In ambito privato, l’assegnazione frazionata e sistematica a mansioni superiori comporta la promozione automatica.

 Nota a Cass. 23 gennaio 2020, n. 1556

 Maria Novella Bettini

L’adibizione del lavoratore a mansioni superiori in modo sistematico e frazionato nel tempo rivela, in assenza di una diversa indicazione dell’impresa, “se non un vero e proprio intento fraudolento del datore di lavoro di impedire la maturazione del diritto alla promozione automatica, comunque, una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento”.

Questo il principio sancito dalla Corte di Appello di Milano (13 dicembre 2016), confermato dalla Corte di Cassazione (ord. 23 gennaio 2020, n. 1556) che qui si annota.

Secondo la Cassazione, per  l’acquisizione del diritto alla promozione automatica (ai sensi dell’art. 2103 c.c.), cumulando reiterate assegnazioni a mansioni superiori, devono ricorrere talune importanti condizioni e cioè:

1) la frequenza e sistematicità delle assegnazioni;

2) la programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi;

3) la predeterminazione utilitaristica del comportamento datoriale, ossia la rispondenza delle adibizioni “ad una esigenza strutturale del datore di lavoro, tale da rivelare la utilità per la organizzazione aziendale della professionalità superiore”.

La ricorrenza di questi elementi ha consentito alla Corte di ritenere acquisita, nella fattispecie concreta, la prova positiva dei presupposti di diritto alla c.d. promozione automatica, escludendo che il lavoratore dovesse provare la mala fede del datore di lavoro (art. 2697 c.c.).

Come noto, in materia di mansioni superiori, l’art. 2103 c.c. stabilisce che (co.1) “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”. E che (co.7) “Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi” (sul tema, v. M. BROLLO, Le mansioni: la rivoluzione promessa nel jobs act, in Studi in memoria di Sergio Magrini, Giappichelli, 2019, 13).

La giurisprudenza ha precisato che il lavoratore matura il diritto alla promozione definitiva se l’esercizio delle mansioni superiori è stato:

a) pieno, nel senso che è necessario l’espletamento di tutte le mansioni che caratterizzano una qualifica superiore (v. Cass. n. 20660/2005, secondo cui per assegnazione piena alle mansioni superiori s’intende che tale assegnazione “abbia comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente (superiore) qualifica, essendo irrilevante, di per sé, l’eventuale identità fra tali mansioni e quelle proprie di altri lavoratori della stessa azienda che abbiano già ottenuto la stessa qualifica”; Trib. Milano 15 febbraio 2013). Non rileva, perciò, l’espletamento saltuario ed occasionale di compiti riconducibili a mansioni superiori (v. Trib. Taranto 13 gennaio 2009; cfr. anche Trib. Roma 20 settembre 2011, n. 14127). Nel caso di mansioni plurime, si applica il principio della prevalenza sotto il profilo quantitativo, qualitativo e temporale (Cass. n. 32699/2019 e n. 6843/2004);

b) effettivo: ciò che rileva è l’esercizio effettivo delle mansioni, anche se formalmente la titolarità e la responsabilità sono affidate ad altri (Cass. n. 27825/2009). Inoltre, dovendo avere riguardo ai periodi in cui si è effettivamente lavorato con mansioni superiori, dal computo utile ai fini del calcolo dei sei mesi (o del diverso periodo previsto dal c.c.n.l.) deve escludersi sia il periodo di ferie che quello di sospensione dell’attività lavorativa a causa di infortunio o malattia (Cass. n. 14154/1999, con nota di M. CASOLA, Adibizione a mansioni superiori e promozione automatica del lavoratore: orientamenti giurisprudenziali, FI, 2000, I, 2875); mentre bisogna tener conto dei riposi settimanali e compensativi, che costituiscono parte integrante della prestazione con i suoi necessari momenti di pausa (Cass. n. 1983/2004), nonché dei congedi parentali e dei giorni di partecipazione a corsi di formazione relativi a materie attinenti alle mansioni superiori già assegnate (Cass. n. 2744/1989);

