Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6949

Inps, Cartella, Agevolazioni di cui alla L. n. 223/1991, Cessione dell’intera azienda,
Elementi di continuità dell’ impresa

Considerato in fatto

 

1. La Corte d’appello di Venezia , in riforma della
sentenza del Tribunale di Rovigo, ha rigettato l’opposizione proposta dalla
soc. P.L. e G. di L.M. & C snc avverso la cartella notificata su richiesta
dell’Inps per la restituzione delle agevolazioni di cui alla L. n. 223/1991 in merito all’assunzione di cinque
lavoratori licenziati dalla soc. A.G. snc con cui la società opponente aveva
stipulato un contratto d’affitto avente ad oggetto la cessione dell’intera
azienda compresi i macchinari.

La Corte ha rilevato che la violazione dell’art. 8 L. n. 223/1991 era
stata prospettata non per l’identità degli assetti proprietari, ma per
l’identità dell’azienda nei suoi elementi materiali e oggettivi .

Ha sottolineato gli elementi di continuità della
impresa che aveva impiegato lo stesso personale, utilizzato gli stessi
macchinari per lo svolgimento di una attività che ,seppure ampliata quanto alla
diversificazione dei prodotti e della clientela, si poneva in sostanziale
continuità con la precedente e che, dunque, l’assunzione del personale
dell’impresa cedente era l’effetto della previsione dell’art. 2112 c.c. essendo la conseguenza della
stipula del contratto di affitto d’azienda .

2. Avverso la sentenza ricorre il P.L. e G. con due
motivi.

Resiste l’Inps –

 

Ritenuto in diritto

 

3. Con il primo motivo si denuncia omesso esame di
fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n 5 cpc .Si lamenta che non erano stati
considerati la cessazione dell’attività della ditta A. alla data del 29/7/2004
e dei licenziamento di tutti i dipendenti e la successiva instaurazione ex novo
di altro e diverso rapporto di lavoro , nonché l’acquisto di un numero
consistente di macchinari nuovi e diversi rispetto alla precedente azienda .

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione
dell’art. 8, 4 comma, L. n. 223/1991,
laddove la Corte rinvia, per l’esclusione dei benefici, al 1 comma del medesimo
articolo. Si afferma che l’identità di azienda sussiste in caso di totale
corrispondenza tra l’azienda che ha licenziato e quella che assume a distanza
di sei mesi e che nella specie difettava l’identità aziendale e l’obbligo della
società di assumere ex art. 2112 c.c.

5. I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro
connessione, sono infondati.

6. Quanto alla censura configurata come vizio di
motivazione va rilevato che la sentenza impugnata è stata depositata dopo l’11
settembre del 2012 e pertanto al ricorso per cassazione è applicabile, quanto
all’anomalia motivazionale, l’art. 360 c.p.c.,
n. 5, nella formulazione introdotta con il D.L. n.
83 del 2012, conv. con L. n. 134 del 2012.
La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di
cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” ; testuale o
extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il
“quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di
discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente
interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore
sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, dei
controllo sulla motivazione di fatto. Con esso si è invero avuta (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la
riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di
giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in
questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè,
come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le
risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del
difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile
fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile.

Nella fattispecie, una ricostruzione del fatto
pienamente sussiste e la decisione non è affetta dai vizi appena indicati, come
soli ormai rilevanti ai sensi dell’art. 360 c p.c.,
n. 5, nell’attuale formulazione.

La Corte territoriale ha esaminato tutti gli
elementi pervenendo ad affermare la continuità dei rapporti di lavoro dopo il
licenziamento, nonché l’identità dell’azienda nei suoi elementi materiali ed
oggettivi e che l’assunzione del personale dell’impresa cedente era l’effetto
della previsione dell’art. 2112 c.c..

Le censure della ricorrente risultano
sostanzialmente intese a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio,
inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione
dello stesso da parte del giudice di merito.

7. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese
processuali Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione
del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n
115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare
le spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi professionali,
oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché Euro 200,00 per
esborsi. Ai sensi dell’art. 13,
comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il
ricorso a norma del comma 1 bis , dello stesso art. 13 se dovuto.

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