Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2020, n. 7246

Lavoro, Contratto a termine, Accertamento del diritto ad
essere inclusi nella graduatoria, Procedure di stabilizzazione del personale

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Roma, in riforma della
sentenza del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso, ha respinto le
domande proposte nei confronti dell’Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale – ISPRA – da I.M., C.S. e A.B. le quali avevano lamentato
l’illegittimità degli atti con i quali era stato escluso dalle procedure di
stabilizzazione il personale che aveva maturato il triennio di anzianità a
tempo determinato in forza di proroghe intervenute dopo il 28 settembre 2007 ed
avevano domandato l’accertamento del loro diritto ad essere incluse nella
graduatoria e ad essere stabilizzate con decorrenza dall’8 novembre 2009;

2. la Corte territoriale ha premesso che le
appellate erano state tutte assunte dall’APAT con contratto a termine della
durata di un anno, con decorrenza dall’8 novembre 2006 e scadenza al 7 novembre
2007, poi prorogato, dapprima al 7 novembre 2009, e successivamente, sulla base
di due proroghe in successione, sino al 31 dicembre 2011;

3. il giudice d’appello ha escluso che le originarie
ricorrenti potessero essere incluse nella platea dei destinatari della legge n. 296/2006, art. 1 comma 519,
e della legge n. 244/2007, art.
3 comma 90, perché le richiamate disposizioni, da interpretare valorizzando
le ragioni per le quali erano state emanate, hanno derogato alla regola del
pubblico concorso per superare fenomeni di precariato e, pertanto, nella parte
in cui richiedono quale requisito il triennio che, seppure non ancora maturato,
consegua «in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29
settembre 2006», poi differita al 28 settembre 2007, si riferiscono,
evidentemente, a proroghe che dovevano già essere state disposte in epoca antecedente
e non consentono, pertanto, di valorizzare la sola data di instaurazione del
rapporto originario;

4. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo,
illustrato da memoria, al quale ha resistito l’ISPRA con tempestivo
controricorso.

 

Considerato che

 

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo
formulato ai sensi dell’art. 360
n. 3 cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 519, della legge
27.12.2006 n. 296 e dell’art.
3, comma 90, della legge 24.12.2007 n. 244» e addebita alla Corte
territoriale di non avere considerato che la proroga, a differenza del rinnovo,
non comporta l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, bensì determina
solo la prosecuzione di quello già esistente e pertanto, ai fini della
applicazione delle norme richiamate nella rubrica, doveva essere valorizzato il
momento della stipula del contratto originario, pacificamente sottoscritto in
data antecedente al 28 settembre 2007;

2. il ricorso è infondato e va rigettato, perché la
Corte territoriale ha basato la decisione su una corretta interpretazione delle
disposizioni di legge che vengono in rilievo;

2.1. il legislatore con l’art. 1, comma 519, della legge n.
296/2006, ha consentito la “stabilizzazione” a semplice domanda
del personale, selezionato mediante procedure di natura concorsuale o previste
da specifiche disposizioni di legge, «in servizio a tempo determinato da almeno
tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di
contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia
stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio
anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge» ed ha precisato
che, «nelle more della conclusione delle procedure di stabilizzazione», «le
amministrazioni continuano ad avvalersi del personale di cui al presente
comma», aggiungendo anche che «alle iniziative di stabilizzazione del personale
assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo
espletamento di prove selettive»;

2.2. il successivo art. 3, comma 90, della legge n.
244/2007 ha consentito l’ammissione alle procedure di stabilizzazione anche
del personale che «consegua i requisiti di anzianità di servizio ivi previsti
in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28 settembre 2007»;

3. in tal modo il legislatore ha inteso perseguire
l’obiettivo del superamento del precariato attraverso il ricorso ad una forma
di reclutamento, speciale rispetto a quella prevista dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001
(nel testo applicabile ratione temporis), perché destinata ad una platea
limitata di soggetti, individuata sulla base della precedente titolarità di un
rapporto a tempo determinato con la Pubblica Amministrazione;

4. la giurisprudenza della Corte Costituzionale da
tempo ha evidenziato che un interesse pubblico idoneo a giustificare la deroga
al principio del pubblico concorso, al fine di valorizzare pregresse esperienze
professionali dei lavoratori assunti, può ricorrere solo in determinate
circostanze ( Corte Cost. sentenza n. 167 del 2013),
in quanto se «il principio dettato dall’art. 97
Cost. può consentire la previsione di condizioni di accesso intese a
consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa
amministrazione» (Corte Cost. n. 189 del 2011),
occorre, tuttavia, che «l’area delle eccezioni alla regola del concorso» sia
«rigorosamente delimitata» e non si risolva «in una indiscriminata e non
previamente verificata immissione in ruolo di personale esterno attinto da
bacini predeterminati» (Corte Cost. n. 227 del 2013 richiamata dalla più
recente Corte Cost. n. 113 del 2017);

4.1. è stato efficacemente osservato da Corte Cost.
n. 293 del 2009 che la deroga alle forme normali di reclutamento mediante
concorso pubblico è legittima solo in presenza di peculiari e straordinarie
esigenze di interesse pubblico e, pertanto, non è sufficiente a giustificarla
la sola circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato
attività a tempo determinato presso l’amministrazione, né basta la «personale
aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006), occorrendo, invece, che
la ragione giustificatrice risponda all’esigenza di consolidare specifiche
esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione «le quali
facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa
stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione»;

5. la questione che qui viene in rilievo va risolta
alla luce dei principi richiamati nei punti che precedono, perché
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 519, della legge n.
296/2006 e del successivo art.
3, comma 90, della legge n. 244/2007 induce a ritenere che, così come
affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza
n. 277 del 2013, la platea dei destinatari delle procedure di
stabilizzazione dovesse essere cristallizzata alla data del 29 settembre 2006,
poi differita al 28 settembre 2007, con esclusione di qualsiasi rilevanza di
proroghe disposte successivamente a detta data, sia pure in relazione a contratti
stipulati anteriormente;

5.1. ed infatti l’esegesi sulla quale si incentra il
ricorso, oltre a non essere rispettosa della ratio della norma, volta a sanare
situazioni di precariato già sorte o in via di consolidamento, finisce per
attribuire alle amministrazioni il potere di individuare esse stesse, a priori
e non a posteriori, i destinatari della procedura di accesso speciale, in
spregio ai principi di imparzialità e trasparenza che devono presiedere al
reclutamento del personale nell’ambito del rapporto di pubblico impiego ed in
assenza di quelle ragioni di interesse pubblico che sole possono giustificare,
in casi eccezionali individuati dal legislatore, la deroga al concorso
pubblico;

6. il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con
condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate come da dispositivo;

7. sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del
2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.500,00
oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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