Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6300

Avvisi di addebito, Inps, Contribuzione per malattia e
maternità, Ente pubblico economico strumentale alla Regione

Ritenuto che

 

1. la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 18
febbraio 2014, ha confermato la sentenza di primo grado, di accoglimento
dell’opposizione proposta da A.R.T.E., ex IACP (d’ora in poi: A.R.T.E.),
avverso gli avvisi di addebito relativi alla contribuzione per malattia e
maternità dei dipendenti dell’Azienda, in riferimento al periodo febbraio,
maggio, giugno-dicembre 2011;

2. per la Corte d’appello l’Azienda, pur avendo
assunto natura ibrida, non presentava i requisiti per l’assoggettamento alla
contribuzione in oggetto, rappresentati dall’avvenuta privatizzazione e dal
capitale di tipo misto e, alla stregua dell’art. 2, comma 2, della legge della
Regione L. n. 9 del 1998, costituiva un ente pubblico economico strumentale
alla Regione, dotato di personalità giuridica, volto a perseguire, sia pure con
forme privatistiche, finalità proprie della Regione, gestendone il patrimonio
edilizio con assoggettamento a procedure ad evidenza pubblica e soggezione al
controllo pubblico per le nomine, la gestione e il bilancio, e che a ciò
conseguiva l’esclusione della privatizzazione dell’ente, in senso formale e
sostanziale, non essendosi avuto il passaggio della titolarità della proprietà
dei beni dalla mano pubblica a quella privata; inoltre, neppure poteva parlarsi
di «capitale misto», in quanto A.R.T.E. aveva acquisito la gestione del
patrimonio di edilizia residenziale pubblica (art. 3, comma 4, legge regionale
n. 9 del 1998 cit.) e godeva di autonomia patrimoniale, sicché il patrimonio
era interamente pubblico e non risultava essere stato affidato all’azienda
ulteriore patrimonio da parte di soggetti privati, come previsto dall’art. 3,
comma 4, lettera c, della citata legge regionale;

3. avverso tale sentenza ricorre l’INPS, anche quale
procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a. con un unico, articolato motivo;
l’A.R.T.E. è rimasta intimata;

 

Considerato che

 

4. con il motivo di ricorso si denunciano violazione
e falsa applicazione dell’art.
6 della legge 11 gennaio 1943, n. 138 (contribuzione di malattia); dell’art. 21 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204 (contribuzione di maternità); dell’art. 20 del d.l. 25 giugno 2008, n.
112, convertito con modificazioni dalla legge
6 agosto 2008, n. 133; della legge della Regione Liguria 12 marzo 1998, n.
9;

5. sulla base della ricostruzione del quadro
normativo – statale e regionale – di riferimento l’INPS, fra l’altro,
sottolinea che: 1) la suindicata legge regionale, nel disciplinare la
trasformazione degli IACP regionali in Aziende Regionali Territoriali per
l’Edilizia, ha configurato tali aziende come enti pubblici di natura economica,
strumentali alla Regione, dotati di personalità giuridica, di autonomia
imprenditoriale, patrimoniale e contabile; 2) a conclusione del menzionato
processo di trasformazione l’A.R.T.E. ha ottenuto l’iscrizione alla Camera di
Commercio, in conseguenza della acquisita configurazione di ente (1A pubblico
economico; 3) l’oggetto sociale di A.R.T.E. include anche l’acquisizione di
immobili da privati e la stipulazione di contratti di diritto privato con
privati cittadini; 4) la legge regionale n. 9 del 1998 ha stabilito che al
personale dipendente dalle Aziende si debba applicare il trattamento giuridico,
economico e previdenziale previsto dal CCNL proprio degli IACP trasformati in
aziende oppure – in mancanza e per quanto compatibile con la natura degli enti
– quello delle Aziende municipalizzate; 5) il rapporto previdenziale, relativo
ai dipendenti delle Aziende regionali in oggetto, è instaurato con l’INPS,
attraverso il versamento della contribuzione per invalidità, vecchiaia e
superstiti al Fondo previdenza lavoratori dipendenti;

6. la controversia nasce dal mancato versamento, da
parte dell’A.R.T.E. di Genova, della contribuzione per maternità e per
disoccupazione (quest’ultima, per i soli operai) che, ad avviso dell’Istituto,
doveva decorrere dal 10 gennaio 2009, in base all’art. 20, comma 2, del d.l. n. 112
del 2008 citato;

7. tale ultima disposizione stabilisce che: «a
decorrere dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e
degli enti locali privatizzate e a capitale misto sono tenute a versare,
secondo la normativa vigente: a) la contribuzione per maternità; b) la
contribuzione per malattia per gli operai»;

8. l’Istituto ricorda che la disciplina fondamentale
relativa alle prestazioni economiche di malattia in favore dei lavoratori
dipendenti è dettata dalla legge 11 gennaio 1943,
n. 138, la quale, fra l’altro, esclude dall’obbligo di versamento del
contributo di finanziamento dell’indennità di malattia (art. 6, secondo comma) le
ipotesi in cui il relativo trattamento economico venga corrisposto per legge o
per contratto collettivo dal datore di lavoro o da altri enti;

