Il lavoratore ha il diritto, oltre che di essere retribuito ed adibito alla propria sede di lavoro, di svolgere concretamente la propria attività lavorativa.

Nota a Trib. Roma ord. 1 febbraio 2020, n. 12119

Flavia Durval

Il lavoratore ha diritto di svolgere la propria prestazione lavorativa e la mancata adibizione al lavoro effettivo della lavoratrice madre di bambina disabile è discriminatoria.

È quanto afferma il Tribunale di Roma (ord. 1 febbraio 2020, n. 12119) con riferimento al caso di una giornalista televisiva che, dopo aver ottenuto un provvedimento cautelare di condanna del datore di lavoro ad assegnarla presso la sede di lavoro contrattualmente pattuita (stante l’accertata illegittimità di un provvedimento di trasferimento), presentava nuovamente ricorso al Tribunale per ottenere la condanna alla adibizione effettiva al proprio lavoro, dal momento che l’impresa si era limitata a collocarla in aspettativa retribuita.

In tal modo, infatti, la lavoratrice, pur rimanendo formalmente assegnata alla sede di destinazione, non svolgeva di fatto alcuna attività lavorativa rimanendo “sostanzialmente estromessa dal contesto lavorativo”.

Il Tribunale chiarisce che il diritto del lavoro “non può certo esaurirsi nel diritto al posto di lavoro, dovendo necessariamente includere anche il diritto allo svolgimento della prestazione lavorativa”. Tale diritto si configura sia con riguardo alla reintegrazione del lavoratore (ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav.), che presuppone l’effettiva riammissione in servizio e non solo la formale ricostruzione ex tunc del rapporto, sia in riferimento all’art. 2103 c.c., il quale stabilisce che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto…” ed ha pertanto diritto ad eseguire la prestazione, diritto cui corrisponde il correlativo obbligo datoriale a non lasciare il dipendente “in forzata inattività, poiché il lavoro costituisce un mezzo non solo di guadagno, ma anche di estrinsecazione della personalità” (v. Cass. n. 7963/2012; Cass. n. 8537/2004).

Il bene lavoro costituisce dunque non solo un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma anche uno strumento di estrinsecazione della personalità del lavoratore. La collaborazione nell’impresa e l’organizzazione produttiva devono perciò necessariamente coniugarsi con i precetti costituzionali di tutela della persona che lavora (artt. 2, co.1, 4, co. 1 e 35, co.1, Cost.).

L’ordine del giudice di far lavorare il dipendente costretto all’inattività non è suscettibile di esecuzione in forma specifica. Il dipendente potrà invece pretendere il risarcimento dei danni subìti. L’azione con cui il lavoratore lamenta l’illegittimità della propria forzosa inattività, chiedendo la condanna del datore di lavoro ad assegnarlo concretamente alle mansioni per cui è stato assunto, costituisce infatti un’azione per inadempimento contrattuale (Cass. n. 7963/2012, cit.). Il prestatore può, perciò, limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, mentre grava sul debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo della pretesa altrui (costituito dall’avvenuto adempimento) ovvero la sopravvenuta impossibilità dell’adempimento stesso.

La situazione di mora credendi permane finché il lavoratore continua a tenersi a disposizione dell’azienda offrendo la propria prestazione (anche con lettera di un legale, v. Cass. n. 2232/1997) e cessa con l’invito del datore di lavoro a riprendere servizio (Cass. n. 2196/1993). In questo senso, v. M.N. BETTINI, Mansioni del lavoratore e flessibilizzazione delle tutele, Giappichelli, 2014, 57, la quale rileva come sia esclusa la responsabilità del datore di lavoro per l’inattività del dipendente nell’ipotesi in cui si “riscontri una causa giustificativa del comportamento tenuto dal datore medesimo connessa all’esercizio dei poteri imprenditoriali garantiti dall’art. 41 Cost., ovvero dei poteri disciplinari, o, anche, quando l’inadempimento della prestazione derivi da causa non imputabile all’obbligato (fermo restando che, in tal caso, l’onere della prova della sussistenza delle ipotesi indicate grava sul datore di lavoro in veste di debitore (Cass. n. 17564/2006), ex art. 1218 cod. civ.). La responsabilità del datore di lavoro per l’inattività del dipendente è, peraltro, esclusa nell’ipotesi in cui si “riscontri una causa giustificativa del comportamento tenuto dal datore medesimo connessa all’esercizio dei poteri imprenditoriali, garantiti dall’art. 41 Cost., ovvero dei poteri disciplinari, o, anche, quando la privazione delle funzioni patita dal lavoratore dipenda da fattori soggettivi estranei al datore di lavoro e legati alla generale contrazione dell’attività imprenditoriale” ( Cass. n. 7963/2012, cit.).

Con specifico riferimento allo svuotamento dell’attività lavorativa di un medico, inquadrato come funzionario tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e socio-sanitaria e poi addetto alle mansioni di “medico prelevatore”, v. Cass. n. 21716/2013 e Cass. n. 17396/2011). Il lavoratore costretto all’inattività potrà ricorrere in giudizio, dimostrando di aver subìto un danno di carattere biologico (lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale), morale (patema d’animo e sofferenza di ordine psichico derivanti ad es. da mobbing), esistenziale (lesione della vita di relazione sul e fuori il luogo di lavoro; danno alla dimensione sociale della persona); patrimoniale (mancata possibilità di ottenere premi di rendimento e produttività); ovvero, una violazione del diritto al lavoro (art. 4 Cost.) e/o della sua dignità (art 41 Cost.); o anche un danno ai diritti inviolabili dell’individuo come singolo e “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.); ed alla professionalità, ossia un impoverimento del patrimonio conoscitivo; nonché una perdita di chance (ad es. nella non ammissione ad un concorso, tale perdita può consistere nella perdita di probabilità di vincere un concorso, conseguendo i vantaggi della qualifica superiore; o come irripetibilità delle procedure concorsuali con le  stesse modalità e gli stessi partecipanti.

Per riferimenti in tema, v. anche, in questo sito, Cass. 25 febbraio 2019, n. 5431, con nota di F. IACOBONE, Dequalificazione professionale da inattività e risarcimento del danno; Cass. 9 ottobre 2018, n. 24828, con nota di D. MARTINO, Orario di lavoro, messa a disposizione delle energie e temporanea inattività del prestatore; Cass. 29 maggio 2018, n. 13484, con nota di F. ALBINIANO, Onere probatorio e danno da demansionamento; Cass. 9 maggio 2018, n. 11169, con nota di F. ALBINIANO, Inattività del lavoratore e danno patrimoniale; Cass. 21 febbraio 2018, n. 4228, con nota di A. EVANGELISTA, Demansionamento del dipendente pubblico e Inattività forzata (del lavoratore subordinato), Inattività forzata del lavoratore subordinato, 100 PAROLE, di K. PUNTILLO.

Diritto al lavoro e inattività del prestatore
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