Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3585

Impeste dirette, IRPEF, Accertamento, Tassazione compensi
arretrati, Lavoratore dipendente

 

Fatti di causa

 

1. D.M., giudice tributario, impugnò innanzi alla
Commissione tributaria provinciale di Napoli il silenzio-rifiuto opposto
dall’Agenzia delle entrate alla sua istanza (del 16/02/2015) di rimborso della
maggiore IRPEF (euro 3.595,00) trattenuta dall’Amministrazione finanziaria sui
compensi arretrati relativi agli anni dal 2009 al 2013, sottoposti a tassazione
ordinaria (aliquota massima) anziché a tassazione separata (aliquota media).

2. La CTP di Napoli, con sentenza n. 39/2017,
accolse la domanda; interposto appello dall’ufficio, che aveva prestato
acquiescenza parziale per il minore importo di euro 925,00, la Commissione
tributaria regionale della Campania, con la pronuncia menzionata in epigrafe,
ha respinto l’impugnazione, confermando la decisione di primo grado.

La CTR ha affermato che i compensi (fissi e
variabili) dei componenti delle commissioni tributarie sono equiparati dal TUIR agli emolumenti per prestazioni di lavoro
dipendente e, in particolare, i compensi arretrati sono sottoposti al regime
della tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. b), TUIR;
in passato l’Amministrazione finanziaria, con un serie di provvedimenti
(circolari, note, risoluzioni) del MEF, sottoponeva tali compensi aggiuntivi a
tassazione ordinaria, sul presupposto che il differimento della loro erogazione
(rispetto al termine di leggi del 12 gennaio dell’anno successivo a quello di
maturazione) dovesse essere considerato un «ritardo fisiologico»; sul piano
fiscale i compensi variabili, ragguagliati al numero di ricorsi decisi,
spettanti ai giudici tributari, in quanto assimilati a quelli di lavoro
dipendente, se erogati dopo il 12 gennaio dell’anno successivo, sono
qualificabili come arretrati, per i quali lo stesso MEF (con nota n. 39616 del
20/06/2005) aveva previsto il pagamento entro il 15 gennaio dell’anno
successivo, con ciò prorogando indebitamente il termine del 12 gennaio posto
dalla sovraordinata fonte legislativa (art. 51, TUIR); la Corte costituzionale, con sentenza n. 142/2014,
aveva dichiarato illegittimo, per contrasto con gli artt.
3, 53 Cost., l’art. 39, comma 5, del d.l. n.
98/2011 (convertito dalla legge n. 111/2011),
che assoggettava a aliquota ordinaria, e non a tassazione separata, i compensi
corrisposti ai giudici tributari in ritardo, oltre il 12 gennaio dell’anno
successivo; il MEF, con direttiva n. 5/2014, in relazione ai compensi variabili
maturati nell’ultimo trimestre dell’anno, aveva riaffermato che costituiva
«ritardo fisiologico» la dilatazione del principio della cassa allargata fino
al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di maturazione, in tal modo
disapplicando la sentenza n. 142/2014, mentre,
per effetto di tale pronuncia, e della giurisprudenza di legittimità, valicato
il limite temporale del 12 gennaio, si ha un «ritardo patologico», anche in
considerazione del fatto che gli attuali sistemi informatici consentono di
quantificare immediatamente i compensi variabili spettanti ai giudici
tributari, le cui decisioni sono memorizzate dal sistema informatico nel
momento stesso del deposito in segreteria.

3. L’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base
di un unico motivo; il contribuente resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo del ricorso (Violazione o
falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’artt. 17, comma 1, lett. b), artt. 50, 51 e 52 del DPR 917/86 e
dell’art. 38 del DPR n.
602/1973, ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 3, c.p.c.), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere trascurato
che i compensi variabili, relativi al quarto trimestre (ottobre-dicembre)
dell’anno solare, in quanto calcolabili a consuntivo e, quindi, pagabili sono
nel periodo d’imposta successivo, sono assoggettati all’aliquota ordinaria (e
non separata) a prescindere dalla data di liquidazione.