9. nella successiva legislazione, in continuità con
le disposizioni dei contratti collettivi corporativi di settore, sono sempre
stati indicati come destinatari dell’indennità giornaliera di malattia soltanto
gli operai, quindi non le altre categorie di personale (come, per esempio, gli
impiegati);

10. l’indennità per la maternità è attualmente disciplinata
dell’art. 79 del d.lgs. 26 marzo
2001, n. 151 (come via via modificato) che stabilisce che i datori di
lavoro devono provvedere al relativo finanziamento con un contributo sulle
retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti, di misura diversa a seconda del
settore di attività del datore di lavoro stesso;

11. in tale contesto normativo l’INPS sottolinea
come l’interpretazione dell’art.
20, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 cit. sostenuta nella sentenza
impugnata – in base alla quale le imprese degli enti regionali, come
l’A.R.T.E., sono esclusi dal campo di applicazione della norma – potrebbe
portare alla conclusione o che i dipendenti delle suddette imprese non abbiano
diritto a ricevere alcuna prestazione per maternità o per malattia (visto che
il sistema previdenziale è attualmente integralmente contributivo) ovvero che
il relativo finanziamento debba essere posto a carico di tutta la collettività;

12. il ricorso è da accogliere, dandosi continuità
ai precedenti di questa Corte (v. Cass. nn. 21536,
5429 del 2019; Cass. n. 2332 del 2016; Cass.
n. 9404 del 2014);

13. sulla natura dell’ente in quanto tale da
condizionare la decisione sulle questioni di dettaglio inerenti alle singole
contribuzioni e ai fini dell’accertamento dell’obbligo contributivo per cui è
causa, Cass. n. 2756 del 2014 cit., con ampia motivazione e disamina dell’assetto
istituzionale e delle scelte dei legislatori regionali, e in particolare del
legislatore regionale genovese, ha già affermato che risulta contraria alla
legislazione regionale l’esclusione dell’obbligo di A.R.T.E. di versare i
contributi in argomento, sulla base di una interpretazione dell’art. 20, comma 2, d.l. n. 112
cit. legata al dato testuale che, pur volendo considerare compresi dalla norma
gli enti regionali, comunque essa sarebbe inapplicabile all’A.R.T.E. in quanto
tale ente, pur avendo assunto natura ibrida, non avrebbe i requisiti per
l’assoggettamento alla contribuzione in oggetto, rappresentati dalla avvenuta
privatizzazione e dal capitale di tipo misto;

14. tale impostazione risulta essere basata su una
premessa non condivisibile, rappresentata dal considerare il testo della norma
come preciso dal punto di vista tecnico-giuridico, mentre va inteso in senso
a-tecnico ed omnicomprensivo di tutti gli enti che svolgono attività di impresa
a partecipazione pubblica (di qualsiasi tipo) e, nel caso di specie, essa
risulta anche contraria alla legislazione regionale di riferimento;

15. l’art. 2, comma 2, della legge della Regione
Liguria n. 9 del 1998 – non modificato sul punto – definisce gli A.R.T.E.
regionali come enti pubblici economici, strumentali alla Regione, dotati di
personalità giuridica, che perseguono, sia pure con forme privatistiche,
finalità proprie della Regione e prevede altresì che alle Aziende possa essere
affidato, oltre al patrimonio pubblico anche ulteriore patrimonio da parte di
soggetti privati (art. 3, comma 4, della legge regionale richiamata);

16. la legislazione ligure prevede anche la
possibilità, per i suddetti enti pubblici economici, di partecipare o
costituire società per l’esercizio dei compiti istituzionali o per altre
attività imprenditoriali nel settore;

17. diversamente da quel che afferma la Corte
genovese, non può escludersi che, nel caso di specie, l’ente di cui si tratta
abbia acquisito natura tale da essere ricompreso nella sfera di applicazione
della norma impugnata, in quanto ai suddetti fini è sufficiente fare
riferimento alla configurazione che all’ente è stata data dal legislatore
regionale, mentre non è rilevante il fatto che alcune tra le previste disposizioni
– destinate ad incrementare gli aspetti privatistici dell’attività della
Azienda – non abbiano avuto ancora applicazione;

18. come già affermato da questa Corte (cfr., da
ultimo, Cass. n. 21536 del 2019), dal punto di
vista previdenziale e pensionistico il personale degli IACP (in coerenza con la
natura degli enti, confermata anche dall’art. 1 co. 2° d.lgs. n. 165 del
2001, che comprende gli IACP tra le amministrazioni pubbliche) è stato
iscritto all’INPDAP, gestione ex CPDEL (che poi è confluito nell’INPS a
decorrere dal 1° gennaio 2012 ai sensi del d.l. n.
201 del 2011 convertito in legge n. 214 del
2011), mentre, via via che venivano disposte le trasformazioni, i
dipendenti degli enti e delle strutture sostitutive degli IACP sono stati
iscritti all’I.N.P.S. per l’assicurazione IVS (c.d. previdenza maggiore);

