Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2020, n. 4385

Inquadramento, Qualifica, Mansioni superiori
progressivamente, Differenze retributive

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza n. 1942 del 2017 la Corte di
appello di Bari ha confermato la pronuncia del 28.9.2015 emessa dal Tribunale
della stessa sede con la quale era stata rigettata la domanda proposta da S.V.,
dipendente dell’A.P., già E.A.A.P., dal 1° agosto 1989, dapprima con
inquadramento nella V qualifica funzionale, area B1, CCNL Enti Pubblici non
economici e dal 1° settembre 1999 nella VI qualifica funzionale area B2,
diretta ad ottenere la condanna di parte datoriale al pagamento, in suo favore,
delle differenze retributive maturate a partire dal 30 aprile 2003 tra il
trattamento economico tabellare, contributivo e previdenziale, corrispondente
alle mansioni superiori progressivamente ricoperte nella qualifica funzionale
prevista dal CCNL Enti pubblici non economici ed il trattamento economico
tabellare, contributivo e previdenziale assegnatogli a seguito
dell’applicazione del CCNL Federgasacqua.

2. I giudici di seconde cure, respinta la richiesta
di riunione del giudizio con altro per mancanza di aspetti comuni e per il
pregiudizio che la riunione stessa avrebbe arrecato ad una celere definizione
della causa, hanno rilevato che: a) lo S. non aveva specificamente contestato,
neanche in sede di gravame, che il livello assegnatogli in base al CCNL
Federgasacqua fosse inferiore a quello a lui spettante a norma dello stesso
contratto né aveva riportato le varie declaratorie per operare un corretto
raffronto tra le stesse; b) nella ipotesi di successione tra contratti
collettivi, le precedenti assegnazioni possono essere modificate da quelle
successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei
diritti quesiti; c) nella fattispecie in esame, a decorrere dall’entrata in
vigore del D.lgs. n. 141/99 (avvenuta il 2 luglio 1999), l’A.P. aveva cessato
di essere ente pubblico non economico ex lege n.
70/75 ed il rapporto di lavoro del personale dipendente della società era
stato assoggettato alla disciplina prevista dalle norme di diritto privato e
dalla contrattazione collettiva sicché il CCNL Parastato del 1996, pur non
essendo stato abrogato, era divenuto inapplicabile al caso de quo; d) a seguito
della trasformazione dell’EAAP in una società per azioni, era stato
sottoscritto il 15.6.2000 in Roma tra L’AQP e le OO.SS. a livello nazionale un
Accordo Nazionale per disciplinare le modalità di tale passaggio del personale
da un contratto collettivo ad un altro che prevedeva, appunto, salvo quanto
espressamente disciplinato dall’accordo medesimo, che nei confronti dei
dipendenti in forza, ai quali veniva applicato il CCNL del Parastato,
trovassero attuazione esclusivamente le disposizioni del CCNL Federgasacqua; e)
corretta, pertanto, era stata la statuizione di prime cure che aveva ritenuto
il rapporto di lavoro dello S. regolato dal CCNL Federgasacqua senza che fosse
necessaria una personale adesione del lavoratore; f) conseguentemente erano
irrilevanti tutte le richieste istruttorie finalizzate a dimostrare la tesi
contraria; g) la causa di primo grado era stata definita nei modi di cui all’art. 429 cpc come novellato ed una eventuale
nullità per inosservanza di tale disposizione non avrebbe comportato le
rimessione degli atti al primo giudice, bensì si sarebbe trasformata in motivo
di gravame da fare valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione
esperibile.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione V.S. affidato a quattordici motivi.

4. Ha resistito con controricorso l’A.P. spa.

5. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia che il
giudice di 1° grado aveva fatto malgoverno delle emergenze processuali e
segnatamente non aveva tenuto conto di rilevanti circostanze di fatto,
incorrendo altresì, in un vizio di ultra petizione posto che il thema
disputandum verteva sulla applicabilità del CCNL Comparto Enti Pubblici non
Economici al ricorrente, rispetto al D.lgs. n. 141/1999, attesa la
illegittimità costituzionale dell’art. 5 commi 1, 2, e 3 del suddetto decreto,
nella parte in cui non aveva precisato, per i dipendenti dell’EAAP, oggi A.P.,
l’opzione per la permanenza nel pubblico impiego e ravvisandosi, in una tale
situazione, una ipotesi di diritto quesito alla applicabilità del CCNL Comparto
Enti Pubblici non Economici.

