Con la Risposta n. 273/2019 l’Agenzia delle Entrate ha disegnato i confini della non imponibilità delle utilità corrisposte ai dipendenti.

 Nota a AdE 18 luglio 2019, n. 273

Stefano Quaranta

Con la Risposta n. 273/2019 l’Agenzia delle Entrate si è occupata di definire, alla luce delle norme del T.U.I.R., quali siano i limiti per la non imponibilità di talune somme erogate a una categoria di dipendenti aziendali individuata in base a specifici criteri oggettivi, nonché delle somme tese a sostenere le figure di lavoratori maggiormente a rischio di non impiegabilità, posti in situazione di maggiore fragilità sociale.

Le erogazioni concretamente sottoposte all’Ufficio erano le seguenti:

  1. il c.d. “percorso occupabilità”, che si concretizzava in un percorso formativo di apprendimento e aggiornamento professionale realizzato in aula, on-line e tramite workshop, volto a migliorare la quantità e la qualità delle competenze, conoscenze e capacità, al fine di potenziare l’occupabilità futura sia in termini di percorso di carriera all’interno della società che in previsione di eventuali impieghi in altre realtà Tale “percorso” era ideato non solo con il fine di allontanare il più possibile il rischio di invecchiamento tecnico e professionale del lavoratore, fornendogli future competenze potenzialmente necessarie, ma anche con quello di allineare le abilità possedute dal dipendente medesimo alle necessità presenti e, soprattutto, future dell’organizzazione aziendale, sia in termini di capacità di ricoprire posizioni lavorative vacanti, sia posizioni del tutto nuove, avvantaggiando quindi la crescita interna e il conseguente miglioramento del benessere personale e del clima lavorativo in generale;
  2. il c.d. “credito welfare” che, invece, constava in un budget di spesa “figurativo”, non liquidabile né convertibile in trattamento di altro genere, che avrebbe consentito al dipendente di fruire di opere, beni e servizi con finalità sociali (ad es: contribuzioni aggiuntive alla previdenza complementare; acquisto di pacchetti sanitari integrativi; rimborsi spese per familiari in età pre-scolare e scolastica o per assistenza a familiari anziani; servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, di assistenza sociale e sanitaria), al fine di fornire al dipendente e ai suoi familiari sostegno sociale.

Così descritto il caso concreto, l’Agenzia ha chiarito quanto segue.

È stato, in primo luogo, ricordato che l’art. 51, co. 2, del TUIR, elenca tassativamente le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente che in tutto o in parte sono esclusi dal reddito imponibile, in deroga al principio generale dell’onnicomprensività sancito dall’art. 51, co.a 1, del TUIR. In secondo luogo, è stato ribadito come il TUIR si fondi altresì sulla regola per la quale le utilità corrisposte ai dipendenti, per essere “non imponibili”, devono essere erogate alla generalità dei dipendenti ovvero a categorie omogenee di dipendenti.

Tale circostanza è stata ritenuta ricorrere nel caso sottoposto all’Agenzia, in quanto i vantaggi derivanti dal c.d.  percorso occupabilità era previsto fossero erogati ad una categoria, oggettivamente individuabile, di dipendenti. In particolare, si trattava delle categorie di lavoratori a maggior rischio di non impiegabilità nonché in situazione di maggior fragilità sociale, individuati secondo criteri oggettivi, ovverosia sulla base di un sistema di pesatura che avrebbe assegnato, ad una serie di condizioni oggettive funzionali predeterminate, un punteggio crescente in funzione del rischio di scarsa impiegabilità e fragilità sociale, conseguente alla sussistenza della condizione stessa in capo al singolo individuo.

La definizione del profilo personale di occupabilità prevedeva, infatti, il calcolo del livello di svantaggio, cioè della probabilità di non essere occupato. Le caratteristiche considerate erano sia individuali (genere, età, cittadinanza, titolo di studio, stato di disoccupazione), sia riferite al territorio in cui risiedeva la persona e quindi alla dinamicità del mercato del lavoro locale (tasso di occupazione, incidenza delle famiglie a bassa intensità di lavoro, densità imprenditoriale).

Tali caratteristiche erano ricavate dalle informazioni anagrafiche e professionali che l’utente avrebbe inserito al momento della dichiarazione di disponibilità.

La società istante elencava le diverse condizioni a cui si è fatto cenno: esse avrebbero costituito il sistema di pesatura per l’individuazione della categoria dei beneficiari del Percorso occupabilità.

In relazione, poi, al budget di spesa figurativo per la fruizione delle “utilità” presenti nel paniere del Piano Welfare, veniva confermato che esso non avrebbe generato materia imponibile nei confronti dei lavoratori, sempreché le modalità di utilizzo di tale budget non avessero contrastato con le finalità delle disposizioni di cui ai co.i 2 e 3 del più volte citato art. 51 del TUIR e sempreché il budget assegnato, in caso di non utilizzo, non fosse convertito in denaro e rimborsato al lavoratore.

Sulla base delle predette considerazioni, l’Agenzia interpellata ha dunque ritenuto il Percorso Occupabilità e il connesso Credito Welfare corrispondenti a quanto stabilito e imposto dal co. 2° dell’art. 51, TUIR. Da ciò, ed entro i limiti della disposizione normativa de qua, ne consegue la loro non assoggettabilità ad imposizione fiscale.

Trattamento fiscale del c.d. Percorso occupabilità e del “credito welfare”
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