Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7413

Lavoro, Contratto a termine, Sussistenza di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, Accertamento

 

Rileva che

 

V.P. S.r.l. appellava la sentenza in data
20-12-2012, con la quale il giudice del lavoro di Lucca, previo accertamento
della conversione dell’assunzione a tempo determinato ex art. 5, comma 4-bis, del dl.vo n.
368/2001, aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato con la sig.ra G.F., a decorrere dal marzo dell’anno 2010,
condannando la società alla riammissione in servizio della lavoratrice ed al
pagamento, in favore di quest’ultima, dell’indennità di cui all’art. 32, co. 5., I. n. 183/2010,
in ragione di sei mensilità. La F. nel resistere al gravame avversario, aveva
sua volta spiegato appello incidentale in via subordinata, chiedendo di
accertare la nullità delle assunzioni a termine per omessa specificazione delle
relative ragioni giustificatrici;

la Corte d’Appello di Firenze con sentenza n. 537 in
data 10 giugno – 4 agosto 2014, premesso che l’attrice aveva operato presso la
V.P. dal 13 marzo 2007 al 30 aprile 2008 quale dipendente, a tempo determinato,
di S.E.A. S.p.a., però distaccata, quindi dal 2 maggio al 19 luglio 2008 in
forza di contratto di somministrazione a tempo determinato alle dipendenze di
M. S.p.a., e poi dal 21 luglio 2008 al 31 dicembre 2010 in base a contratto a
tempo determinato stipulato con la V.P., quindi alle dirette dipendenze di
quest’ultima società;

rilevato altresì che la domanda della F. si fondava
sulla previsione di cui al succitato art. 5, comma 4-bis, e che il
primo giudicante aveva ritenuto computabili, ai fini della verifica del limite
massimo di 36 mesi, anche i periodi durante i quali la predetta aveva operato
presso la convenuta in base a contratti a tempo determinato con soggetti terzi
(SEA distaccante e M. somministratrice), in riforma della gravata pronuncia, n.
589/12, rigettava la domanda dell’attrice, di cui al ricorso introduttivo del
giudizio in data 20 maggio 2011, con la condanna quindi della F. alla
restituzione, in favore dell’appellante principale, di quanto percepito in
forza della decisione di primo grado, giudicando altresì tardivo, siccome
estraneo ai fatti originariamente dedotti dall’attrice, il motivo posto a
sostegno dell’appello incidentale, concernente la pretesa nullità del contratto
a tempo determinato per difetto di specifica causale;

spese di lite compensate per entrambi i gradi del
giudizio;

avverso l’anzidetta pronuncia d’appello ha proposto
tempestivo ricorso per cassazione, il 3.2.2015, la sig.ra F., con due motivi,
cui ha resistito la società V.P. mediante controricorso e ricorso incidentale
condizionato;

il Pubblico Ministero in sede, con requisitoria
scritta del 25-26 marzo 2019, ha chiesto il rigetto del ricorso principale,
ritenendo infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo, con
assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

memoria illustrativa è stata depositata per il
fallimento della V.P. S.r.l. in liquidazione, in persona del suo curatore p.t.,
per cui inoltre il 5 aprile 2019 è stata depositata pure la sentenza n.
133/2015 in data 11-15 settembre 2015, con la quale il Tribunale di Lucca
dichiarava il fallimento della predetta società in liquidazione, società
interamente partecipata da Comune di Viareggio, operante ai sensi dell’art. 3
dello statuto secondo le modalità proprie degli affidamenti cosiddetti in
house, quindi società in house prevista dall’art. 113 dl.vo n. 267/2000
per la gestione di pubblici servizi, nonché strumentali all’attività comunale
ex art. 13 d.l. n. 233/2006
conv. in L. n. 248/2006, oltre che anche
attività fieristica congressuale nonché turistico-balneare e quindi una normale
attività commerciale;

 

Considerato che

 

con il 1° motivo del ricorso principale è stata
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 co. 4 bis dl.vo n. 368/2001,
assumendosi errata l’interpretazione testuale, invece che sostanziale, operata
dalla Corte d’Appello, secondo cui il dato letterale della norma impediva la
possibilità di ritenere come stesso datore di lavoro i precedenti rapporti
(distacco e somministrazione), laddove pure rilevava la questione del contratto
in frode alla legge, per cui la Corte d’Appello non aveva rilevato idonei
elementi probatori («nel caso di specie, non è del resto allegato e provato che
i contratti a tempo determinato stipulati tra l’appellata e i soggetti
distaccante e somministratore fossero simulati e che, pertanto, V.P. S.r.l.
fosse l’effettivo datore di lavoro»);

con il 2° motivo del ricorso principale è stata
lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
1419 c.c. in relazione all’art.
1. comma II del dl.vo n. 368/2001 ex art. 360
n. 3 c.p.c. con riferimento alla questione circa la nullità dei contratti a
termine de quibus, ritenuta inammissibile dalla Corte distrettuale;