3. Con il secondo motivo si censura che il giudice
di l°grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando per non avere
ammesso i mezzi istruttori ritualmente indicati e richiesti in prime cure: in
violazione degli artt. 3, 24, 28, 35 comma 2 Cost.; 36,
97 comma 1; 101
e 111 commi 1 e 2 Cost.; dell’art. 84 comma 2 cpc; dell’art. 306 comma 2 cpc e dell’art. 390 comma 2 e 3 cpc; dell’art. 115 cpc come sostituito dall’art. 45 della Legge n. 69 del 2009;
dell’art. 116 e 257
cpc; dell’art. 360 commi 3, 4 e 5 cpc;
degli artt. 1421, 1422,
1423, 1424, 1425, 1427, 1429 e 1434 cod. civ.

4. Con il terzo motivo si evidenzia che il giudice
di 1° grado non aveva dato esaurientemente conto delle ragioni del suo
convincimento, con motivazione immune da vizi, in violazione di legge di cui
agli artt. 1126 e 2697
cc, con riferimento all’art.
45 della legge n. 69/2009, posto che i testi indicati non erano stati mai
ascoltati.

5. Con il quarto motivo lo S. si duole che il
giudice di 1° grado non aveva dato esaurientemente conto delle ragioni del suo
convincimento, con motivazione immune da vizi, in violazione dell’art. 420 comma 2 cpc inerente al danno
esistenziale e al diritto al risarcimento dei danni biologici subiti.

6. Con il quinto motivo si rappresenta che il
giudice di 1° grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando, in
violazione dell’art. 111 Cost., con riferimento
all’art. 360 n. 4 cpc, del novellato art. 437 cpc, in violazione degli artt. 156 e 429 cpc,
e dell’art. 161 cpc, per non avere dato lettura
del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della
decisione in udienza, come era evincibile da relativo verbale.

7. Con il sesto motivo il ricorrente eccepisce che
il giudice di 2° grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando, con
riferimento agli artt. 360 n. 3 e n. 5 cpc, in
violazione dell’art. 258, 261, 262 e 421 cpc, atteso che non aveva ammesso la richiesta
di riunione dei procedimenti, non dando esaurientemente conto delle ragioni del
proprio convincimento, con motivazione immune da vizi, in violazione dell’art. 420 comma 2 cpc.

8. Con il settimo motivo si deduce che il giudice di
2° grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando, in violazione
dell’art. 258, 261,
262 e 421 cpc,
nonché ai sensi dell’art. 101, comma 2, e 384, comma 3, cpc, atteso che aveva omesso di
esaminare e di decidere sulle questioni, oggetto di impugnazione in appello,
evidenziate nei motivi 3°, 4°, 5° e 6° sopra riportati.

9. Con l’ottavo motivo si denunzia che anche il
giudice di 2° grado aveva fatto malgoverno delle emergenze processuali e non
aveva tenuto conto di rilevanti circostanze di fatto, in violazione dell’art. 421 co. 1 cpc e incorrendo nel vizio di
ultrapetizione per causa diversa da quella dedotta dal ricorrente, ex art. 1421, 1422, 1423, 1424, 1425, 1427, 1429 e 1434 cc,
posto che il thema disputandum verteva sulla applicabilità del CCNL FP Comparto
Enti Pubblici non Economici rispetto al D.lgs. n. 141 dell’11.5.1999.

10. Con il nono motivo si censura che il giudice di
2° grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando, per non avere
riammesso i mezzi istruttori, pur essendo stati legittimamente reiterati nel
ricorso di appello, in violazione degli artt. 3,
24, 28, 35 comma 2 Cost.; 36,
97 comma 1; 101
e 111 commi 1 e 2 Cost.; dell’art. 84 comma 2 cpc; dell’art. 306 comma 2 cpc e dell’art. 390 comma 2 e 3 cpc.