c) continuativo. Nel caso però di cumulo di ripetute ed artificiose assegnazioni inferiori a sei mesi, da cui emerga il tentativo di elusione fraudolenta della disposizione di legge, il lavoratore matura comunque il diritto alla promozione.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, l’ipotesi di revoche dell’assegnazione (mansioni superiori) “reiterate, sistematiche e artificiali in assenza di una reale esigenza organizzativa, costituisce condotta datoriale oggettivamente elusiva della legge, sanzionata mediante l’unificazione per sommatoria dei diversi periodi ai fini della ‘promozione automatica’” (Cass. n. 2542/2009; Cass. n. 9550/2007 e Cass. S.U. n. 1023/1995).

Tuttavia, si è ritenuta legittima e, dunque, non elusiva della legge, l’adibizione reiterata di un lavoratore a mansioni superiori inerenti a posti vacanti da coprire (in forza di obbligo assunto dal datore di lavoro con il contratto collettivo) mediante procedure di selezione (v. Cass. n. 2542/2009, cit. e Cass. S.U. n. 1023/1995, cit).

È lecito il “ripensamento organizzativo” del datore di lavoro nel senso che egli, dopo l’assegnazione del dipendente a mansioni superiori, può adottare la scelta organizzativa di ricondurre le mansioni tra quelle corrispondenti ad un livello di inquadramento inferiore rispetto alle mansioni superiori acquisite (Cass. n. 2836/2009; Cass. n. 2542/2009, cit.; Cass. S.U.  n. 1023/1995, cit.).

Spetta poi agli accordi aziendali o territoriali (c.d. contratti di prossimità di cui all’art. 8, D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011), stipulati da sindacati maggiormente rappresentativi o da loro rappresentanze aziendali, delineare un sistema condiviso di flessibilità interna.

Il dipendente può esprimere una volontà contraria all’assegnazione definitiva alle mansioni superiori. Secondo una parte della dottrina, tale manifestazione di volontà può essere validamente espressa solamente successivamente al conseguimento del diritto alla promozione automatica. In quest’ottica, vanno pertanto considerati nulli gli accordi con i quali il lavoratore acconsenta a rinunciare all’effetto legale della promozione con riferimento ad ipotesi di assegnazione a mansioni superiori non ancora verificatesi o rispetto alle quali non sia ancora compiuto il termine decorso il quale il lavoratore acquisisca il diritto alla promozione automatica (E. GRAMANO, La riforma della disciplina del jus variandi, in G. ZILIO GRANDI – M. BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Cedam, 2016, 551). Secondo un diverso orientamento, invece, la manifestazione di volontà del lavoratore potrebbe validamente intervenire sia prima, sia durante, sia al termine dell’assegnazione (C. ZOLI, La disciplina delle mansioni, in L. FIORILLO A. PERULLI (a cura di), Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni, Giappichelli, 2015, 353).

L’art. 2103 c.c. preclude la promozione automatica per qualunque ragione sostitutiva di per­sonale “in servizio”, ad esempio per sostituzioni “a cascata”, per ferie (v. M. MISCIONE, Jobs Act: le mansioni e la loro modificazione, LG, 2015, 437), permessi, missioni e attività formative (v. C. ZOLI, op. cit., 340). Invece, in caso di copertura di cariche sindacali pubbliche elettive, il sostituto consegue il diritto alla promozione poiché il sostituito non può considerarsi in servizio (v. M. MISCIONE, op. loc. cit.).

Il diritto alla promozione in seguito all’adibizione fattuale a mansioni superiori non sussiste nel pubblico impiego in cui le peculiarità relative alla natura del datore di lavoro condizionano la piena applicabilità dei principi sopraesposti, inquadrandoli in rigidi parametri normativi (v. art. 52, co.1, 2,3,4,5, D.LGS. n. 165/2001 e successive modifiche ed integrazioni).

In argomento, v. Cass. n. 24216/2017 (con nota di M. L. BUCONI, La mobilità verticale nel nuovo testo dell’art. 2103 c.c., Labor, 2018, 35), secondo cui “Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal CCNL di comparto sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni”.

Reiterata assegnazione a mansioni superiori e promozione automatica
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