Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2020, n. 2845

lnfortunio sul lavoro, Risarcimento danno subito, Condotta
colposa del datore di lavoro, Azione di regresso dell’INAIL

Rilevato che

 

Con sentenza in data 1 marzo-28 aprile 2017 numero
142 la Corte d’Appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di
Savona, che aveva condannato la società G. s.s. a risarcire il danno subito dal
dipendente D.D. per l’infortunio sul lavoro occorsogli in data 29 novembre 2008
ed a rivalere l’INAIL del valore capitale della rendita liquidata al
lavoratore.

La Corte territoriale osservava essere certo che il
giorno 29 novembre 2008 il bracciante della G.s.s. D.D. mentre si trovava nel
terreno della società aveva subito l’amputazione delle ultime due dita della
mano destra, che erano venute in contatto con la lama della motosega circolare
in quel momento utilizzata.

Doveva escludersi che il lavoratore si trovasse per
caso in prossimità dell’attrezzo, come sostenuto dal datore di lavoro. Dalle
deposizioni dei testi risultava che egli partecipava all’attività di taglio di
tronchi di legno e di carico dei pezzi tagliati sul mezzo di trasporto; la
stessa società nei capitoli di prova dedotti affermava che il bracciante stava
svolgendo attività di raccolta della legna da terra.

Non poteva però ritenersi dimostrata la versione dei
fatti allegata nel ricorso introduttivo del giudizio ed accolta dal primo
giudice ovvero che il lavoratore partecipasse al momento dell’infortunio alle
operazioni di taglio. Dalla prova risultava che le operazioni di taglio erano
compiute dall’operaio S. e che i tronchi da tagliare venivano posizionati sul
piano di lavoro da altri operai. Neppure trovava riscontro l’affermazione del
Tribunale secondo cui il funzionamento della sega circolare era stato
manomesso, in modo da lasciare la lama scoperta per rendere più veloci le
operazioni.

Il lavoratore al momento dell’infortunio stava
raccogliendo i pezzi di legno tagliati ed, inciampando, era caduto sulla
motosega urtandone la lama, come sosteneva lo stesso datore di lavoro.

Non era configurabile, tuttavia, un comportamento
abnorme ed imprevedibile del lavoratore, unico rilevante ad escludere la
responsabilità del datore di lavoro.

Il datore di lavoro avrebbe dovuto organizzare
l’attività di raccolta in modo da evitare che durante il taglio persone diverse
dall’addetto alla motosega venissero in prossimità della macchina.

Quanto all’azione di regresso dell’INAIL, si era in
presenza di una condotta colposa del datore di lavoro, in violazione
dell’articolo 2087 codice civile; la fattispecie era riconducibile all’ambito
di applicazione dell’articolo 590 codice penale, reato procedibile d’ufficio.

L’appellante non aveva impugnato la sentenza sotto
il profilo del quantum debeatur.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza
la società G.ss, articolato in sei motivi, cui ha resistito con controricorso
l’INAIL; D.D. è rimasto intimato.

 

Considerato che

 

La società ricorrente ha dedotto con il primo di
ricorso- ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice
procedura civile – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 codice civile, per esserle stata
attribuita una responsabilità oggettiva.

Ha esposto che dalla motivazione della sentenza
impugnata emergeva che il giudice dell’appello non aveva esaminato il filmato
sul funzionamento della motosega, prodotto in entrambi i gradi, dal quale
sarebbe emerso che il lavoratore non poteva cadere sulla motosega ed urtarne la
lama, in quanto la copertura del macchinario era appositamente studiata per
evitare tale rischio.

Lo spazio sotto la cuffia di copertura aveva
dimensioni irrisorie sicché sarebbe stata chiara l’abnormità del comportamento
del lavoratore.