E ciò anche perché, come stabilito dalla prassi amministrativa
(da ultimo, dall’Agenzia delle entrate, con risoluzione
n. 151/E del 13 dicembre 2017), per i compensi variabili, liquidati ai
giudici tributari «per ogni ricorso definito (…) in relazione ad ogni
provvedimento emesso» (ai sensi dell’art. 13, del d.lgs. n. 545/1992),
il ritardo nell’erogazione va considerato fisiologico quando siano rispettati i
tempi ordinariamente necessari i tempi per l’espletamento della procedura di
liquidazione, previsti dalle direttive del MEF che determinano l’erogazione
delle somme ad intervalli regolari.

1.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

1.1.1. Questi, in sintesi, la cornice normativa di
riferimento e il catalogo di alcuni principi ispiratori della disciplina
dell’imposizione tributaria sui redditi di lavoro dipendente e assimilati,
categoria nella quale s’inscrivono – per effetto dell’art. 50 (già art. 47), comma 1, lett. f), TUIR
– i compensi dovuti ai giudici tributari oggetto della controversia, secondo la
ricostruzione che ne offre la sentenza n. 142/2014
della Corte costituzionale:

(a) il criterio generale dell’imposizione su detti
redditi è il principio di cassa, ricavabile dall’art. 7, TUIR, secondo cui ad ogni
anno solare – di regola – corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma;

(b) la previsione è integrata dal principio della
«cassa allargata», che trova fondamento nell’art. 51 (già art. 48), comma 1, TUIR, che
parifica, ai fini impositivi, i compensi di lavoro dipendente e assimilati,
erogati entro il 12 gennaio dell’esercizio successivo, a quelli erogati nel
precedente (nel senso di attrarre, nel reddito annuale, le somme percepite
entro il 12 gennaio dell’anno successivo);

(c) invece, per i redditi percepiti in un
determinato periodo d’imposta, ma maturati in tempi precedenti, vige il diverso
regime della tassazione separata (art.
17 (già art. 16), comma 1, TUIR),
che è una modalità particolare di determinazione dell’IRPEF, la cui ratio è
individuata dalla circolare del Ministero delle
finanze n. 23/E del 5 febbraio 1997 nella necessità di «attenuare gli effetti
negativi che deriverebbero dalla rigida applicazione del criterio di cassa» in
quei casi in cui la tassazione ordinaria di un reddito formatosi nel corso di
più anni, ma corrisposto in unica soluzione, potrebbe risultare eccessivamente
onerosa per il contribuente;

(d) più precisamente, la disciplina dei compensi
erogati ai giudici tributari è contenuta nell’art. 13, del d.lgs. 31 dicembre
1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria
ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al
Governo contenuta nell’art. 30
della legge 30 dicembre 1991, n. 413), il quale stabilisce che i giudici
componenti delle commissioni tributarie percepiscono due tipi di compensi: uno
mensile, determinato in cifra fissa, ed uno aggiuntivo variabile, che discende
dal numero e dalla tipologia dei provvedimenti depositati. L’entità dei
compensi è stabilita periodicamente dal Ministero dell’economia e delle finanze
con proprio decreto. Le modalità di computo ed erogazione, in attuazione del
primo decreto interministeriale 19 dicembre 1997, sono contenute nella circolare del Ministero delle finanze n. 80/E dell’11
marzo 1998, secondo la quale la liquidazione dei compensi deve avvenire di
regola mensilmente;

(e) i compensi dei giudici tributari sono assimilati
dall’art. 50 (già art. 47), comma 1, lett. f), TUIR,
ai redditi di lavoro dipendente, sicché anch’essi sono soggetti alle
disposizioni inerenti a tale categoria generale, comprese quelle che
determinano i principi della tassazione per cassa, per «cassa allargata» e il
criterio della tassazione separata per gli emolumenti arretrati;

(f) l’originaria versione dell’art. 17 (già art. 16), TUIR, non forniva la
nozione di «emolumenti arretrati», ma si limitava a fare generico riferimento
agli «emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti per prestazioni di
lavoro dipendente»; in seguito, l’art. 3, comma 82, della legge 28
dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica),
precisò che tale locuzione individua «(…) emolumenti arretrati per
prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per
effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi
sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti».

