Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3279

Cartella esattoriale, Contributi previdenziali, Mancato
pagamento, Associazione Onlus, Qualificazione prestazione, Prova del
rapporto di volontariato

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’ appello di Ancona, in riforma della
sentenza del Tribunale di Macerata, respingeva l’opposizione proposta dall’
Associazione Onlus “I.” avverso la cartella esattoriale notificata
per un importo pari a € 13.741,38 a titolo di mancato pagamento di contributi
previdenziali.

2. La Corte riferiva che l’addebito aveva ad oggetto
rapporti di lavoro con 5 lavoratori, formalmente volontari, ma qualificati
dall’INPS come dipendenti. La Corte territoriale permetteva che la ripartizione
dell’onere probatorio secondo il principio desumibile dall’articolo 2697 CC dev’essere temperato
dall’applicazione del principio del dovere di ciascuna parte di esporre
compiutamente i rispettivi assunti e che nel caso l’associazione non aveva
dimostrato che la prestazione dei soggetti interessati fosse resa a titolo di
volontariato. Argomentava in primo luogo che l’associazione esercitava un
canile multizonale per il Comune di Civitanova, in esecuzione di un contratto
di appalto con il Comune, e che è conforme alle esigenze economiche e
organizzative del rapporto l’omologazione al rapporto di lavoro subordinato tra
il datore di lavoro gestore di un canile e i lavoratori che provvedano
concretamente allo stesso. Rilevava che i lavoratori erano compensati con
importi di esigua entità, denominati rimborso spese, «grosso modo assimilabili
all’ammontare di un’eventuale retribuzione proporzionata al valore economico
delle prestazioni rese», senza che fosse fornita spiegazione del loro ammontare
con riferimento a oneri sostenuti, e che non era credibile che i lavoratori non
dovessero rispettare un orario di lavoro in considerazione della necessità di
funzionamento del canile.

3. Per la cassazione della sentenza l’Associazione
Onlus “I.” ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi. L’ INPS ha
depositato procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso.

 

Considerato che

 

4. come primo motivo di ricorso l’Associazione
deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo
434 c.p.c. e lamenta che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’
eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata nella memoria d’appello,
considerato che il gravame dell’Inps risultava del tutto generico.

5. Come secondo motivo deduce la violazione o falsa
applicazione degli articoli 436 bis e 348 bis c.p.c.. Ribadisce che l’appello non aveva
ragionevole probabilità di essere accolto non avendo controparte dimostrato
l’esistenza della subordinazione.

6. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 cc. Sostiene che la
Corte d’appello avrebbe riconosciuto la legittimità della pretesa contributiva
dell’INPS senza nessuna valutazione dei requisiti inerenti la subordinazione,
ma invertendo l’onere probatorio in capo all’associazione.

7. Come quarto motivo deduce la violazione o falsa
applicazione dell’articolo 2094 e seguenti c.c.
e dell’articolo 116 c.p.c. Lamenta che la Corte
territoriale abbia ritenuto configurabile la subordinazione in difetto dei
requisiti previsti dagli articoli 2094 cc ed
all’esito di un’ errata comparazione tra volontariato e lavoro subordinato,
senza prendere in considerazione quanto emerso dalla fase istruttoria.

8. Come quinto motivo deduce l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
consistente nella mancata analisi delle prove testimoniali.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe totalmente
trascurato la fase istruttoria del procedimento di primo grado della quale
erano emersi elementi che escludevano la subordinazione, quali in particolare
le dichiarazioni testimoniali dei soci che avevano affermato di non ricevere
nessuna direttiva dal Presidente, di ricevere somme a titolo di rimborso spese
e di non avere un obbligo di presenza.

9. Il primo e secondo motivo del ricorso sono
inammissibili.

Questa Corte a Sezioni Unite ha da ultimo ribadito
che La Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito
sia incorso in «error in procedendo», è anche giudice del fatto ed ha il potere
di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto
vizio rilevabile «ex officio», né potendo la Corte ricercare e verificare
autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la
parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti
il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che
illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici
di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo
la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e
l’emenda dell’errore denunciato (Cass. n. 20181 del 25/07/2019).

