Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 febbraio 2020, n. 7659

Amministratore di fatto, Divieto temporaneo di esercitare
imprese ed uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese,
Situazioni di sfruttamento, Reiterata corresponsione di retribuzioni
sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro, Violazione della
normativa sull’orario di lavoro, Violazione delle norme in materia di
sicurezza e igiene sul lavoro, Valutazione degli elementi indizianti

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 31 maggio 2019 il Tribunale di
Torino, sezione per il riesame, in accoglimento dell’appello presentato dal
pubblico ministero del Tribunale di Alessandria, ha applicato, tra gli altri, a
R.L. la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese ed
uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per il periodo di un
anno in relazione al reato contestato di cui agli artt.
40 cpv., 110 e 603
bis, comma 1, nn. 2 e 4 cod. pen.

1.1. In particolare veniva contestato a V. Dall’O,
amministratore unico e legale rappresentante della società T. s.r.I., avente ad
oggetto sociale il commercio all’ingrosso di sottoprodotti metallici della
lavorazione industriale e, quanto all’unità produttiva di Sale, la gestione di
un impianto per il recupero di rifiuti non pericolosi: a C.T., amministratore
di fatto della T. s.r.l. (figlio della Dall’O), e a R.L., quale co – gestore
dell’unità produttiva di Sale. avere sottoposto i lavoratori D.G., C.C.,
C.B.L., e P.M. a situazioni di sfruttamento consistenti nella reiterata
corresponsione di retribuzioni sproporzionate rispetto alla quantità e qualità
del lavoro (lavoro straordinario non retribuito per una media di 15.720 ore a
settimana, pagamento parziale della retribuzione e mancato pagamento del
t.f.r., reiterata violazione della normativa sull’orario di lavoro e sui
periodi di riposo, violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene sul
lavoro (presenza di vermi, insetti, roditori e rifiuti organici in stato di
avanzata decomposizione), approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori
con carichi di famiglia e rimasti disoccupati a seguito del licenziamento in
ragione della grave situazione di crisi occupazionale.

Fatti commessi in Sale dal mese di ottobre 2017 al
mese di marzo 2018.

2. R.L. ricorre per cassazione avverso la predetta
sentenza elevando i seguenti motivi.

2.1.Con il primo motivo deduce il vizio di
violazione di legge e il vizio motivazionale con riferimento al ruolo che gli è
stato attribuito di co- gestore dell’unità produttiva di Sale e,
conseguentemente, di amministratore di fatto.

2.2.Con il secondo motivo,lamenta il vizio di
violazione di legge e il vizio motivazionale per mancanza dei gravi indizi di
colpevolezza in relazione al reato contestato sotto il profilo sia dello
sfruttamento che dello stato di bisogno dei lavoratori.

2.3.Con il terzo motivo lamenta il vizio di
motivazione per mancanza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen.
essendo venuta meno la situazione di fatto che ha reso possibile o agevolato la
commissione del reato in quanto la società T. è stata dichiarata fallita.

3. Con memoria difensiva/depositata in data 16
novembre 2019 (R.L., a mezzo del difensore di fiducia, ribadisce la sua
assoluta estraneità all’attività gestoria che gli viene contestata negando la
qualifica di socio occulto e ribadisce di avere svolto soltanto l’attività di
mediatore e di procacciatore di affari.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

2. Si premette che, secondo l’orientamento della
Corte di Cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali,
il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denunci la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento, ma non anche quando proponga censure che riguardano la
ricostruzione dei fatti ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017,
Rv. 26988401; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Rv. 25217801; Sez. 5, n. 46124 del
8/10/2008, Rv. 24199701).

Allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione,
il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema
spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del
giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando
la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi
indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Ed ancora, va precisato che, dal punto di vista
indiziario, nella fase cautelare è sufficiente il requisito della sola gravità
(articolo 273, comma 1, cod. proc. pen.),
giacché il comma 1 bis della citata disposizione richiama espressamente i soli
commi 3 e 4, ma non il comma 2 dell’articolo 192
cod. proc. pen., che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla
gravità degli indizi. Ne deriva, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure
cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per
il giudizio di merito dall’articolo 192, comma 2,
cod. proc. pen., e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e
della concordanza (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Rv. 269179).

3. Orbene, alla luce dei principi enunciati, l’ordinanza
impugnata risulta correttamente argomentata, non rilevandosi gli errori di
diritto e le incongruenze motivazionali evidenziate dalla difesa nel ricorso.

3.1. In particolare, quanto ai primi due motivi che
vengono esaminati unitariamente perché strettamente connessi, si osserva che i
fatti oggetto della provvisoria imputazione si inscrivono nell’ambito di
un’indagine che trae origine da uno stralcio del procedimento penale per reati
ambientali iscritto nei confronti della società T. s.r.l. sita in Sale via S.;
nel corso di un sopralluogo all’impianto di rifiuti non pericolosi gestito
dalla predetta società venivano riscontrate diverse violazioni in materia
ambientale e della normativa antincendio e, contestualmente, era effettuato un
accesso ispettivo dello S. di Alessandria che segnalava violazioni in materia
di salute e di sicurezza sul lavoro.

Risultava che i locali erano infestati da vermi,
topi, blatte ed odori nauseabondi, tanto che anche d’inverno venivano aperte le
finestre e le porte per poter respirare, la pausa pranzo aveva luogo in un
locale vicino alle macchinette del caffè ed era sporco ed inadeguato, mancava
qualsiasi dispositivo di protezione, non venivano effettuate visite mediche.

In occasione di tali accessi venivano sentiti a
s.i.t. i lavoratori dipendenti, i quali i fornendo versioni dei fatti
concordanti, descrivevano un’allarmante situazione in relazione agli effettivi
orari di lavoro, alle condizioni igieniche dei locali ove veniva esercitata
l’attività lavorativa, alle contribuzioni che non venivano pagate, se non
parzialmente, e non tenevano conto degli straordinari svolti e sistematicamente
non pagati, oltre ad essere sproporzionate rispetto agli orari svolti e
rappresentavano di essere obbligati a continuare a lavorare, pur in quelle
condizioni così degradanti (in ragione delle loro precarie situazioni
economiche, stante la necessità di mantenere le famiglie e di onorare i debiti
contratti, i primi due anche in relazione al fatto che erano stranieri.

I Giudici della cautela hanno enucleato dal
complesso delle emergenze processuali le condotte integranti, ai sensi
dell’art. 603 bis cod. pen., la condizione di effettivo e concreto sfruttamento
dell’altrui attività lavorativa lesiva della dignità umana e la costante
prevaricazione dei diritti dei lavoratori riscontrando, sul piano fattuale, che
i predetti si trovavano altresì in uno stato di effettivo bisogno.

E’ stato evidenziato, a conferma della
prospettazione accusatoria, che il R. ha svolto il ruolo di co-gestore
dell’unità produttiva di Sale in quanto, oltre ad avere una evidente
familiarità con i titolari della T. s.r.I., era presente in azienda anche in
loro assenza e, in particolare, il R. lo indicava come la persona nelle cui
mani consegnava gli assegni a pagamento dei capannoni.

4. In relazione al secondo motivo è stata affermata,
con argomentazioni logiche, la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma primo, lett.c) cod. proc. pen., in
ragione del concreto ed attuale pericolo della reiterazione delle condotte,
sottolineando che il predetto indagato gravita nel mondo imprenditoriale e va,
pertanto, evitato che si creino ulteriori occasioni per la commissione di reati
della stessa specie.

5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art. 28 reg. esec. c.p.p.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 febbraio 2020, n. 7659
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