La Corte costituzionale, come precisato, era stata
investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 5, del d.l. n. 98 del
2011 che, tra tutti i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente
indicati dall’art. 50, TUIR,
soltanto per gli emolumenti arretrati riferibili all’anno precedente
corrisposti ai giudici tributari introduceva la tassazione ordinaria –
comportante l’applicazione dell’aliquota massima inerente ai redditi dell’anno
di percezione – fino al compimento dell’intero periodo d’imposta successivo a
quello di competenza, in pratica ampliando, secondo il giudice a quo, in modo
assolutamente discriminatorio nell’ambito della categoria dei percettori di
redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, il principio della cassa allargata
da 12 giorni all’intero anno solare.

Il Giudice delle leggi ha ritenuto fondate le
censure di irragionevolezza e contraddittorietà sollevate nei confronti dell’art. 39, comma 5, cit., sul
rilievo che «il legislatore non ha espunto i compensi dei giudici tributari dal
novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, né tanto meno ha
recato altre modifiche alla disciplina generale in materia di tassazione
separata, implicitamente confermando la natura degli stessi ed il conseguente
assoggettamento al regime di favore. Quest’ultimo, peraltro, è stato
irragionevolmente vanificato dall’anomala prescrizione temporale che, di fatto,
ha riprodotto, per la sola categoria dei giudici tributari, la regola del
cumulo.».

1.1.2. Svolta questa premessa in punto di diritto,
tornando al motivo del ricorso, l’Agenzia ha negato il rimborso IRPEF richiesto
dal contribuente, percorrendo la direttrice posta dal Ministero dell’economia e
delle finanze (sin dalla circolare n. 23/E del 5
febbraio 1997), che interpreta la norma in oggetto, come modificata dall’art. 3, comma 82, della legge n.
549 del 1995, nel senso che essa stabilisce che gli emolumenti da lavoro
dipendente (od assimilati) corrisposti in ritardo possono essere assoggettati a
tassazione separata allorquando il ritardo non sia dipeso da accordi tra le
parti, ma da circostanze oggettive di fatto o da impedimenti di carattere
giuridico.

Al contrario, per la stessa circolare, non può farsi
luogo a tale imposizione separata quando il pagamento in ritardo debba
considerarsi una «conseguenza fisiologica», insita nelle modalità di erogazione
degli emolumenti stessi, tali da richiedere determinati tempi tecnici per
essere condotte a termine.

In quest’ultima ipotesi, in base alla lettura del
dato normativo adottata dall’Amministrazione finanziaria, rientra l’erogazione
dei compensi (variabili) attribuiti ai componenti delle commissioni tributarie,
che richiedono un determinato periodo di tempo per essere liquidati,
rapportandosi al numero ed alla tipologia dei «provvedimenti emessi» (art. 13, del d.lgs. n. 545/1992).

Al riguardo, la circolare
dell’Agenzia delle entrate n. 23/E del 5/02/1997, così si esprime: «Resta
confermato che l’applicazione del regime di tassazione separata deve escludersi
ogni qualvolta la corresponsione degli emolumenti in un periodo d’imposta
successivo deve considerarsi fisiologica rispetto ai tempi tecnici occorrenti
per l’erogazione degli emolumenti stessi.».

1.1.3. Questa Corte ritiene, in linea di massima,
condivisibile una simile interpretazione del dato normativo – che, in sostanza,
poggia sul significato della locuzione «ritardo fisiologico» – in ragione dei
seguenti argomenti:

(a) il regime della c.d. «tassazione separata» – il
cui fondamento può rinvenirsi nell’intervallo temporale tra la realizzazione
della fattispecie produttiva del reddito ed il momento di rilevanza fiscale
dello stesso – fu introdotto nell’ordinamento al fine di equamente contemperare
o, comunque, attenuare gli effetti della congiunta applicazione del principio
di imputazione per cassa (quale rinvenibile dall’art. 7, TUIR, cui pacificamente
sono soggetti i redditi di lavoro dipendente e quelli ad essi assimilati) e di
quello di proporzionalità dell’IRPEF, con l’art. 12, comma 1, lett. d), del
d.P.R. n. 597/1973, il quale ne individuava l’oggetto nei soli «arretrati
riferibili ad anni precedenti»;

(b) la disposizione venne, poi, trasfusa nell’art. 16, comma 1, lett. b), TUIR
(vecchia numerazione), per essere, quindi, modificata, anche a seguito della
contrapposta interpretazione della norma da parte della prassi e della
prevalente giurisprudenza (che ne forniva una lettura strettamente letterale a
prescindere dalle ragioni alle quali fosse riconducibile il ritardo),
nell’attuale formulazione del citato art.
17, dall’art. 3, comma 82,
lett. a), n. 1, della legge n. 549/1995;