10. Nel caso, il ricorso non rispetta i richiamati
canoni di specificità, considerato che ivi non viene trascritto il contenuto
del ricorso in appello dell’Inps, né della sentenza di primo grado, il che non
è sufficiente per consentire di comprendere la portata della doglianza ed
accedere all’esame diretto degli atti imposto dalle censure così come formulate
(v. Cass. n. 2143 del 5/2/2015).

11. Il terzo motivo di ricorso è invece fondato.

12. Nella parte in cui ha affermato che incombeva
sull’associazione fornire la prova del rapporto di volontariato, la Corte
d’appello non si è attenuta al principio consolidato secondo il quale in tema
di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione avverso la cartella
esattoriale di pagamento dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su
diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale, sicché grava sull’ente
previdenziale l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa,
quali la natura subordinata del rapporto di lavoro (v. ex aliis Cass. n. 10583 del 28/04/2017, Cass. n. 19469 del 20/07/2018).

13. Parimenti fondati sono gli altri motivi: la
Corte d’appello, pur libera di scegliere le fonti del proprio convincimento,
selezionando quelle ritenute più attendibili o maggiormente significative, non
solo non ha esaminato le prove testimoniali assunte, ma neppure si è fatta
carico di spiegare il perché abbia aderito acriticamente alla soluzione dell’
attività di lavoro subordinato, apparendo del tutto inadeguato e insufficiente
il ragionamento presuntivo adottato, ^ ricorrendo al “notorio”
desunto dalla natura dell’attività esercitata dal canile, in mancanza di un
qualsivoglia accertamento in ordine alle modalità con le quali si sono in concreto
attuati i rapporti di lavoro.

14. Più precisamente, il ragionamento presuntivo
seguito dal giudice di merito non è sostenuto da fatti “noti”, da cui
sia possibile desumere il fatto ignoto, ossia la soggezione della lavoratrice
al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, sì da
qualificare il rapporto nello schema del lavoro subordinato in luogo della
associazione in partecipazione voluta dalle parti. E’ pur vero che nel
ragionamento presuntivo gli elementi assunti a fonte di presunzione non
necessariamente devono essere più di uno, potendo il convincimento del giudice
del merito fondarsi anche su un unico elemento; né è necessario che tra l’unico
fatto noto e il fatto ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva
necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile
dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio
di normalità (Cass. 10/1/2006, n. 154; Cass.
29/5/2006, n. 12802). Ma tale rapporto di “normalità”, nel senso di
connessione verosimile e probabile di accadimenti, non è rintracciabile nel
caso in esame, non avendo la Corte indicato elementi di riscontro
dell’esistenza di una relazione di coerenza fra convincimento e fonti
probatorie, la cui mancanza è stata denunciata in maniera specifica dalla
odierna ricorrente.

15. Né può invocarsi il principio affermato da Cass. n. 9468 del 18/04/2013, secondo il quale
«non ricorrono gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui,
per l’attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro, essendo
onere della parte convenuta in giudizio per il riconoscimento dell’esistenza di
un rapporto di lavoro subordinato dimostrare che la loro corresponsione sia avvenuta,
invece, a titolo di rimborso spese, non superando l’ammontare di queste» in
quanto nel caso gli importi percepiti vengono qualificati assimilabili
«all’ammontare di un’eventuale retribuzione proporzionata al valore economico
delle prestazioni rese» senza alcuna giustificazione di tale affermazione con
riferimento ai parametri, anche quantitativi, di valutazione adottati.

16. I tre motivi devono dunque essere accolti e la
sentenza cassata in relazione ad essi, con rinvio ad altro giudice di appello che
procederà ad un nuovo esame della controversia e regolerà anche le spese del
presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo di
ricorso; dichiara inammissibili gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata
in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, 1 in
diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

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