11. Con il decimo motivo si lamenta che il giudice
di 2° grado aveva fatto malgoverno delle emergenze processuali, incorrendo nel
vizio di nullità e di travisamento, nella parte in cui era stato affermato che
il giudice di 1° grado aveva dato lettura del dispositivo e della esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, pur non essendo ciò
avvenuto.

12. Con l’undicesimo motivo si denunzia che il
Collegio della Corte di appello era incorso in errores in procedendo e in iudicando
posto che i componenti non avevano ravvisato l’obbligo di astenersi, in
violazione dell’art. 51 cpc, attesa la loro
avvenuta partecipazione in diversi giudizi tra le stesse parti.

13. Con il dodicesimo motivo si rappresenta che le
sentenze di 1° e 2° grado erano affette da travisamento in quanto i giudici del
merito erano incorsi in errores in iudicando, con riferimento all’art. 360 commi 3 e 5 cpc, in violazione dell’art. 258, 261, 262 e 421 cpc,
atteso che sul punto vi era stata violazione dell’art.
2112 comma 1 cc, nonché la violazione degli artt.
1421, 1422, 1423,
1424, 1425, 1427, 1429 e 1434 cc, in tema di CCNL FP Comparto Enti Pubblici
non Economici: si sostiene, sul presupposto della maggiore gravosità in tema di
orario di lavoro, ferie e congedo del CCNL di diritto privato rispetto a quello
di diritto pubblico, che i suddetti giudici avrebbero dovuto sindacare il thema
disputandum sotto il profilo dell’applicabilità ad esso ricorrente del CCNL FP,
attesa la illegittimità costituzionale dell’art. 5 commi 1, 2 e 3 del D.lgs.
11.5.1999 n. 141 nella parte in cui non aveva previsto per i dipendenti
dell’EAAP, oggi A.P., l’opzione per la permanenza del pubblico impiego.

14. Con il tredicesimo motivo il ricorrente
eccepisce che i giudici del merito non avevano dato esaurientemente conto delle
ragioni del proprio convincimento, con motivazione immune da vizi, in
violazione della legge 4.11.2010
n. 183 art. 21, posto che i suddetti giudici erano incorsi in errores in iudicando,
con riferimento all’art. 360 co. 5 cpc, in
relazione alle questioni di cui ai precedenti dodici motivi del presente
ricorso, come sopra riportati.

15. Con il quattordicesimo motivo lo S. si duole che
il giudice di 2° grado era incorso in errores in procedendo e in iudicando, in
violazione degli artt. 258, 261, 262 e 421 cpc, atteso che sul punto la sentenza era
affetta da violazione di legge, ex art. 360 n. 3 e
n. 5 cpc, nella parte in cui era stata omessa la disamina e la decisione su
ciascuna delle questioni evidenziate nel ricorso di 2° grado, non offrendo
alcuna motivazione logicogiuridica sui punti seguenti: Punto 1) a pag. 42; 2) a
pag. 43; 4) a pag. 44; 5) e 6) a pag. 45; 9, 10) e 11) a pag. 46; delle domande
indicate nel ricorso di 2° grado.

16. Inoltre, si evidenzia che il Presidente del
Collegio della Corte di appello, rinviando la causa in camera di consiglio, non
aveva dato la possibilità ad esso ricorrente di chiedere, anche in “sub
ordine”, il termine per l’autorizzazione al deposito di una memoria
conclusionale prima della decisione.

17. Il ricorso non è fondato e va rigettato.

18. I primi cinque motivi, riguardanti la pronuncia
di primo grado confermata in appello sulle questioni oggetto di gravame, sono
inammissibili in quanto l’impugnazione, con un unico atto e con l’osservanza
dei requisiti prescritti dall’art. 360 cpc, di
sentenze di grado diverso pronunciate nella medesima causa è consentita
unicamente se l’una investe una questione pregiudiziale e l’altra il merito
(cfr. Cass. 15.9.2014 n. 470, Cass. 4.1.2002 n. 69), ma non quando le stesse
siano state emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti e in
relazione ai quali può essersi formato sui relativi punti della decisione un
giudicato interno.