(c) nella relazione illustrativa di detta legge si
esponeva che le situazioni che assumono rilievo per l’applicazione del
particolare regime di tassazione sono di due tipi: (1) quelle di «carattere
giuridico», che consistono nel sopraggiungere di norme legislative, di sentenze
o di atti amministrativi, ai quali è sicuramente estranea l’ipotesi di un
accordo tra le parti in ordine ad un rinvio del tutto strumentale nel pagamento
delle somme spettanti; (2) quelle consistenti in «oggettive situazioni di
fatto» che impediscono il pagamento delle somme riconosciute come spettanti
entro i limiti ordinariamente adottati dalla generalità dei sostituti
d’imposta;

(d) secondo il dettato letterale della disposizione
normativa, dunque, affinché un provento da reddito di lavoro dipendente (o
assimilato) possa essere assoggettato a tassazione separata occorre,
innanzitutto, che gli emolumenti siano «arretrati», e cioè, come chiarito dalla
medesima norma, riferibili ad anni precedenti rispetto a quello nel quale sono
maturati. Si consente, poi, l’applicazione della tassazione separata, soltanto
ai proventi percepiti in ritardo per effetto di ragioni di carattere giuridico,
consistenti nel sopraggiungere di norme di legge, di sentenze, di provvedimenti
amministrativi o, comunque, per effetto «di altre cause non dipendenti dalla
volontà delle parti», idonee a fare ritenere che il ritardo nel pagamento non
sia conseguenza di uno strumentale accordo delle parti volto a fare beneficiare
il percettore della più favorevole tassazione separata sui proventi in oggetto;

(e) in base all’attuale formulazione della norma,
pertanto, è chiaro (come del resto confermano la relativa relazione
illustrative e la dottrina maggioritaria) che – escluse le ipotesi (estranee a
questa controversia) in cui ricorrano le «cause di carattere giuridico» -, il
regime della tassazione separata non è più applicabile a qualunque «emolumento
arretrato» (secondo l’accezione letterale del previgente art. 16, cit.), occorrendo,
invece, a tale fine, individuare la causa dell’intervallo temporale tra periodo
di imposta di maturazione e periodo di imposta di percezione dello stesso, e
cioè distinguere tra cause di ritardo indipendenti o dipendenti dalla volontà
delle parti;

(f) sicché (ed è quanto accade nella presente
vicenda tributaria), ove la liquidazione e la corresponsione di un certo
emolumento, in quanto soggette a determinate procedure, implichino
necessariamente un disallineamento cronologico rispetto al periodo di
maturazione del compenso, tale iato assume rilevanza, come presupposto della
tassazione separata, soltanto quando il ritardo non sia fisiologico, ma
esorbiti dalla normale dinamica del rapporto contrattuale, cui l’emolumento
accede.

1.1.4. Così identificati contenuto e ratio della
norma in esame, emerge, altresì, l’erroneità della tesi che ancora la qualità
di «arretrato» del compenso – idoneo, come tale, ad essere assoggettato al
regime di tassazione separata di cui all’art. 17, cit.- al mero superamento,
nella sua corresponsione, della data del 12 gennaio dell’anno successivo a
quello di maturazione, come prevista nell’art. 51, TUIR.

Le due norme a confronto (art. 17 e art. 51, TUIR), infatti, sono nate
e convivono, trovando ratio e applicazione in ambiti diversi; in altri termini,
la limitata deroga al principio di cassa, introdotta dal citato art. 51, non soltanto è scissa, sul
piano sistematico, dall’art. 17,
cit., ma risponde ad obiettivi diversi rispetto a quelli che hanno portato il
legislatore ad adottare il meccanismo della tassazione separata, al fine di
mitigare i possibili effetti distorsivi della sincronica applicazione del
principio di cassa e di proporzionalità dell’IRPEF.

Il regime della c.d. «cassa allargata», infatti, è
stato introdotto, nell’ordinamento e, segnatamente, nell’art. 48 (oggi 51 TUIR. dall’art. 3, comma 190, della legge n.
549/1995, senza alcun richiamo e/o rinvio all’allora vigente art. 16 (oggi 17), TUIR.

