Al licenziamento del dirigente affetto da ingiustificatezza non è estendibile il termine decadenziale per l’impugnazione introdotto dall’art. 32, L. n. 183/2010.

 Nota a Cass. 8 gennaio 2020, n. 148

C. Nikita Placco

I termini di decadenza previsti dall’art. 6, L. n. 604/1966, come mod. dall’art. 32, co.1, della L. n. 183/2010, non si applicano all’impugnazione “per ingiustificatezza” del licenziamento di un dirigente.

L’art. 32, come noto, al co. 1, sostituisce l’art. 6, L. n. 604/1966, e, nel ribadire il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione extragiudiziale del licenziamento, prevede il termine ulteriore di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale; e al co. 2, stabilisce che le disposizioni di cui al citato art. 6 della L. n. 604,  si applicano “anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”.

Secondo la Corte di Cassazione 8 gennaio 2020, n. 148 (conforme a App. Roma n. 3977/2016), il termine invalidità ha un significato preciso, il quale “presuppone che l’atto sia inficiato nella sua validità per un vizio intrinseco derivante dal discostamento dal modello legale o per effetto di una previsione legale che colleghi alla mancanza di requisiti che devono caratterizzare l’atto la conseguenza della invalidità”.

È questo il caso della L. n. 92/2012 in cui, con la nuova formulazione dell’art. 18, co. 1 Stat. Lav., i dirigenti sono destinatari di una tutela piena per le ipotesi, anche ad essi applicabili, di nullità del licenziamento discriminatorio (ex L. n. 108/1990, art. 3), ovvero intimato in concomitanza col matrimonio (ex D.LGS. 11 aprile 2006, n. 198, art. 35) o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’art. 54, co. 1, 6, 7 e 9, del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.LGS. n. 151/2001 e successive modificazioni), ovvero in quanto riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c.

In altre parole, se da una parte, è ragionevole ritenere che la disciplina legislativa regoli “anche” il caso del licenziamento vietato o nullo del dirigente, identico nella disciplina (sostanziale e sanzionatoria) al corrispondente licenziamento di un lavoratore non dirigente; dall’altra, con riguardo all’applicabilità della decadenza al licenziamento del dirigente in ipotesi non riconducibile ad invalidità dell’atto, ma a fattispecie di mera ingiustificatezza del licenziamento, non è estendibile il termine decadenziale introdotto dall’art. 32, L. n. 183/2010 (v. anche Cass. n. 22627/2015).

Come rilevato nel giudizio di merito, quindi, la disciplina della decadenza concerne soltanto i casi di difformità del licenziamento dal modello legale, ossia i licenziamenti nulli “contrastanti con specifici divieti di legge, inefficaci perché verbali (in violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 1), privi di giusta causa o di giustificato motivo o anche soltanto viziati dal mancato rispetto delle regole procedimentali di cui all’art. 7 Stat. lav.”; tutte ipotesi, queste, in cui il recesso (a prescindere dalle tutele più o meno intense offerte dall’ordinamento), si pone in contrasto con norme di legge. “In nessun caso può invece qualificarsi come invalido il licenziamento del dirigente privo di “giustificatezza” a norma dei contratti collettivi di settore (nel caso in esame, dall’art. 22 del ccnl dirigenti imprese industriali)”, poiché in tale ipotesi “l’illecito è solo convenzionale e l’atto che lo riflette integra soltanto un inadempimento contrattuale, così come di esclusiva regolamentazione contrattuale è la tutela in tal caso apprestata”. Ne deriva l’inoperatività della decadenza ex  art. 6, L. n. 604/1966, e art. 32, co. 2,  L. n. 183/2010, “essendo l’istituto di stretta interpretazione, insuscettibile di applicazione estensiva”.

Non è dunque possibile, precisa la Corte, ampliare la portata “oggettiva” della norma in esame in modo da includervi ogni ipotesi di “patologia” del licenziamento, neppure considerando la specialità della materia relativa all’impugnazione dei licenziamenti rispetto ai principi di diritto comune.

Pertanto, l’ipotesi della “ingiustificatezza” di fonte convenzionale, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennità supplementare, non può essere ricondotta al concetto di invalidità. Ciò, in quanto tale indennità “si collega ad un atto incontestatamente e pacificamente valido, che incide in termini solutori sul rapporto di lavoro”. Con la conseguenza che “l’ambito di applicabilità oggettiva della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 2, non può che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidità (rectius, nullità)” di cui all’art. 18, co. 1, Stat. Lav.

 

 

Licenziamento ingiustificato del dirigente e decadenza
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