19. fino a quando gli IACP sono rimasti pubbliche
amministrazioni, le prestazioni relative alla c.d. previdenza minore (per
malattia degli operai e per maternità) sono state regolate dal regime proprio
di tali amministrazioni, secondo il quale il relativo trattamento economico
viene corrisposto direttamente dalle amministrazioni o enti di appartenenza;
nulla è stato espressamente disposto riguardo alle prestazioni di c.d.
previdenza minore in riferimento ai dipendenti degli enti e delle strutture
sostitutive degli IACP;

20. è regola generale per gli iscritti all’INPS per
l’assicurazione IVS che è sempre l’I.N.P.S. medesimo a provvedere anche alle
prestazioni della c.d. previdenza minore, sulla base dei contributi versati dai
datori di lavoro e, nel silenzio della legge, non può che farsi riferimento a
tale regola generale, corrispondente anche all’esigenza di applicare a tutti i
dipendenti dei suddetti enti – comunque denominati e configurati – la medesima
disciplina anche previdenziale (v. Cass. nn. 21536
e 5429 del 2019 cit.);

21. neppure possono richiamarsi, al fine di
individuare quali siano le caratteristiche sostanziali dell’ente pubblico, la
normativa comunitaria e la nozione di organismo pubblico all’interno della
disciplina degli appalti sul presupposto che detta normativa fornisca una
nozione unitaria di organismo pubblico;

22. che consista in un servizio pubblico locale
l’attività esercitata mediante una società di diritto privato e la
partecipazione pubblica alla stessa hanno rilievo a fini diversi da quelli
previdenziali, preoccupandosi il legislatore comunitario e quello nazionale che
non vengano lese le dinamiche della concorrenza nel mercato, all’uopo
introducendo misure antitrust e misure legislative di promozione che mirano ad
aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata,
riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità
imprenditoriale e della competizione;

23. la finalizzazione della società di capitali alla
gestione in house di un servizio pubblico – il che accade ove la pubblica
amministrazione provveda in proprio al perseguimento di scopi pubblici
attribuendo l’appalto o il servizio ad altre entità mediante il sistema
dell’affidamento diretto, c.d. in house pro viding, cioè senza gara – non muta
la natura giuridica privata della società riguardo alle ricadute previdenziali
dei rapporti di lavoro, assumendo rilievo, nell’ordinamento nazionale e
comunitario, solo riguardo al mercato e alla tutela della concorrenza;

24. le Sezioni unite della Corte (sentenza n. 28606
del 2009), nello statuire che spetta al giudice ordinario la giurisdizione in
tema di azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione
pubblica per effetto di condotte illecite degli amministraiori o dei dipendenti,
ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità
giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente
pubblico titolare della partecipazione né un danno direttamente arrecato allo
Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte
dei conti;

25. il richiamato principio è stato adottato da
tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite anche in relazione a
società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o totalitaria, anche
se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell’ente pubblico e anche ove
la s.p.a. gestisca un servizio pubblico essenziale (cfr., fra le altre, Cass.,
Sez.U. nn. 20940, 14957, 14655 del 2011);

26. non costituiscono indici della natura pubblica
dell’ente né il controllo della Corte dei Conti (considerato il denaro pubblico
utilizzato) né i vincoli di finanza pubblica (atteso che l’impegno di capitale
pubblico impone comunque il rispetto dei principi di imparzialità, di
economicità e di buon andamento della pubblica amministrazione) e la
giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che le disposizioni
del codice civile sulle società per azioni a partecipazione pubblica non
valgono a configurare uno statuto speciale delle stesse e che la scelta della
pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica
l’assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta;

27. inoltre, la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, con riferimento ai cosiddetti contributi minori, ha confermato
l’obbligo, in capo alle società con partecipazione maggioritaria dell’ente
locale, della corresponsione all’I.N.P.S. (cfr., ex aliis, Cass. n. 19761 del 2015; Cass. n. 18455 del 2014;
Cass. nn. 24524, 20818, 22318 del 2013);

28. la forma societaria di diritto privato è, per
l’ente locale, la modalità di gestione consentita dalla legge e prescelta
dall’ente stesso in ragione della duttilità dello strumento giuridico, in cui
il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione
delle regole del diritto privato e, giova ribadire, la finalità perseguita dai
legislatori nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi
per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non
ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in
ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla
gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico (cfr. Cass. nn. 27513 e 20818
del 2013);

29. la sentenza impugnata deve essere cassata e non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa
nel merito, con il rigetto dell’opposizione agli avvisi di addebito;

30. la peculiare problematicità della questione
dibattuta sulla quale gli arresti giurisprudenziali sono intervenuti solo in
epoca successiva al deposito degli atti introduttivi consiglia la compensazione
delle spese dell’intero processo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta l’opposizione agli avvisi di addebito; spese
compensate dell’intero processo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6300
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: