Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2020, n. 7245

Rapporto di lavoro, Assunzione, Omessa comunicazione al
Centro per l’impiego, Mancata consegna della dichiarazione contenente i dati
della registrazione effettuata sul libro matricola

 

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Torino, con sentenza
depositata in data 3.4.2014, ha respinto il gravame interposto dalla S.r.l.
M.T.C., nei confronti della Direzione Provinciale del Lavoro di Torino-
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, avverso la pronunzia del
Tribunale della stessa sede resa il 29.6.2011, con cui era stata rigettata
l’opposizione proposta dalla società, ai sensi dell’art. 22 e segg. della I. n. 689
del 1981, all’ordinanza ingiunzione n. 1670/2010, con la quale era stato
intimato il pagamento della somma di Euro 5.127,50, oltre accessori, a titolo
di sanzione amministrativa per le violazioni accertate sulla base del verbale
INPS n. 73/2007; ed in particolare, per la violazione dell’art. 9-bis, comma 2, della I.
n. 608 del 1996, per avere omesso di inviare al Centro per l’Impiego, il
giorno antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro, la comunicazione
contenente il nominativo, la data di assunzione, la tipologia contrattuale, la
qualifica ed il trattamento economico e normativo applicato al dipendente G.A.;
nonché per la violazione dell’art.
4-bis del D.Igs. n. 181 del 2000, per avere omesso di consegnare, all’atto
dell’assunzione, la dichiarazione sottoscritta contenente i dati della
registrazione effettuata sul libro matricola in uso;

che per la cassazione della sentenza la S.r.l.
M.T.C. ha proposto ricorso, articolando due motivi;

che la Direzione Provinciale del Lavoro di
Torino-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è rimasta intimata;

che sono state comunicate memorie nell’interesse
della società;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c.,
la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le dichiarazioni
rese dal dipendente A. ed in merito alla non necessità di esperire
l’istruttoria e per non avere la Corte di merito valutato che quelle
dichiarazioni, rese il 7.1.2011, <<scagionavano>> completamente la
società da qualunque responsabilità, poiché l’A. aveva precisato di non avere,
all’epoca dell’accertamento, un contratto di lavoro con la M.T.C. S.r.l. e di
essere disoccupato, ed altresì di essere nei locali della società soltanto per
preparare i muri per la tinteggiatura; 2) la violazione dell’art. 24 della Costituzione; la violazione del
diritto di difesa della M.T.C. S.r.l., nonché la violazione del regolare
contraddittorio tra le parti, e si lamenta che, in occasione della ispezione
del 22.2.2007, l’Ispettore di Vigilanza dell’INPS non ha sentito R. T., in
qualità di amministratrice unica e legale rappresentante della società M.T.C.
S.r.l. e, pertanto, a parere della ricorrente, deve ritenersi illecito
qualsiasi accertamento avvenuto in assenza di contraddittorio ed a nulla
varrebbero le considerazioni della Corte territoriale, secondo le quali la T.
avrebbe avuto comunque la possibilità di esporre le proprie difese mediante
scritti difensivi successivi, essendo, invece, evidente la differenza che corre
tra una dichiarazione rilasciata dal legale rappresentante all’atto dell’accertamento
ed uno scritto difensivo successivo, che non può avere l’incidenza probatoria
del primo, soprattutto laddove sia volto a sconfessare le dichiarazioni rese
dagli agenti accertatori;

che il primo motivo è inammissibile: come, infatti,
sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta
di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente»,
nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella
«motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»,

esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
«sufficienza» della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata
depositata, come riferito in narrativa, il 3.4.2014, nella fattispecie si
applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art.
360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la
sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Ma, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio
motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere
di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la
Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento,
alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza
«così radicale da comportare», in linea con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della pronunzia
per mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la
riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza,
rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del
percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato
condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logicogiuridiche del tutto
congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, la censura formulata nel primo mezzo
di impugnazione tende, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove,
pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014),
poiché «il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la
concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito»; per la qual cosa,
«la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della
sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove,
o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità
il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta
al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice di merito» (cfr., ex multis, Cass.,
S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass.
n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale – come rilevato
innanzi – è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale
del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine
alla valutazione dei mezzi istruttori addotti dalle parti;

che altresì inammissibile è il secondo mezzo di
impugnazione, posto che la Corte di merito ha doviziosamente spiegato che il
verbale di accertamento è stato ritualmente notificato a R. T., così come le
violazioni contestate; per la qual cosa, la stessa è stata messa in condizione
di argomentare la propria difesa e di esporla in modo pieno prima della
pronunzia dell’ordinanza ingiunzione, ai sensi dell’art. 18 della I. n. 689 del 1981:
possibilità della quale la T. non ha ritenuto di fruire, esercitando, in tal
modo, una libera scelta che non può essere imputata negativamente alla
Direzione Provinciale del Lavoro (v., in particolare, pag. 6 della sentenza
impugnata); peraltro, anche il secondo mezzo di impugnazione appare palesemente
volto ad ottenere un nuovo esame del merito cui non è possibile dare seguito in
questa sede;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va dichiarato inammissibile;

che nulla va disposto per le spese nei confronti del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali-Direzione Provinciale del Lavoro
di Torino, che non ha svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le
spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso articolo 13.

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