Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 7309

Ricercatore di ente pubblico stabilizzato ex L. n. 296/2006, Anzianità maturata dalla prima
assunzione a termine, Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo
determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE
– Esclude in generale di qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente
giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la
stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta, Valenza dinanzi al
giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione,
disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto
interno

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Torino, decidendo
sull’impugnazione proposta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR),
confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva riconosciuto il diritto
di M.C., ricercatrice già dipendente del medesimo Consiglio come “precaria” e
poi stabilizzata ex I. n. 296/2006,
all’anzianità maturata sin dalla prima assunzione a termine (30/1/2005) anche a
fini economici con ricostruzione della relativa posizione stipendiale (e
inquadramento nella seconda fascia dal 1/1/2009);

2. la Corte territoriale riteneva applicabile il
principio di non discriminazione previsto dall’Accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato, attuato dalla direttiva 1999/70
CE, osservando che il dipendente che aveva lavorato per la stessa
Amministrazione in un arco temporale con contratti a tempo determinato non
poteva essere trattato in maniera deteriore, in carenza di ragioni oggettive
(tra l’altro, non provate né ancor prima allegate), rispetto all’altro lavoratore
che avesse lavorato nello stesso periodo in forza di un’assunzione a tempo
indeterminato;

rilevava che non fosse mai stata contestata dal CNR
in primo grado ovvero nel giudizio di appello che la Ciuffo avesse svolto
mansioni del tutto diverse da quelle oggetto del rapporto a tempo
indeterminato;

3. per la cassazione della sentenza il CNR ha
proposto ricorso affidato ad un motivo;

4. M.C. ha resistito con controricorso;

5. non sono state depositate memorie.

 

Rilevato che

 

1. il ricorrente, con l’unico articolato motivo,
denuncia violazione e falsa applicazione della direttiva
n. 1999/70/CE e dell’art. 36 d.lgs. n. 368 del 2001, nonché omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ.;

sostiene che non vi sarebbe una diretta
applicabilità della normativa comunitaria in esame che tutelerebbe i lavoratori
a termine dalla disparità di trattamento rispetto ai lavoratori equivalenti ma
solo durante la vigenza del contratto a tempo determinato;

censura la sentenza impugnata avere ritenuto
sussistente una discriminazione tra i lavoratori affermando l’erroneità della
decisione che avrebbe omesso di considerare la mancanza di presupposti per il
riconoscimento di effetti diretti alla direttiva in esame ed erroneamente
interpretato la direttiva medesima in punto di divieto di discriminazione,
applicabile, ad avviso del ricorrente, solo ai lavoratori a tempo determinato e
non anche ai lavoratori a tempo indeterminato, in precedenza impiegati a tempo
determinato;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe
apoditticamente ritenuto che non vi fossero ‘ragioni oggettive’ per
giustificare la deroga al principio di non discriminazione senza procedere ad
un confronto analitico del caso di specie con quelli oggetto delle pronunce
comunitarie;

fa riferimento a pronunce del giudice
amministrativo, secondo il quale deve essere considerata la diversità
‘ontologica’ esistente tra un rapporto di lavoro precario ed uno a tempo
indeterminato ed afferma che nel settore della ricerca motivazioni oggettive
non consentono di ritenere che il servizio eventualmente prestato pre-ruolo per
lo stesso Ente possa considerato alla stessa stregua del servizio del servizio
di ruolo nel successivo rapporto a tempo indeterminato;

2. il motivo è infondato;

2.1. vanno, infatti, richiamati i principi già
espressi da questa Corte nelle numerose pronunce in materia di contratti a
tempo determinato nel settore scolastico (ex plurimis, Cass. n. 22558/2016)
oltre che di contratti a tempo determinato stipulati con gli Enti di Ricerca
Cass. 27950/2017; Cass. n. 7112/2018, Cass. n. 3473/2019; Cass. n. 6146/2019);

2.2. con le indicate pronunce si è premesso che la
clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui
stabilisce che «per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a
tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei
lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano
condizioni oggettive», è stata più volte interpretata dalla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, la quale ha evidenziato che: a) la clausola 4 dell’Accordo
esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di
trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a
tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere
fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di
applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo
attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del
diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C-268/06,
Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro
Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado
Santana); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in
modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può
impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto
di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli
lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale
principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del
Cerro Alonso, cit., punto 42); c) le maggiorazioni retributive che derivano
dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego
ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere
legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una
giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C-177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza
ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di
trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di
contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione
fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può
essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che
contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle
caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con
riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di
Giustizia 18.10.2012, cause C-302/11 e
C-305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C-393/11, Bertazzi);

2.3. la stessa Corte di Giustizia, chiamata a
pronunciare in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato
riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in epoca antecedente alla
procedura di stabilizzazione prevista dalla legge
n. 296/2006, ha evidenziato che la clausola 4 «osta ad una normativa
nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale
escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo
determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in
considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento
della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima
autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di
stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia
giustificata da ragioni oggettive ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di
cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia
compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di un
rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di
tal genere» (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C-302/11 a C-305/11, Valenza e negli stessi
termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C –
152/14 Bertazzi);

2.4. i richiamati principi sono stati ribaditi dalla
Corte di Giustizia nella recente sentenza 20 settembre 2018 in causa C-466/17, Motter, con la quale si è, in sintesi,
osservato che al fine di «raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi
dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo
indeterminato» e di evitare «discriminazioni alla rovescia» è consentito, nel
rispetto del principio del prò rata temporis, tener conto dei periodi di
servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento
dell’assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai
fini dell’anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo
determinato; in tale pronuncia, peraltro, il ricorso al principio del prò rata
temporis trova giustificazione nella ritenuta necessità di «[..] rispecchiare
le differenze tra l’esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso
e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della
diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi
devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di
altri docenti»

(così, Corte di Giustizia, 20/09/2018, causa C-466/17, Motter);

2.5. l’interpretazione delle norme eurounitarie è
riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante
per il giudice nazionale perché a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o
emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il
valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che
esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il
significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito
dell’Unione (cfr. Cass. n. 22558/2016);

3. ai principi sopra richiamati si è correttamente
attenuta la Corte territoriale la quale, come evidenziato nello storico di
lite, dopo aver evidenziato che non fosse mai stata contestata dal CNR in primo
grado ovvero nel giudizio di appello che la Ciuffo avesse svolto mansioni del
tutto diverse da quelle oggetto del rapporto a tempo indeterminato, ha posto in
rilievo la circostanza che l’unico elemento differenziazione era costituito
dalla natura, a termine e non a tempo indeterminato, del rapporto;

4. anche in questa sede l’Ente ricorrente, al di là
della infondata prospettazione di una non diretta applicabilità della normativa
comunitaria in esame, si limita a fare leva sull’autonomia dei singoli
contratti a termine, ossia su una circostanza che, alla luce della richiamata
giurisprudenza della Corte di Giustizia, non è idonea a giustificare la totale
esclusione dei periodi di lavoro a tempo determinato ai fini del calcolo
dell’anzianità;

5. il ricorso va, pertanto, rigettato con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla I. n. 228/2012,
deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il
raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in
misura del 15% da corrispondersi all’avv. C.P. antistataria.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 7309
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