Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5887

Esistenza del rapporto di lavoro, Omessa iscrizione nelle
scritture obbligatorie, Presenza della lavoratrice nei locali aziendali

 

Rilevato che

 

1. G.C., propose opposizione avverso l’ordinanza con
la quale, nella qualità di legale rappresentante della G.C. s.r.l., gli venne
ingiunto il pagamento della somma di € 6.750,00 oltre spese di notifica per la
violazione dell’art. 3 del d.L.
n. 12 del 2002 conv. in legge n. 73 del 2002
– nel testo modificato dall’art. 36
bis comma 7 lett. a) del d.l. n. 223 del 2006 convertito nella legge n. 248 del 2006 – in relazione all’omessa
iscrizione nelle scritture obbligatorie della lavoratrice M.D.B. impiegata nel
periodo dal 27 marzo al 23 aprile 2007 per 23 giornate lavorative.

2. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza
sociale si costituì per resistere al ricorso ed il Tribunale accolse
l’opposizione annullando l’ingiunzione sul rilievo che l’amministrazione non
aveva offerto una prova rassicurante dell’esistenza del rapporto di lavoro nel
periodo oggetto di contestazione.

3. La Corte di appello di Catanzaro, investita del
gravame proposto dall’Amministrazione, ha ritenuto al contrario che le prove
assunte in primo grado dimostrassero l’esistenza del rapporto di lavoro in
relazione al quale le contestate mancate iscrizioni si erano verificate.

4. Il giudice di appello ha infatti ritenuto che il
verbale ispettivo, pur non costituendo una prova piena, fosse tuttavia
corroborato dalle dichiarazioni rese dalla lavoratrice e dallo stesso
opponente, tra di loro sostanzialmente conformi. Ha poi ritenuto poco credibile
che la ricorrente presenza della lavoratrice nei locali aziendali fosse
ricollegabile alla ripetuta richiesta di assunzione e non, piuttosto, alla
prestazione di attività lavorativa tanto più che la prova testimoniale non ne
aveva confermato la dedotta saltuarietà.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto
tempestivo ricorso G.C. che ha articolato due motivi ai quali ha opposto difese
il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con controricorso.

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.
proc. civ.. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe
erroneamente applicato il principio di non contestazione desumendolo dalla sua
contumacia in appello. Nel rammentare quanto affermato in tema di non
contestazione da questa Corte, anche a sezioni unite, il ricorrente osserva che
era onere dell’appellante amministrazione dimostrare la fondatezza del suo
assunto, vale a dire che il rapporto con la lavoratrice si era instaurato sin
dall’inizio e non, invece, dalla data dichiarata ed ha ribadito che non era
possibile trarre elementi di convincimento dalla contumacia nel giudizio di
appello del datore di lavoro.

7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la
violazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 115 in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ. nonché,
in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod.
proc. civ. il vizio di motivazione della sentenza. Nel suo articolato
motivo il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe ritenuto raggiunta
la prova diretta della natura subordinata del rapporto di lavoro sebbene le
circostanze di fatto riportate nel verbale ispettivo non fossero state
altrimenti confermate e, pertanto, l’amministrazione non avesse adempiuto
all’onere, che su di lei incombeva, di dimostrare i fatti dedotti a sostegno
della sua pretesa.

7.1. Per altro aspetto, poi, il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 2700 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. in quanto la Corte di
merito, nell’accertare l’esistenza del rapporto di lavoro, funzionale
all’ingiunzione di pagamento opposta, non poteva attribuire fede privilegiata
al verbale ispettivo con riguardo a fatti diversi da quelli avvenuti in
presenza degli ispettori. Osserva che alle dichiarazioni rese nel corso
dell’accertamento non poteva essere attribuito valore probatorio, neppure come
presunzioni, e perciò avrebbero potuto essere liberamente apprezzate
nell’ambito del contesto probatorio complessivo.

8. Il ricorso è infondato.

8.1. Osserva infatti il Collegio che la Corte di
merito non è incorsa nelle violazioni di legge denunciate con il ricorso. Lungi
dall’attribuire alla contumacia della parte appellata un significato specifico
si è limitata a prenderne atto ed ha preso invece in esame le dichiarazioni
rese dallo stesso ricorrente agli ispettori offrendone una lettura del tutto
compatibile con il loro significato e valutandone il contenuto unitamente a
quello delle dichiarazioni rese dalla lavoratrice pure sentita in quella sede.
Ha tenuto conto del fatto che la assidua presenza della lavoratrice nei locali
della gioielleria non era in contestazione e che ciò che era invece contestato
era lo svolgimento dell’attività lavorativa. Nel procedere alla ricostruzione
dei fatti sulla base delle emergenze istruttorie la Corte territoriale ha
tenuto conto, perciò, della incontestata presenza della lavoratrice in
gioielleria e, sulla base di altri elementi di riscontro, con ricostruzione
attendibile e non censurabile in questa sede, ha poi ritenuto inverosimile che
la stessa fosse collegabile ad una protratta richiesta di essere assunta. Ha
tenuto conto della mancata prova della saltuarietà della presenza ed ha
ritenuto più verosimile che la presenza fosse collegabile allo svolgimento di
attività lavorativa. Inoltre la Corte non è affatto incorsa nella denunciata
inversione dell’onere della prova né, tanto meno, ha attribuito fede
privilegiata al verbale ispettivo. Al contrario, con valutazione di merito a
lei riservata, ha verificato alla luce dei riscontri acquisiti (le dichiarazioni
della lavoratrice ai funzionari di polizia e agli ispettori e le dichiarazioni
dello stesso opponente) la correttezza della ricostruzione del rapporto in
termini di subordinazione.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e
le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente nella
misura indicata in dispositivo.

10. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 3500,00 per compensi
professionali oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

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