Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6785

Collaboratore di farmacia, Licenziamento, Differenze
retributive, Svolgimento di mansioni superiori, Risarcimento del danno morale
ed esistenziale, Rigetto

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 1303
pubblicata il 21.6.2016, ha respinto l’appello proposto da M.B. nei confronti
di C., A. e P.T., eredi della Farmacia Dott.ssa R.A., così confermando la
pronuncia di primo grado con cui erano state rigettate le domande del medesimo
di nullità o illegittimità del licenziamento intimatogli il 29.11.2009 e di
condanna al pagamento di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni
superiori e al risarcimento del danno morale ed esistenziale;

2. la Corte territoriale ha escluso che le prove
testimoniali (testi C., A., L., D.P.T., F. e N.) e documentali dimostrassero il
carattere ritorsivo del licenziamento, ritenendo provato l’addebito (assenze
ingiustificate) posto a base della decisione di recesso; ha accertato, in base
all’esame dei testi (N., F. e T.) come il B. avesse svolto le mansioni di
collaboratore di farmacia, corrispondenti alla qualifica rivestita, e quelle di
direttore di farmacia solo per periodi limitati in caso di assenza della
titolare, in conformità a quanto previsto dall’art. 4 del c.c.n.l. applicato,
come confermato dalle comunicazioni di “sostituzione temporanea
d’incarico” inviate all’Asl;

3. ha giudicato assorbito il motivo di appello sul
mancato risarcimento del danno morale ed esistenziale e respinto la censura di
nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio,
accertando come la sentenza del Tribunale recasse la data del 19.10.2015 e
fosse stata redatta in epoca successiva alla scadenza del termine per il
deposito di note fissato l’8.10.2015;

4. la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con ordinanza n. 16838/18, ha respinto il ricorso del
B. dichiarando inammissibile il primo motivo perché contenente critiche alla
ricostruzione in fatto operata dalla Corte di merito, non conformi allo schema
legale del novellato art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.;
ha ritenuto infondato il secondo motivo di ricorso in ragione della corretta
applicazione dell’art. 4 del c.c.n.l. Sanità e per essere le residue censure
volte a proporre una diversa e inammissibile lettura del materiale probatorio;
ha giudicato inammissibile il terzo motivo in quanto non sorretto da adeguata
esposizione del contenuto della originaria domanda risarcitoria e parimenti il
quarto motivo mancante della necessaria esposizione del fatto processuale su
cui si basava la denunciata violazione dell’art.
112 c.p.c.;

5. contro l’ordinanza di questa Corte n. 16838/2018 B. M. ha proposto ricorso per
revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.,
in relazione all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4
c.p.c.;

6. T.A., in proprio e quale legale rappresentante
della comunione ereditaria denominata “Eredi Farmacia Dr.ssa A.R.”,
T.C. e T.P. hanno resistito con controricorso;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

 

Considerato che

 

8. a sostegno della revocazione B. M. ha addebitato
a questa Suprema Corte di avere “tralasciato alcuni fatti decisivi
documentali ed endoprocessuali” nel prudente apprezzamento delle prove, di
non aver colto il contenuto materiale delle prove documentali (lettera del
31.12.2008 e riepilogo delle competenze di fine rapporto) decisivo rispetto ai
fatti costitutivi del licenziamento ritorsivo, di non aver tenuto conto del
deficit motivazionale della pronuncia d’appello rispetto alla denuncia di
precompilazione della sentenza di primo grado;

9. la difesa della parte controricorrente ha
preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per revocazione in
quanto tardivo; ha allegato di aver provveduto alla notifica della sentenza di legittimità
a mezzo posta elettronica certificata (di cui ha allegato le ricevute) in data
18.7.2018 e che il ricorso in oggetto era stato notificato il 27.12.2018,
ampiamente dopo il decorso del termine di 60 giorni, di cui all’art. 391 bis, comma 1, c.p.c.;

10. in data 17.12.2019 il ricorrente in revocazione
ha depositato atto di rinuncia al ricorso; l’atto di rinuncia non risulta
notificato alla controparte;

11. la rinuncia al ricorso per cassazione, quale
atto unilaterale recettizio, è inidonea a determinare l’estinzione del giudizio
se non notificata alle controparti costituite o comunicata ai loro difensori
con apposizione del visto, ma vale comunque a far venire meno l’interesse alla
decisione, determinando l’inammissibilità sopravvenuta del ricorso (cfr. Cass.
n. 12743/16; n. 13923/19);

12. il ricorso deve quindi essere dichiarato
inammissibile;

13. le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

14. non ricorre nel caso di specie l’obbligo al cd.
raddoppio del contributo unificato; la previsione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 contiene una misura eccezionale, “lato
sensu” sanzionatoria, come tale non suscettibile di interpretazione
estensiva o analogica (cfr. Cass., Sez. 6 n. 23175/15); pertanto l’obbligo dalla
stessa introdotto deve intendersi limitato ai casi tipizzati di rigetto
dell’impugnazione o della sua declaratoria di improcedibilità o
d’inammissibilità originaria, ma non trova applicazione in ipotesi, come quella
in esame, di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del
ricorso per cassazione (Cass. n. 31732/18; Sez. 6
n. 14782/18; n. 13636/15).

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta
carenza di interesse.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi
professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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