non erano
in concreto tali da potere desumere il venire meno dell’elemento fiduciario e la
tutela applicabile era quella prevista dall’art. 18 co. 4 legge n. 300 del
1970, come novellato dalla legge n. 92 del
2012, per insussistenza del fatto da intendersi in senso giuridico e non
meramente materiale.

7. P.I. spa ricorreva per la cassazione di tale
pronuncia sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.

8. Resisteva con controricorso G.E..

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 cc
nonché dell’art. 1 della legge
n. 604 del 1966, ai sensi dell’art. 360 n. 3
cpc, per avere errato la Corte di merito nel ritenere che la condotta
oggetto della sentenza penale di condanna non fosse idonea ad integrare una
ipotesi di giusta causa di recesso: si sostiene che la gravità dei reati di cui
alla imputazione (associazione per delinquere, crimine organizzato
transnazionale, evasione fiscale) ed il ruolo attivo svolto dall’E.
nell’organizzazione, oltre a rivestire il carattere di gravità (riconosciuto
dalla stessa Corte territoriale) erano certamente idonei a ledere il rapporto
fiduciario necessariamente sotteso al rapporto di lavoro, sebbene estranei ad
esso, e ciò anche in considerazione della natura e qualità del rapporto stesso,
della particolare attività svolta dalla società e del grado di affidamento cui
il lavoratore era addetto.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art.
18, commi 4 e 5 legge n. 300 del 1970, come riscritti dalla legge n. 92 del 2012, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere ritenuto la Corte di
appello, in modo non corretto, applicabile al caso di specie la tutela
reintegratoria di cui all’art.
18 co. 4 della legge n. 300 del 1970; si deduce che la Corte territoriale
erroneamente, ai fini della indagine sulla sussistenza del fatto contestato,
aveva fatto riferimento ad un concetto di fatto in senso giuridico, quando
invece avrebbe dovuto considerare il “fatto materiale” sebbene
caratterizzato da elementi di illiceità e antigiuridicità, con la conseguenza
che -nel caso in esame- essendo il fatto sussistente e connotato dai suindicati
requisiti della antigiuridicità e della illiceità, non poteva applicarsi la
tutela reintegratoria.

4. Con il terzo motivo P.I. spa lamenta la
violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970
e dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto
la Corte di merito che fosse onere della società dimostrare di non avere avuto
immediata conoscenza della sentenza penale di condanna e per avere ritenuto che
l’asserito ritardo nella reazione datoriale determinasse di per sé
l’illegittimità del recesso.

5. Il primo motivo è inammissibile.

6. E’ opportuno ribadire che il giudice di rinvio,
se la sentenza è cassata per violazione o falsa applicazione di una norma di
legge (art. 360 n. 3 cpc) -come nel caso in
esame- è vincolato al principio di diritto espressamente o implicitamente
enunciato dalla Corte di Cassazione, perché costituisce la norma giuridica da
applicare nel caso concreto in relazione ai punti direttamente o indirettamente
indicati dalla Cassazione come modificabili (Cass. n. 4725 del 2001).

7. Entro i limiti delle parti della sentenza cassata
il giudice di rinvio, pur essendo autonomo, è tuttavia soggetto al vincolo
della normatività della pronuncia di legittimità, sia che questa imponga una
certa attività processuale sia che affermi un principio di diritto.

8. Nel caso de quo, la sentenza
n. 24259 del 2016 della Corte di cassazione ha delegato alla Corte
partenopea -sulla base del principio di diritto in virtù del quale la condotta
costituente reato, anche a prescindere da apposita previsione contrattuale in
tal senso, può integrare giusta causa di licenziamento sebbene realizzata prima
dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, purché sia stata giudicata con
sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si
riveli, attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto
che in concreto, incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario che
lo caratterizza – di accertare se i fatti reato de quibus fossero, non solo in
astratto ma anche in concreto, idonei a ledere il vincolo fiduciario tra le parti.

9. Per espressa statuizione della Corte di
legittimità l’incidenza della condotta, oggetto del giudizio penale, sul
rapporto di lavoro doveva essere, quindi, riscontrata non solo in astratto, ma
anche in concreto, così escludendo che la gravità del fatto-reato
extra-lavorativo accertato ricadesse in re ipsa sul rapporto stesso.

