Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3513

Tributi, IRPEF, Cessazione del rapporto di lavoro,
Liquidazione prestazioni di previdenza complementare, Fondo di Previdenza
Integrativa ENEL, Prestazioni erogate in forma di capitale, Tassazione,
Valutazione “rendimento netto”

 

Rilevato che

 

– Con sentenza n. 1993/13/17 depositata in data 20
settembre 2017 la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava
l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la Sentenza della
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze n. 51/11/2017, con cui era stato
parzialmente accolto il ricorso proposto da A.G., nelle more deceduto;

La CTR, nel rideterminare la misura del credito
restitutorio, e confermare che dovesse essere assoggettata alla ritenuta del
12,50% ex art. 6 della legge
482/1985, la quota parte attribuitagli alla cessazione del rapporto di
lavoro, entro il 31.12.2000, dal Fondo di Previdenza Integrativa ENEL, come
liquidazione del c.d. rendimento netto, senza necessità di accertare un
effettivo investimento nel mercato, dei capitali affluiti nel fondo di
previdenza integrativa, ha rigettato l’appello;

La controversia traeva origine dall’impugnazione
proposta dal contribuente del diniego sull’istanza di rimborso presentata dal
contribuente in relazione alla ritenuta erronea applicazione da parte
dell’ENEL, quale sostituto d’imposta, dell’aliquota propria del TFR sull’intero
importo erogatogli dall’Ente;

Avverso la pronuncia resa dalla CTR l’Agenzia delle
Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui
M.F., n.q. di erede di A.G., resiste con controricorso, che illustra con
memoria;

 

Ritenuto che

 

– Preliminarmente, va esaminata e disattesa l’eccezione
di inammissibilità del motivo di ricorso in quanto non mira alla revisione
degli accertamenti di fatto operati dalla CTR, facendo valere una asserita
violazione di legge ed il dedotto contrasto con la giurisprudenza della S.C..
Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione o
falsa applicazione di plurime disposizioni di legge – in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. -,
per avere la decisione impugnata palesemente violato il principio di diritto
fissato dalle Sezioni Unite n. 13642/2011, reso in controversia analoga;

– Il motivo è fondato. La Corte rammenta
l’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui «In tema di fondi previdenziali
integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che
risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di
previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa
previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a)
per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è
assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la “sorte
capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla
cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla
liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista
dall’art. 6 della I. 26
settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1
gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui
agli artt. 16, comma 1, lett. a) e
17 del d.P.R. n. 917 cit.» (Cass. n. 13642 del
22/06/2011, Rv. 618426 – 01);

– In particolare, afferma tale autorevole decisione
in parte motiva, «Per gli iscritti in epoca precedente [al 31 dicembre 2000],
il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere,
indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse, che, nel
caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare aziendale a
capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono
composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti
imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor
misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla
gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato».

– Questo è proprio il caso di specie e la CTR, fa
riferimento in modo meccanico alle Sezioni Unite, senza coglierne l’effettiva
portata, ossia la necessità di accertare in concreto quale sia stato l’impiego
da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato mediante la
contribuzione del lavoratore e in quale misura sia stato realizzato il
rendimento. Chiaro riferimento è contenuto nella citata sentenza delle SS.UU.
alla «gestione sul mercato», ossia all’imputabilità del rendimento al mercato,
con investimenti diversi da quelli effettuati all’interno dell’azienda. La Corte
ha numerose volte chiarito che la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 della legge 26 settembre
1985, n. 482, si applica alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d.
rendimento, nel senso che per tali debbano intendersi le somme derivanti
dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato (non
necessariamente finanziario: in tal senso più di recente Cass., sez. 5, n. 10285 del 26/04/2017, Cass.
sez. 5, n. 4941 del 2/03/2018), non potendo comunque mai dette somme essere
calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico
attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta
delle prestazioni previdenziali concordate. La sentenza impugnata dev’essere
pertanto cassata con rinvio alla CTR per trattazione, nel rispetto dei principi
di diritto esposti, in relazione al profilo accolto, oltre che per il
regolamento delle spese di lite;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, in relazione al profilo
accolto, oltre che per il regolamento delle spese di lite.

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