con il ricorso incidentale condizionato parte
controricorrente ha riproposto le argomentazioni già addotte, in via gradata, a
sostegno del secondo motivo d’appello, ritenuto assorbito dalla Corte
fiorentina, laddove si era sostenuto che in ogni caso le domande dell’attrice
andavano respinte ex art. 18,
comma 2bis, del dl.vo n. 112/2008, come modificato dal dl. n. 78/2009, avuto riguardo all’art. 1 dello
statuto della V.P. S.r.l., della quale socio unico risultava il Comune di
Viareggio, che vi esercitava un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi, posto inoltre che la società realizzava la parte prevalente
della sua attività con lo stesso ente, socio unico fondatore e detentore
dell’intero capitale sociale, donde l’impossibilità di convertire a tempo
indeterminato il contratto di lavoro a termine stipulato con società in house a
totale partecipazione pubblica, come nel caso della V.T., partecipata per
intero dal Comune di Viareggio;

tanto premesso, il ricorso va disatteso in forza
delle seguenti ragioni;

invero, appare del tutto corretta, ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale
l’interpretazione della normativa in argomento fornita nel caso di specie dalla
Corte distrettuale, in base al principio fondamentale per cui nell’applicare la
legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla
intenzione del legislatore;

di conseguenza, richiamato il testo del succitato art. 5, comma 4-bis (introdotto
dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247 in G.U.
29/12/2007, n. 301, in vigore dal primo gennaio 2008, laddove peraltro con l’art. 1, comma 43, veniva anche
previsto apposito regime transitorio stabilendosi che “In fase di prima
applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42: a) i contratti a
termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano
fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di
cui al comma 4-bis dell’articolo
5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal presente
articolo”), secondo cui «4-bis. Ferma restando la disciplina della
successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di
successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti
il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore
abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e
rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un
contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato
ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del
presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi
soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula
avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e
con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia
iscritto o conferisca mandato.

Le organizzazioni sindacali de/lavoratori e dei
datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale
stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In
caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di
superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si
considera a tempo indeterminato>>, la Corte territoriale ha giudicato
fondato il primo motivo di gravame con il quale la società appellante aveva
sostenuto la tesi dell’esclusione, dal computo dei 36 mesi, dei periodi in cui
il lavoratore abbia operato come dipendente preso terzi, non potendosi
equiparare alla nozione legale di datore di lavoro, ex art. 5 co. 4 bis dl.vo n. 368/01,
quella di utilizzatore delle prestazioni lavorative fornite da terzi,
distaccanti o somministratori, avuto riguardo al profilo testuale della
suddetta disposizione di legge, interpretazione avvalorata pure dal carattere
innovativo (non già ricognitivo, secondo quanto invece opinato dal primo
giudicante) della successiva modifica apportata dall’art. 1, co. IX, della L. 28 giugno
2012 n. 92, in vigore dal successivo 18 luglio, per cui ai fini del computo
del periodo massimo di trentasei mesi si doveva tener altresì (e quindi in
aggiunta agli altri periodi) conto dei periodi di missione aventi ad oggetto
mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis
dell’articolo 1 del presente
decreto e del comma 4 dell’articolo
20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive
modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. A
tal proposito, infatti, deve pure aversi riguardo al principio della irretroattività,
che di regola disciplina l’efficacia della legge nel tempo (cfr. infatti art. 11 prel., co. 1: La legge non dispone che per
l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo. V. altresì art. 10 delle stesse preleggi, laddove in tema
d’inizio dell’obbligatorietà delle leggi e dei regolamenti, ne stabilisce
l’obbligatorietà nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro
pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto). La Corte di merito ha,
inoltre, precisato, con la sentenza qui impugnata, che nella specie non era
stato del resto allegato e provato che i contratti a tempo determinato
stipulati tra l’appellata e i soggetti distaccante e somministratore fossero
simulati e che, quindi, la società V.P. fosse l’effettiva datrice di lavoro
della F.. Veniva, infine, giudicato tardivo, in quanto estraneo ai fatti
dedotti con il ricorso introduttivo del giudizio, il motivo di appello
incidentale, con il quale la lavoratrice aveva sostenuto la nullità del
contratto a tempo determinato per difetto di specifica motivazione, tenuto
conto del principio in base al quale al quale il potere di qualificazione
giuridica è riservato al giudice, ma nei limiti degli elementi materiali
dedotti, mentre non possono rilevarsi motivi di nullità del contratto a tempo
determinato diversi da quelli tempestivamente dedotti (in proposito la Corte
distrettuale richiamava, quindi, le pronunce di questa Corte, sezione lavoro:
n. 12943 del 24/07/2012, secondo cui l’applicazione del principio “iura
novit curia”, di cui all’art. 113, comma
primo, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare
una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite,
nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche
applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a
fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli
erroneamente richiamati dalle parti. Tale regola deve essere, peraltro,
coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che viene violato quando
il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte
dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non
rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello
domandato;