10. Orbene, la Corte territoriale ha escluso, con
accertamento in fatto congruamente motivato (cfr. Cass.
n. 16524 del 2015) la concreta lesione del vincolo di fiducia tra le parti
specificando che i fatti contestati, sebbene connotati di gravità e
potenzialmente (in astratto) rilevanti ad incidere sul venire meno
dell’elemento fiduciario, tuttavia non erano in alcun modo connessi alla
attività lavorativa e alle mansioni di postino espletate dall’E. ed esulavano
dall’ambito lavorativo svolto concretamente dal dipendente.

11. La Corte di merito ha, poi, supportato tale
argomentazione evidenziando che durante tutto il processo penale l’E. era stato
lasciato al suo posto, sino al momento del recesso, senza l’adozione di alcun
provvedimento cautelativo, con la conseguenza che le risultanze di causa non
consentivano di effettuare una prognosi di futura inaffidabilità del lavoratore
e, quindi, di lesione del vincolo fiduciario.

12. I giudici di rinvio hanno, pertanto,
correttamente interpretato ed applicato i principi di diritto affermati dalla
Suprema Corte, con un accertamento in fatto eseguito secondo le direttive
impartite in sede di legittimità e motivando adeguatamente e congruamente le
conclusioni adottate avendo riguardo sia alle allegazioni, di cui era stata
correttamente ritenuta onerata la società, sulle ragioni determinanti in
concreto la lesione del vincolo fiduciario posto a base del rapporto di lavoro,
sia ai riscontri in punto di fatto che avrebbero potuto dimostrare in concreto
la suddetta lesione.

13. Il secondo motivo è, invece, fondato.

14. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile,
nel caso de quo, la tutela di cui all’art. 18 co. 4 legge n. 300 del
1970 reputando che il concetto di “fatto” dovesse intendersi in
senso giuridico e non materiale e che la insussistenza o la manifesta
insussistenza che legittima l’accesso alla tutela reintegratoria attenuata non
può non riguardare il difetto -nel medesimo fatto- di elementi essenziali della
giusta causa o del giustificato motivo, tanto più che la riforma di cui alla legge n. 92 del 2012 non ha modificato, per quel
che interessa, le norme sui licenziamenti individuali, di cui alla legge n. 604 del 1966, laddove stabiliscono che il
licenziamento del prestatore non può avvenire che per giusta causa ai sensi
dell’art. 2119 cc o per giustificato motivo
(pag. 14 della sentenza gravata).

15. Tali assunti non sono condivisibili.

16. Questa Corte di legittimità ha affermato (per
tutte Cass. n. 12365 del 2019) che, a seguito
delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del
2012 al regime sanzionatorio dettato dall’art. 18 della legge n. 300 del
1970, il giudice deve procedere ad una valutazione più articolata circa la
legittimità dei licenziamenti disciplinari rispetto al periodo precedente
(Cass. n. 13178 del 2017, Cass. 18823 del 2018; Cass.
n. 32500 del 2018).

17. In primo luogo deve accertare se sussistano o
meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le
previgenti nozioni fissate dalla legge, non avendo effettivamente la riforma
del 2012 “modificato le norme sui licenziamenti individuali, di cui alla legge n. 604 del 1966, laddove stabiliscono che il
licenziamento del prestatore non può che avvenire per giusta causa ai sensi
dell’art. 2119 cc o per giustificato
motivo” (Cass. Sez. Un. n. 30985 del 2017).

18. Nel caso in cui escluda la ricorrenza di una
giustificazione della sanzione espulsiva, deve poi svolgere, al fine di
individuare la tutela applicabile, una ulteriore disamina sulla sussistenza o
meno delle due condizioni previste dal comma 4 dell’art. 18 per accedere alla
tutela reintegratoria (“insussistenza del fatto contestato” ovvero
rientrante “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla
base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari
applicabili”), dovendo, in assenza, applicare il regime dettato dal comma
5, ” da ritenersi espressione della volontà del legislatore di attribuire
alla cd. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale” (Cass. SS. UU. n. 30985 del 2017).