Il motivo è inammissibile. La censura, pur evocando
la violazione di norme di diritto, contesta nei contenuti l’accertamento di
fatto compiuto dal giudice del merito in ordine alla colpa del datore di lavoro
(per non avere rispettato la norma precauzionale che imponeva la non contestualità
tra le operazioni di taglio e quelle di raccolta a terra del legname tagliato).

Come ripetutamente affermato da questa Corte, il
vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta
recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa mentre la allegazione – come prospettata nella
specie da parte della società ricorrente – di una erronea ricognizione della
fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta
interpretazione della norme di legge ed impinge nella tipica valutazione del
giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità,
unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis: Cass. 5
giugno 2007, n. 13066; Cass. 20 novembre 2006, n. 24607; Cass. 11 agosto 2004,
n. 15499).

Con il secondo motivo la società ricorrente ha
dedotto -ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice
procedura civile- violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 codice procedura civile.

Si assume che la mancata visualizzazione del filmato
sul funzionamento della motosega e la mancata ammissione della richiesta
dell’esperimento in loco avevano comportato una distorta ricostruzione delle
modalità dell’infortunio.

Si lamenta che il giudice dell’appello, pur
smentendo la dinamica dei fatti accertata dal giudice del primo grado, era
contraddittoriamente pervenuto alle sue medesime conclusioni.

Si evidenzia una ulteriore grave contraddizione
della sentenza impugnata, per avere ritenuto inattendibile il teste D.R. – (per
essere la sua deposizione incerta) – e, tuttavia, utilizzato le sue
dichiarazioni per ricostruire le modalità dell’infortunio.

Il motivo non sfugge al rilievo di inammissibilità,
per ragioni analoghe a quelle evidenziate in relazione al primo motivo.

La violazione dell’articolo
115 cod.proc.civ. è deducibile- ai sensi dell’articolo
360 nr. 3 cod.proc.civ.- soltanto in caso di violazione delle regole di
formazione della prova ovvero quando il giudice utilizzi prove diverse da
quelle acquisite in atti; nella fattispecie in esame è oggetto di censura non
già la valorizzazione di prove estranee al processo ma, piuttosto, il peso dato
ad alcuni elementi istruttori rispetto ad altri, la coerenza della motivazione,
la valutazione di attendibilità dei testi. In sostanza, si denunzia la erroneità
della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di
prova, che ridonda in vizio deducibile nei limiti di cui all’articolo 360, n. 5, c.p.c. (per tutte: Cassazione
civile, sez. III, 13/06/2014, n. 13547).

Con il terzo motivo la società ha dedotto- ai sensi
dell’articolo 360 numero 4 codice procedura civile-
nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Ha esposto che la sentenza, pur condividendo le
critiche sollevate con l’atto di appello, era pervenuta a conclusioni opposte e
che neppure trovava giustificazione la propria condanna nei confronti
dell’INAIL per importi notevolmente superiori alle somme riconosciute al
lavoratore.

L’ unico accertamento conformemente compiuto nei due
gradi di merito riguardava la violazione dell’articolo 590 codice penale, che,
tuttavia, era sfornita di prova, per le contraddizioni emerse ed il mancato
avvio del procedimento penale.

Il motivo è inammissibile. Il prospettato vizio di
nullità della sentenza resta del tutto privo di basi, in quanto le critiche
mosse sarebbero riconducibili, tutt’ al più, al vizio di contraddittorietà
della motivazione, non deducibile in questa sede di legittimità nel testo
vigente dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.,
ratione temporis applicabile.

Per il resto si osserva che la sentenza impugnata ha
motivato la quantificazione della condanna nei confronti dell’INAIL, esponendo:
che il giudice del primo grado aveva capitalizzato il valore della rendita
all’1.6.2016 e considerato le altre somme già erogate dall’INAIL (pagina 6
della sentenza, secondo capoverso); che sulla quantificazione non vi erano
motivi di appello (pagina 15 della sentenza, primo capoverso). Da ultimo,
l’accertamento della ricorrenza della fattispecie di reato di cui all’articolo 590 cod.pen. è il risultato della
qualificazione dei fatti storici già motivatamente accertati.