resta, in particolare, preclusa al giudice la
decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto,
ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della
pretesa;

n. 7615 del 3/8/1998, secondo cui l’art. 3 della legge n. 230 del 1962,
che fa carico al datore di lavoro di dimostrare l’obiettiva esistenza delle
condizioni che giustificano la stipulazione dei contratti a termine, non può
essere validamente richiamato nella sentenza di merito al fine di prendere in
considerazione ipotesi di nullità dei contratti stessi non dedotte dai
ricorrenti. Qualora ciò accada la sentenza risulta affetta dal vizio di
ultrapetizione che nel rito del lavoro assume una connotazione particolare,
dipendente dall’accentuazione dell’onere di allegazione a carico del ricorrente,
la quale rappresenta una specificazione del principio di concentrazione e di
immediatezza);

le ulteriori argomentazioni addotte a sostegno del
primo motivo del ricorso principale appaiono inconferenti rispetto al dedotto
vizio di legge, così come denunciato ex art. 360 n.
3 c.p.c., mentre le censure al riguardo mosse attengono in effetti ad
aspetti fattuali della vicenda, inerenti però a diversi profili di asserita
invalidità delle prestazioni rese a favore della società convenuta, ma quale
utilizzatrice delle stesse, ovvero nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo
determinato da ultimo intrattenuto, di modo che non risultano ritualmente
dedotte in questa sede di legittimità -secondo la c.d. critica vincolata
consentita nei limiti rigorosamente fissati dall’art.
360 c.p.c.- possibili violazioni della normativa di riferimento ex decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 circa
la somministrazione ed il distacco, e per il lavoro a termine ai sensi del dl.vo 6 settembre 2001 n. 368, da cui poter quindi
debitamente desumere l’asserita identità di parte datoriale, alla quale invece
fa riferimento l’art. 5, co.
4-bis, del quale si assume per contro in ultima analisi l’errata applicazione.
Ed analoghe considerazioni possono anche valere per quanto concerne le
previsioni di cui all’art. 1344 c.c., in tema
di contratto in frode alla legge, ed agli artt.
1414 e ss. in materia di simulazione, tanto più poi che nel caso in esame
non solo la Corte di merito ha escluso la simulazione in favore della V.P.
quale effettiva datrice di lavoro, ossia una interposizione fittizia datoriale
al riguardo, ma nemmeno è stato ritualmente denunciato alcun vizio ex art. 360 n. 5 -per eventuale omesso esame di
circostanze fattuali decisive- né ai sensi dell’art.
360 n. 4 c.p.c. per il caso di motivazione inferiore al minimo
costituzionale occorrente a norma degli artt. 111 Cost., 132 c. 4 c.p.c.e 118 disp.
att. dello stesso codice di rito (cfr. sul punto, tra le altre, Cass. Sez.
6 – 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, nonché Sez. un. civ. di cui alle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 e successiva conforme
giurisprudenza di legittimità);

deve, poi, rilevarsi l’inammissibilità del secondo
motivo posto a sostegno del ricorso principale, con il quale tuttavia viene in
effetti denunciato, ancora irritualmente, un error in procedendo, per la parte
in cui la Corte fiorentina aveva ritenuto di non poter esaminare nel merito la
doglianza formulata con l’appello incidentale circa la dedotta nullità,
parziale ex art. 1419 c.c., del contratto a
tempo determinato a causa della pretesa genericità della relativa causale per
violazione del requisito di specificità occorrente a norma dell’art. 1 Decreto Legisl. 6/9/2001 n.
368, sicché la censura, prima ancora della normativa di diritto
sostanziale, avrebbe dovuto riguardare, univocamente ed in termini di nullità
ex art. 360 n. 4 c.p.c., quella processuale, di
cui in part. agli artt. 112 e/o 437 c.p.c. in ordine alla loro eventuale errata
applicazione per la parte in cui si ritenevano in pratica tardive nonché nuove
le questioni poste a sostegno dell’appello incidentale, senza dire poi che
l’anzidetta seconda doglianza appare altresì, comunque, genericamente formulata
per difetto di autosufficienza, in violazione soprattutto dell’art. 366 co. 6 c.p.c., attesa la carente
allegazione degli atti processuali e della documentazione a suo tempo prodotta,
rilevanti in base alle tesi sostenute dalla ricorrente con la seconda
doglianza;

pertanto, il rigetto del ricorso principale comporta
ad ogni modo l’assorbimento di quello incidentale condizionato;

le spese relative a questo giudizio, quindi, devono
essere poste a carico della parte rimasta soccombente, nonché liquidate come da
seguente dispositivo, sussistendo, altresì, i presupposti processuali di legge
in ordine al versamento dell’ulteriore contributo unificato, stante l’esito
integralmente negativo dell’impugnazione principale qui proposta, mentre così
evidentemente non è per quella incidentale condizionata, rimasta assorbita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito
quello incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese,
che liquida, a favore di parte controricorrente, in €.200,00 per esborsi ed in
€.4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del
15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/02, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il
ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7413
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