19. Inammissibile è anche il sesto motivo in quanto
l’impugnabilità dei provvedimenti giudiziali concerne soltanto quelli aventi
contenuto decisorio e non anche quelli a carattere ordinatorio, per i quali la
legge ammette, salvo eccezioni, la revocabilità.

20. Il provvedimento con cui viene respinta
l’istanza di separazione, ancorché contenuto in sentenza, non è suscettibile di
impugnazione innanzi al giudice superiore, stante il suo carattere meramente
ordinatorio e la mancanza in esso di ogni pronuncia di natura decisoria, anche
implicita, su eventuali questioni pregiudiziali con la conseguenza che
l’esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale di cui tale
provvedimento è espressione, non è censurabile in sede di legittimità (cfr. in
ipotesi di separazione di cause riunite Cass. 27.3.2019 n. 8446).

21. Per motivi di pregiudizialità logico-giuridica
va esaminato, in quanto relativo alla corretta composizione dei membri
dell’organo giudicante che non avevano ravvisato l’obbligo di astenersi ai
sensi dell’art. 51 cpc attesa la loro
partecipazione in diversi giudizi tra le stesse parti, l’undicesimo motivo.

22. Esso è infondato.

23. Invero, la violazione da parte del giudice
dell’obbligo di astensione può essere fatta valere dalla parte unicamente con
l’istanza di ricusazione nei modi e nei termini di cui all’art. 52 cpc e non, tranne che per l’ipotesi di
interesse diretto in giudizio nella causa, come motivo di nullità della
sentenza (Cass. n. 23930/2009; Cass. n. 12263/2009): fattispecie quest’ultima
non ricorribile né denunziata nel caso di specie.

24. Sempre per le stesse ragioni di pregiudizialità
logico-giuridica, va dichiarato infondato anche il decimo motivo relativo alla
asserita nullità della sentenza per mancata lettura del dispositivo.

25. La Corte territoriale, invero, da un lato ha
dato atto che la causa era stata definita dal primo giudice nei modi previsti
dal novellato art. 429 cpc, ossia dando lettura
del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della
decisione: tale affermazione non è stata contestata dal ricorrente né mediante
il richiamo a riscontri documentali da cui evincere l’erroneità della
affermazione (per es. verbale di udienza da cui non risulterebbe quanto
dedotto) né è stata impugnata di falso; dall’altro, in punto di diritto, va
precisato che la posizione della Corte di merito è conforme al principio
espresso in sede di legittimità (Cass. 9.3.2010 n. 5659; Cass. 11.5.2006 n. 10869) secondo cui, nelle
controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo
all’udienza di discussione determina la nullità della sentenza, da farsi valere
secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile in base al
principio generale sancito dall’art. 161 co. 1 cpc,
senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullità, ove
dedotta con l’atto di appello, possa rimettere la causa al primo giudice, non
ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cpc,
né limitare la pronuncia alla mera declaratoria di nullità, dovendo decidere la
causa nel merito; un eventuale rinvio ad altro giudice di appello porterebbe
allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi di
impugnazione.

26. Ciò è stato ben sottolineato nella gravata
pronuncia.

27. Quanto agli altri motivi di ricorso, da
trattarsi congiuntamente per connessione, osserva il Collegio che le censure
articolate debbano essere differenziate per tipologia dei vizi denunciati:
violazioni di natura processuale; vizi di omessa pronuncia o di difetto di
motivazione; violazioni di leggi sostanziali.

28. In ordine alle violazioni processuali va
rilevato quanto segue.

29. Infondata è la doglianza con cui si lamenta la
mancata autorizzazione al deposito di una memoria conclusionale, prima della
decisione, atteso che nel rito lavoro l’appellante in via principale non ha un
diritto soggettivo al deposito di note scritte per controdedurre alla difesa
dell’appellato, neppure nel caso in cui sia proposto appello incidentale,
essendo tale possibilità prevista, in suo favore, solo in via indiretta, a
norma del combinato disposto dell’ultimo comma dell’art.
437 cpc e del comma 2 dell’art. 429 dello
stesso codice, come effetto dell’esercizio da parte del giudice del potere discrezionale
– che può manifestarsi anche in forma implicita e non è sindacabile in sede di
legittimità – di consentire alle parti, se necessario, il deposito di note
difensive (cfr. Cass. 13.4.2018 n. 9232; Cass. 5.8.2013 n. 18627).