La sua stessa collocazione all’interno dell’art. 51, TUIR, e la sua rubrica,
rendono palese che la norma è dettata ai fini della determinazione
dell’imponibile, laddove il regime di tassazione separata opera sull’aliquota,
e che la deroga, ivi statuita, al principio di cassa con «l’allargamento» della
stessa sino al 12 gennaio dell’anno successivo – e sul punto la dottrina è
concorde – non risponde a ragioni d’ordine sistematico, ma soltanto a quella
(unanimemente riconosciuta) della presa d’atto di prassi aziendalistiche
originate dall’ordinaria corresponsione delle retribuzioni mensili al personale
dipendente all’inizio del mese successivo, piuttosto che alla fine del mese di
riferimento, con l’esigenza di contemperare, con riguardo alla chiusura
dell’esercizio annuale, il principio di competenza con quello di cassa (e, in
tale ottica, va letta la «perentorietà» attribuita, dai documenti di prassi,
alla data del 12 gennaio).

1.1.5. Le ragioni sopra svolte consentono di
escludere che il mero superamento della data del 12 gennaio, dell’anno
successivo a quello di riferimento, nella corresponsione di un emolumento, sia
sufficiente a qualificare lo stesso come un «arretrato», ai sensi dell’art. 17, TUIR, sempreché il ritardo
nel pagamento sia connaturato – fisiologico, appunto – all’indole stessa del
rapporto di lavoro da cui quell’emolumento derivi.

1.1.6. D’altronde, il principio per cui
l’applicazione del regime di tassazione separata può essere esclusa, a
prescindere dal superamento del termine di cui all’art. 51, TUIR, qualora la
corresponsione degli emolumenti in un periodo d’imposta successivo a quello
della loro maturazione possa considerarsi come fisiologica rispetto ai tempi
tecnici o giuridici occorrenti per l’erogazione degli emolumenti stessi, non è
nuovo, ma è già stato affermato da questa Corte, seppure con riferimento ai
compensi incentivanti dei dipendenti della P.A. (Cass.
18/04/2019, n. 10887, in tema di tassazione degli arretrati relativi alla
pensione d’invalidità corrisposta dall’INPS, la quale menziona Cass.
25/05/2002, n. 7677; 20/08/2004, n. 16467, riguardanti gli incentivi
riconosciuti dal MEF al proprio personale dipendente) e dei giudici tributari
nel regime previgente negli anni ’80 (Cass. 16/07/2004, n. 13228).

Né lo stesso principio è stato sconfessato, nella
citata sentenza n. 142/2014, dalla Corte costituzionale,
la quale, come dianzi accennato (cfr. par. 1.1.1.), pur confermando
l’assoggettabilità dei compensi dei giudici tributari al regime della
tassazione separata (art. 17, comma
1, TUIR), non ha però disconosciuto l’interpretazione fornitane dal
Ministero dell’economia e della finanze (a partire dalla circolare n. 23/E del 5 febbraio 1997, secondo cui
non può farsi luogo a tassazione separata quando il pagamento in ritardo debba
considerarsi una «conseguenza fisiologica» insita nelle modalità di erogazione
degli emolumenti stessi), che, anzi, il Giudice delle leggi espressamente cita
nel ricostruire il «contesto» nel quale era intervenuta la norma censurata.

Al contrario, il Giudice delle leggi esplicitamente
riferisce di tale prassi applicativa, laddove (pag. 13) afferma che la finalità
di limitare in qualche modo gli effetti delle modalità temporali di
liquidazione viene nella sostanza neutralizzata dall’introduzione di una
disposizione (l’art. 39,
comma 5, censurato) idonea a rendere ininfluenti, a danno del contribuente,
anche tempi tecnici anomali come quelli che raggiungono la durata di un anno.

Del resto, è significativo che, nella motivazione
della declaratoria d’incostituzionalità, la Consulta non richiami mai il
principio di cassa allargata ovvero il disposto di cui al secondo comma dell’art. 51, TUIR, che, pure, era stato
invocato dall’ordinanza remittente.