19. Orbene, nella fattispecie in esame, rileva il
Collegio che, in primo luogo, non è stato corretto, da parte dei giudici del
rinvio, collegare la sussistenza o manifesta insussistenza del fatto al difetto
degli elementi essenziali della giusta causa o del giustificato motivo.

20. Sotto l’aspetto metodologico, come
precedentemente precisato, si tratta di due valutazioni diverse: l’una
riguardante la esistenza della giusta causa e l’altra la tutela applicabile,
che devono essere svolte autonomamente.

21. In secondo luogo, sul concetto di
“fatto”, va sottolineato che, in sede di legittimità, si è affermata
la tesi che la tutela reintegratoria ex art. 18 co. 4 legge n. 300 del
1970, oltre che quella della assenza ontologica del fatto, comprende anche
l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (Cass. n. 20540 del 2015; Cass. n. 29062 del 2017, Cass. n. 3655 del 2019), ma non certamente
disciplina un concetto di “fatto giuridico”.

22. L’impianto sistematico, come ricostruito
dogmaticamente da questa Corte e sopra riportato, deve essere confermato anche
nel caso in esame, sia pure tenendo conto delle peculiarità della fattispecie.

23. Può, quindi, affermarsi che l’indagine che
avrebbe dovuto compiere la Corte territoriale, una volta esclusa la giusta
causa del licenziamento, era quella di valutare se il fatto addebitato,
certamente sussistente nella sua materialità, presentasse o meno quei caratteri
di illiceità ovvero se rientrasse la fattispecie nell’ambito operativo delle
“altre ipotesi” di cui all’art. 18 co. 5 legge n. 300 del
1970, che giustifica, di contro, una tutela indennitaria forte ma non
quella reintegratoria.

24. Al riguardo appare utile precisare che, in caso
di condotta extralavorativa costituente reato, accertato successivamente con
sentenza passata in giudicato, rilevante sul rapporto di lavoro a prescindere
da apposite previsioni in tal senso del contratto collettivo e commesso quando
il rapporto di lavoro non era ancora in essere, la verifica sul carattere di
illiceità non deve essere rapportata alla responsabilità disciplinare, non
configurandosi un obbligo di diligenza e/o di fedeltà ex art. 2104 e 2105 cc,
ma deve essere parametrata alla rilevanza giuridica che il comportamento del
soggetto può rivestire, con riguardo al “disvalore sociale oggettivo del
fatto commesso nel contesto del mondo dell’azienda”, in virtù di una non
perfetta sovrapponibilità tra sistema penale e sistema disciplinare (stante la
autonomia tra i due giudizi), onde evitare la conseguenza che ogni condotta,
comunque accertata come reato, sarebbe illecita e, quindi, idonea a
giustificare un licenziamento.

25. A titolo meramente esemplificativo, infatti, la
rilevanza che può assumere, ai fini disciplinari, con riguardo al carattere di
illiceità richiesto dall’art.
18 co. 4 legge n. 300 del 1970, un reato contravvenzionale colposo,
commesso prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro ma accertato
successivamente, è certamente diversa dalla commissione di un delitto la cui
violazione del bene giuridico protetto, in termini di antigiuridicità, può
incidere in modo più intenso e concreto nell’ambito del rapporto lavorativo
contrattuale tra datore e dipendente.

26. Tale valutazione, come sopra specificata, si
pone ed opera su di un piano diverso e successivo, proprio perché attinente al
profilo della tutela da applicare e non a quello della sussistenza della giusta
causa e del connesso  accertamento della
lesione del vicolo fiduciario.

27. La Corte territoriale si è discostata dai
principi statuiti da questa Corte di legittimità applicando in modo non esatto
il disposto dell’art. 18 commi
4 e 5 della legge n. 300 del 1970 e non interpretando correttamente il
concetto di “sussistenza del fatto”.

28. La trattazione del terzo motivo, dipendente
dalla soluzione sulla problematica posta dal secondo, resta assorbita.

29. Alla stregua di quanto esposto il secondo motivo
deve, pertanto, essere accolto, inammissibile il primo ed assorbito il terzo.

30. La sentenza gravata va cassata in relazione al
motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli, in
diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame secondo i principi e le
direttive sopra esposte, provvedendo, altresì, in ordine alle statuizioni delle
spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo
ed assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e
rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di
provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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