30. Analogamente il mancato esercizio, da parte del
giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la
documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere
sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori
assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cpc,
salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo
palesemente incongruo o contraddittorio (Cass. 8.2.2012 n. 1754; Cass. 29.3.2007 n. 7700).

31. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha
logicamente e correttamente specificato le ragioni per le quali le richieste
istruttorie erano inammissibili, sia perché tardive sia perché tendevano a
provare circostanze non influenti a determinare un esito diverso del processo:
ciò è sufficiente per escludere ogni sindacato da parte di questa Corte.

32. I denunziati vizi di omessa pronuncia sui motivi
di appello da parte della sentenza di seconde cure sono insussistenti atteso che
essi non ricorrono quando, pur non essendovi una espressa statuizione da parte
del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione
adottata, come è avvenuto nel caso in esame, comporti necessariamente la
reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tali vizi siano configurabili
solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un
punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass.
4.6.2019 n. 15255; Cass. 20.9.2013 n. 21612).

33. Nella fattispecie, le doglianze proposte non
riguardano tecnicamente il paradigma dell’art. 112
cpc ma le conclusioni dei giudici di merito in ordine alle questioni
centrali del giudizio, loro sottoposte, circa l’applicabilità del CCNL
Parastato nel 1996 al personale dell’A.P. una volta cessata la qualità di Ente
pubblico non economico: esse, pertanto, in quanto tali, non colgono nel segno
della ratio deciderteli.

34. Le censure formulate ex art. 360 n. 5 cpc, concernenti questioni in fatto,
sono invece inammissibili vertendosi in una fattispecie di cd. “doppia
conforme”, prevista dall’art. 348 ter comma 5
cpc, applicabile ai sensi dell’art.
54 co. 2 del D.L. n. 83 del 2012 conv. con modific. dalla legge n. 134 del 2012 ai giudizi di appello
introdotti con ricorso o con citazione di cui sia stata richiesta la
notificazione dal giorno 11.9.2012 e alle sentenze pubblicata a decorrere dal
medesimo giorno.

35. Infine, devono ribadirsi i consolidati
orientamenti secondo cui: a) la valutazione delle prove idonee a sostenere i
fatti dedotti in giudizio appartengono all’apprezzamento discrezionale del
giudice di merito se congruamente ed adeguatamente motivato, come nel caso in
esame e, pertanto, le statuizioni del giudice di merito sono insindacabili in
sede di legittimità; b) il nuovo testo dell’art.
360 co. 1 n. 5 cpc, applicabile in causa ratione temporis, ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla
Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e
della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un
raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le
risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito
(cfr. Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass. 29.10.2018
n. 27415).

36. Venendo, infine, alle violazioni di norme
sostanziali, preliminarmente deve escludersi che la trasformazione dell’Ente
Autonomo A.P. in società per azioni, ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. 11 maggio
1999 n. 141, abbia comportato l’estinzione di un soggetto e la correlativa
costituzione di uno nuovo in luogo del precedente, avendo determinato una mera
variazione della sua qualità giuridica con mantenimento della medesima identità
soggettiva, con la conseguenza che, in assenza di alterità soggettiva, non è
configurabile un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cc. In
questa prospettiva, l’art. 5 del D.lgs. 11. 5.1999 n. 141, nella parte in cui
richiama l’art. 34 del D.lgs.
3.2.1993 n. 29 (ora sostituito dall’art. 31 del D.lgs. 30.3.2001 n. 165),
va inteso come una fictio iuris in funzione di garanzia dei diritti acquisiti
dai dipendenti (Cass. 5.12.2014 n. 25823).