1.1.7. Può, quindi, affermarsi il seguente principio
di diritto: «In materia di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente,
corrisposti nell’anno successivo a quello di maturazione, non sono ricompresi
tra i redditi arretrati, assoggettabili a tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917, gli emolumenti per i quali il ritardo nella loro corresponsione,
nell’anno successivo a quello di riferimento, sia fisiologico rispetto alla
natura del rapporto dal quale derivano, e cioè sia la necessaria conseguenza di
particolari procedure per la loro quantificazione e liquidazione».

2. Per dirimere la controversia è necessario,
adesso, compiere un ulteriore passo e dare concretezza, definendola in termini
oggettivi, alla nozione, fin qui astratta, di «ritardo fisiologico», oppure, ed
è il rovescio della stessa medaglia, stabilire quando il ritardo nella
corresponsione, in favore dei giudici delle commissioni tributarie, dei
compensi aggiuntivi e variabili, perda tale connotazione, per il suo carattere
anomalo, rispetto ai tempi tecnici normalmente occorrenti, e, quindi, valga a
rendere l’emolumento «arretrato», ai sensi del più volte citato art. 17, e come tale
assoggettabile, qualora il contribuente si avvalga di tale opzione, a
«tassazione separata».

2.1. L’art. 13, d.lgs. n. 545/1992,
cit., non indica per i compensi variabili un termine di pagamento e tale dato
non è fissato nemmeno nei documenti di prassi: per la circolare 11/03/1998, n. 80, del Ministero delle
finanze – dip. Entrate affari giuridici serv. II, infatti: «la liquidazione
dei compensi avviene mensilmente; nel mese successivo sono operati gli
eventuali conguagli e a fine anno viene operato il conguaglio relativo all’anno
medesimo. Particolari esigenze delle singole commissioni consentono, comunque, di
prevedere una diversa cadenza temporale. Il compenso fisso mensile va
conteggiato unitamente a quello aggiuntivo»; per la nota n. 48710 dell’11 marzo
2004 della Direzione centrale dell’Agenzia delle entrate, i compensi dei
giudici tributari «relativi al secondo semestre dell’anno sono corrisposti nel
mese di maggio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono», con la
precisazione che la predetta corresponsione nel mese di maggio costituisce
«ritardo fisiologico rispetto ai tempi tecnici ordinariamente occorrenti per la
corresponsione dei compensi variabili»; per la direttiva del Ministero
dell’economia e delle finanze n. 39616 del 20 giugno 2005, le scadenze per la
chiusura contabile periodica vengono individuate dopo il 15 luglio per il primo
semestre (periodo 1° gennaio – 30 giugno); dopo il 15 ottobre per il terzo
trimestre (periodo 1° luglio – 30 settembre); dopo il 15 gennaio per il quarto
trimestre (periodo 1° ottobre – 31 dicembre), anche in tal caso, senza alcuna
previsione di un termine finale. Più in dettaglio, «1. alle scadenze previste
deve essere effettuata la chiusura contabile periodica e/o annuale (15 luglio
per il periodo 01 gennaio – 30 giugno anno corrente; 15 ottobre per il periodo
01 luglio – 30 settembre anno corrente; 15 gennaio per il periodo 01 ottobre –
31 dicembre anno precedente); il rispetto di tale tempistica costituisce
inderogabile propedeuticità per poter procedere alla rilevazione del fabbisogno
dei compensi aggiuntivi ed al pagamento dei medesimi; 2. entro i 15 giorni successivi
alle singole chiusure contabili la Segreteria del Consiglio di Presidenza della
Giustizia Tributaria provvede alla rilevazione dei dati contabili e, dopo aver
definito con le singole Commissioni Tributarie casi particolari di difformità,
procede alla predisposizione del parere da parte dell’organo Consiliare; 3. le
Segreterie delle Commissioni Tributarie, dopo aver ricevuto la comunicazione
dell’avvenuta emissione del parere positivo del Consiglio di Presidenza sui
definitivi importi spettanti per compensi aggiuntivi, procederanno alla
predisposizione dei mandati individuali di pagamento, inoltrandoli alle
rispettive Commissioni Regionali, per l’esecuzione di quanto di loro
competenza.».

2.2. In assenza di un’espressa previsione normativa
circa il termine finale di corresponsione o, meglio, circa l’individuazione dei
tempi tecnici mediamente occorrenti, c.d. «fisiologici», la lacuna può essere
colmata attraverso l’intervento surrogatorio di questo Giudice, che trova
legittimazione negli artt. 1183, cod. civ., 97, Cost.

