Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 marzo 2020, n. 6393

Avvocato,Competenze professionali, Pagamento, Conferimento
di incarico professionale, Rinuncia al mandato da parte del professionista

 

Rilevato che

 

L’avvocato A.B. propone ricorso per Cassazione,
affidato a due motivi, avverso l’ordinanza 106/2018 del 3-7-2018 con la quale
il Tribunale di Avellino gli aveva rigettato il ricorso con il quale aveva
chiesto il pagamento delle proprie competenze professionali per avere
rappresentato S.G. nel giudizio 645/13 presso il Tribunale di Avellino (avente
per oggetto “il risarcimento dei danni da demansionamento per
mobbing” nei confronti della datrice di lavoro “A.C. Servizi
Spa”) fino alla revoca dell’incarico, avvenuta con comunicazione dell’aprile
2016, avendo ricevuto solo la somma di euro 1.600,00. In particolare il
Tribunale ha evidenziato: che l’avvocato B. ed il G. avevano stipulato in data
15-2-2013 una scrittura di conferimento di incarico professionale (prodotta in
atti), con la quale avevano pattuito un compenso di euro 1.600,00 per l’intera
opera professionale, da pagarsi in caso di rigetto della domanda o di rinunzia
al mandato da parte del professionista, nonché un compenso, in caso di
riconoscimento di una somma a titolo di risarcimento danni, pari al 20% di tale
somma; che non era contestato che il rapporto professionale era cessato nel
2016, quando il predetto giudizio era ancora in corso; che doveva ritenersi
provata la rinuncia al mandato da parte del professionista, e non provata
invece la revoca del mandato da parte del cliente; che, infatti, il ricorrente
non aveva prodotto alcuna lettera o comunicazione proveniente dal G. di revoca
dell’incarico, mentre quest’ultimo aveva prodotto una raccomandata del
20-4-2016, con cui lo stesso prendeva atto della rinuncia al mandato e
comunicava che avrebbe nominato un nuovo difensore; che la sollevata eccezione
di nullità della scrittura 15-2-2016 per violazione del patto di quota lite era
irrilevante sia perché il compenso in percentuale era previsto solo
nell’ipotesi di sentenza definitiva o di transazione (non verificatasi nella
specie, ove, come detto, l’incarico era cessato per rinunzia del difensore),
sia perché l’eventuale nullità sarebbe stata comunque limitata alla clausola di
quota lite; che, pertanto, avendo il G. già corrisposto quanto pattuito, la
domanda andava rigettata.

S.G. ha resistito con controricorso.

Il relatore ha proposto la trattazione della
controversia ai sensi dell’art. 380 bis cpc;
detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc- erronea valutazione delle
risultanze istruttorie, ribadisce che, contrariamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, doveva ritenersi provato che il G., in data 21-4-2016, aveva
revocato senza alcuna giustificazione il mandato conferito al ricorrente e si
era costituito in giudizio con altro difensore; siffatta nominava doveva
comunque comportare la revoca tacita del mandato al precedente difensore.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione degli artt. 132
e 143 cpc e 111
Cost. nonché -ex art. 360 n. 5 cpc- omessa,
insufficiente e contradditoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, sostiene la carenza assoluta di motivazione, o
comunque la sua insufficienza e contradditorietà, non essendo dato evincere le
ragioni per le quali il Tribunale aveva ritenuto non provata la revoca al
mandato da parte del cliente, e invece provata la rinuncia al mandato da parte
dell’avvocato ricorrente.

I motivi, da valutare congiuntamente in quanto
connessi, sono entrambi inammissibili.

In primo luogo in quanto, in violazione dell’art. 366 n. 6 cpc, non vengono né specificamente
indicate né tanto meno riportate in ricorso le “risultanze
istruttorie” della cui erronea valutazione ci si lamenta nel primo motivo.

In secondo luogo, in quanto le censure, pur se
denunziate come violazione di legge (nel primo motivo, peraltro, si denunzia un
vizio senza individuarlo e collocarlo nel paradigma dell’art. 360 cpc, senza nemmeno indicare le norme
asseritamente violate), si risolvono in una critica, inammissibile in sede di
legittimità, alla valutazione delle risultanze istruttorie per come operata dal
giudice di merito, che ha solo attribuito agli elementi valutati un valore ed
un significato difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Come già precisato da questa S.C., invero, il
cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte
del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso
per cassazione; siffatta censura, in particolare, non è inquadrabile né nel paradigma
dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che
attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario (fatto storico da intendere quale preciso accadimento o precisa
circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a
“questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (fatto
storico non indicato, nella specie, dal ricorrente), né in quello del
precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c.- dà rilievo unicamente
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, attenendo all’esistenza della motivazione in sé,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; c.d. riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;
(Cass. 11892/2016; v. anche Cass. sez. unite
8053/2014); costituisce, infatti, consolidato principio di questa Corte che
la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito
indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza
di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare
la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di
loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente
incomprensibili (Cass. 20112/2009; Cass. sez unite
8053/2014); anomalia motivazionale non sussistente nella specie, ove il
Tribunale, nell’esercizio del suo potere di valutare la esibita documentazione,
ha ben spiegato le ragioni in base alle quali ha ritenuto raggiunta la prova di
una rinunzia al mandato da parte dell’avvocato, ed ha invece considerato non
provata la revoca del mandato da parte del cliente.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in
favore del difensore, anticipatario.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002,
poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato
dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis del cit. art. 13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che
si liquidano in euro 2.300,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con
distrazione in favore dell’avvocato E.M., distrattario; dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso.

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