37. Orbene, deve rilevarsi che il citato articolo 5
D.lgs. n. 141/99 (che testualmente recita: “Il rapporto di lavoro del
personale dipendente della società è disciplinato dalle norme di diritto
privato e dalla contrattazione collettiva. Al personale dell’ente, previa la
predisposizione di un piano di utilizzo del personale a norma dell’art. 12 primo comma, lettera s) e
14, primo comma, lettera b), della legge 15.3.1997 n. 59, si applicano le
disposizioni degli articoli 34,
35 e 35 bis del decreto legislativo 3.2.1993 n. 29 e successive
modificazioni”) non richiama anche l’art. 33 del D.lgs. n. 29/93 e
il DPCM 15.9.92 (relativi alla procedura del cd. nulla osta del dipendente
coinvolto dalla mobilità del pubblico impiego) per cui la prospettata
necessaria adesione del singolo lavoratore, per non permanere nel pubblico
impiego, non trova alcun riscontro normativo, come correttamente evidenziato
anche dai giudici di seconde cure.

38. Né sotto questo aspetto la norma presenta i
denunciati profili di incostituzionalità la cui eccezione, potendo essere
rilevata anche di ufficio, non richiede – se formulata su impulso di parte (art. 23 co. 1 legge n. 87 del 1953) – la
indicazione precisa dei parametri costituzionali che si intendono violati in
quanto essi possono essere desunti anche dalla prospettazione dell’eccezione
medesima, allorquando siano sufficientemente chiari i termini della questione,
come nel caso di specie in ordine alla dedotta disparità di trattamento e alla
ragionevolezza della norma denunciata (cfr. Corte Cost.
ord. n. 53 del 2002 e sent. n. 189 del 2007
in tema di ammissibilità dell’ordinanza di rimessione).

39. Rileva, infatti, il Collegio che la posizione
dei lavoratori coinvolti dalla trasformazione è stata garantita, nella tutela
dei propri diritti, dalle procedure di informazione e consultazione sindacale,
previste dall’art. 47 legge n.
428/90, richiamate per relationem dall’art. 34 del D.lgs. n. 29/93:
procedure che, nel caso in esame, risultano essere state effettuate e concluse
con l’accordo, sottoscritto in data 15.6.2000 in Roma tra l’A.P. e le OO.SS. a
livello nazionale, finalizzato a disciplinare le modalità del passaggio del
personale dal contratto Parastato a quello privatistico Federgasacqua.

40. La disposizione di cui all’art. 5 sopra
richiamato si palesa, quindi, ossequiosa del requisito della ragionevolezza,
siccome assicurante un trattamento non ingiustificatamente disparitario (Corte
Cost. 27 marzo 1987 n. 116) rispetto ai lavoratori per i quali era prevista la
procedura del “nulla osta” e, pertanto, non in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nonché rispettosa del
paradigma attuativo della tutela del lavoro nelle espletate procedure di
privatizzazione di alcuni settori del pubblico impiego.

41. Le ragioni di diversità di disciplina quanto
alle modalità di esplicazione della attività lavorativa (ferie, congedi ed
orario di lavoro) si spiegano, invero, nella necessità di regolare situazioni
transitorie particolari, che si sono prospettate a seguito della trasformazione
in società di enti pubblici non economici, connesse a condizioni contingenti in
attesa di una totale armonizzazione derivante dalla applicazione della
contrattazione collettiva di natura privatistica come previsto dalla legge.

42. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve
essere rigettato.

43. Le spese seguono la soccombenza e vanno
liquidate come da dispositivo.

44. A parere del Collegio, non sussistono i
presupposti per la condanna del ricorrente al risarcimento ai sensi dell’art. 96 cpc, anche con riferimento all’art. 4 comma 8° del DM n. 55 del 2014,
in quanto, avendo l’istituto natura sanzionatoria e officiosa, presuppone la
mala fede e la colpa grave del soccombente, nel caso di specie non ravvisabili
per la particolarità di alcune questioni trattate, in particolare di quelle
riguardanti l’art. 5 D.lgs. n.
141/99.

45. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2020, n. 4385
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