Con il quarto motivo la società G.ss. ha
denunciato  ai sensi dell’articolo 360 numero 4 codice procedura civile-
nullità della sentenza e del procedimento per carenza di legittimazione passiva
della socia citata in giudizio.

Ha esposto che il ricorso introduttivo era stato
notificato a M.A.F.- ritenuta erroneamente legale rappresentante della G.s.s.-
laddove i soci con rappresentanza erano il signor F.C. ed il signor I.V., come
risultava dalla visura camerale storica prodotta alla prima udienza d’appello.

Ha dedotto che il giudice dell’appello avrebbe
dovuto rilevare d’ufficio la carenza del potere rappresentativo, risultante da
un atto del giudizio.

Il motivo è inammissibile per novità della censura.

Esso introduce in questa sede una questione nuova
richiedente accertamenti di fatto.

Il denunciato difetto di capacità rappresentativa
della socia M.A.F. peraltro contrasta con il rilievo che la società risulta
costituita anche nel presente grado di legittimità in persona della medesima
socia; dal preteso difetto del potere di rappresentanza, deriverebbe, pertanto,
la inammissibilità dell’odierno ricorso.

Con il quinto motivo la ricorrente ha denunciato- ai
sensi dell’articolo 360 numero 5 codice procedura
civile- omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di
discussione tra le parti.

Ha esposto di aver prodotto in entrambi i gradi di
merito il filmato relativo al funzionamento della motosega ed ha dedotto che
dall’istruttoria era emersa una grave incongruenza tra le modalità
dell’infortunio esposte dal lavoratore e quelle riferite dal datore di lavoro;
ulteriormente diversa era la rappresentazione offerta dai testimoni ed erano
discordanti l’accertamento del giudice di prime cure e quello del giudice
dell’appello.

Dalla visione del filmato e dall’esperimento in loco
sarebbero derivate conclusioni opposte a quelle rese in sentenza.

Il motivo è inammissibile.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte
(Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881 ; Cass. S.U.
7.4.2014 nr. 8053) il nuovo testo del n. 5) dell’art.
360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico, che
concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale
a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso
esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico
rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché
questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente
rilevanti.

Nella fattispecie di causa la parte si duole
dell’omesso esame di elementi istruttori rispetto ad un fatto esaminato (la
dinamica dell’infortunio); né risulta comunque la decisività del preteso «
fatto» non esaminato rispetto alla ratio decidendi della sentenza, che ha
ravvisato la colpa del datore di lavoro nell’ organizzazione dell’attività di
raccolta in costanza dell’utilizzo della motosega.

Con il sesto motivo la società ricorrente ha dedotto
l’intervenuta prescrizione dell’azione di rivalsa dell’INAIL.

Ha esposto che nessuna azione penale era stata
esercitata e che sarebbe stato onere dell’INAIL proporre la azione di rivalsa
nel termine di tre anni dall’evento dannoso; nella fattispecie di causa
l’infortunio si era verificato in data 29 novembre 2008 mentre l’intervento
dell’INAIL risaliva all’anno 2013, decorso il triennio di legge.

Il motivo è inammissibile per novità della
questione.

Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate
questioni, richiedenti accertamenti di fatto, di cui non vi sia cenno nella
sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una
statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare
l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito ma anche, in ossequio al
principio di specificità del ricorso stesso, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di
controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di
esaminarne il merito. Nella fattispecie di causa la sentenza non si occupa
della prescrizione dell’azione di regresso dell’INAIL e la società ricorrente
non specifica in quali atti e con quali forme la relativa eccezione era stata
opposta nel giudizio di primo grado e nell’appello.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha
aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo
di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente
rigettata, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte
ricorrente alla refusione delle spese, che liquida in € 200 per spese ed €
8.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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