Premesso che il parametro costituzionale di «buona
amministrazione» consente una programmata allocazione delle risorse finanziarie
pubbliche (C. Cost. n. 75 del 1987 e n. 285 del
1995), è pacifico che sia consentita una valutazione giudiziale del congruo
termine entro il quale la P.A. sia tenuta a provvedere sui diritti patrimoniali
spettanti ai privati (Cass. sez. un. 11/04/1963, n. 927). Il che vale laddove
la prestazione non sia condizionata ad alcuna valutazione discrezionale degli
interessi e degli strumenti pubblicistici dell’amministrazione (Cass. sez. un.
11/04/1963, n. 3233), ma soggetta ai normali principi di contabilità pubblica dettati
in tema di debiti pecuniari della P.A. con l’espletamento di controlli e
accertamenti a tutela del pubblico interesse (Cass. 12/12/1983, n. 6738). Si
tratta di apprezzamento che, nei variegati contesti processuali, va fatto
all’atto stesso in cui si valuta, ai più diversi fini, il protrarsi
ingiustificato del ritardo della P.A. (C. Stato, sez. 5, 12/11/1992, n. 1277).

Non è contestato che i compensi variabili dei
giudici tributari, in linea generale, vengono liquidati con una cadenza
all’incirca trimestrale; del resto, la controversia riguarda esclusivamente i
compensi variabili per l’attività espletata nell’ultimo trimestre dell’anno,
che include il mese di dicembre, sicché, necessariamente, il tempo occorrente
per l’espletamento delle procedure di quantificazione e liquidazione determina
lo spostamento del termine di effettiva percezione nell’anno successivo a
quello di maturazione.

Dato per acquisito che, come suaccennato (par.
2.1.), la stessa Agenzia riconosce che la scadenza fisiologica per l’erogazione
dei compensi variabili del terzo trimestre, senza travalicare l’anno di
maturazione dell’emolumento, è successiva al 15 ottobre, con riferimento ai
compensi variabili maturati nel quarto trimestre (periodo 1° ottobre – 31
dicembre), ritiene il Collegio che un termine possa ragionevolmente
individuarsi, in aggiunta a quello fissato come iniziale dalla suddetta
Direttiva (dopo il 15 gennaio), in quello di 120 giorni, in parametro con
quello previsto, dopo la novella del 2000 (art. 147 della legge n. 388 del 2000),
dall’art. 14, del d.l. 31 dicembre
1996, n. 669 (in tema di esecuzioni forzata nei confronti di pubbliche
amministrazioni), quale idoneo spatium adimplendi da concedere
all’Amministrazione per l’approntamento dei controlli e dei mezzi finanziari
occorrenti al pagamento dei compensi variabili.

Se quel termine è ritenuto congruo dal legislatore
per svolgere un complesso e impegnativo insieme di attività necessario per
eseguire un provvedimento giudiziario nella patologia dei rapporti con i
privati, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo ai
problemi derivanti dai plurimi controlli predisposti dal MEF nella ridetta
Direttiva (e positivamente apprezzabili ex art. 97,
Cost.), ben possa essere similmente contenuto nel menzionato arco
cronologico di 120 giorni ulteriori, salvo circostanze eccezionali di cui sia
data rigorosa prova (v. Cass. sez. un. 15/07/2016, n. 14594, per un caso
d’individuazione «pretoria» di termini processuali).

3. Applicando tali principi al caso di specie, il
motivo d’impugnazione va accolto in quanto si controverte degli emolumenti
variabili, relativi al quarto trimestre del 2009, corrisposti a maggio 2010, al
quarto trimestre 2010, corrisposti a maggio 2011, al quarto trimestre 2011,
corrisposti a novembre 2012, al quarto trimestre 2012, corrisposti a luglio
2013, al quarto trimestre 2013, corrisposti ad aprile 2014, sicché la sentenza
va cassata, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, la quale, riesaminata
controversia, dovrà accertare per quali annualità sia stato superato il
precisato termine, entro il quale l’Amministrazione è obbligata a provvedere al
pagamento, e dovrà anche statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza, rinvia alla
Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche
per le spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3585
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: