La professione giornalistica può essere svolta in modo esclusivo anche dal collaboratore fisso pubblicista, non rilevando a tal fine l’iscrizione all’elenco dei giornalisti professionisti o dei giornalisti pubblicisti.

Nota a Cass. S. U. 28 gennaio 2020, n. 1867

Sonia Gioia

In materia di rapporto di lavoro giornalistico, “l’attività del collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio rientra nel concetto di ‘professione giornalistica’. Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione necessaria e sufficiente la iscrizione del collaboratore fisso nell’albo dei giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti: conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 45 L. n. 69/1963 il contratto di lavoro subordinato del collaboratore fisso, iscritto nell’elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga l’attività giornalistica in modo esclusivo”.

Ciò, in quanto la professione del giornalista, attività “di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione” (così, Cass. nn. 1853/2016; 17723/2011; 2166/1992) è caratterizzata dalla continuatività, ossia dalla sistematicità e abitualità della prestazione (in antitesi alla sporadicità e saltuarietà) e dalla onerosità, “senza che rilevi l’esclusività o la prevalenza della stessa rispetto ad altre professioni o impieghi” (art. 1, L. 3 febbraio 1963, n. 69, recante norme “Sull’ordinamento della professione di giornalista” e artt. 1 e 2, cnlg 1 marzo 2013 – 31 marzo 2016).

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (28 gennaio 2020, n. 1867), in riforma della pronuncia di merito (App. Milano n. 929/14) che aveva dichiarato la nullità del rapporto di lavoro subordinato intercorrente, ai sensi dell’art. 2, cnlg, tra un editore di giornale (Il Sole 24 Ore s.p.a.) e una collaboratrice fissa che, pur prestando la propria attività in via esclusiva, non era iscritta all’albo dei giornalisti professionisti ma in quello dei pubblicisti, ossia giornalisti che non esercitano l’attività come professione (cioè “senza essere caratterizzati nel mercato del lavoro da un determinato status”).

In particolare, la Corte distrettuale, in conformità con l’orientamento di legittimità finora prevalente (Cass. n. 3177/2019, annotata in questo sito da P. PIZZUTI, Mancata iscrizione all’albo del collaboratore fisso e giusta retribuzione; Cass. n. 23472/2007; Cass. n. 27608/2006), aveva ritenuto che lo svolgimento dell’attività giornalistica in modo professionale, cioè in maniera esclusiva (oltre che continuativa e a titolo oneroso), da parte di un collaboratore fisso, appartenente all’elenco dei pubblicisti, integrasse un’ipotesi di esercizio abusivo della professione, essendo necessaria, ai sensi dell’art. 45, L. n. 69 cit., la previa iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti.

Tale interpretazione, per le Sezioni Unite, “non appare convincente” in quanto sia la legge ordinamentale che la contrattazione collettiva, considerano la “professione di giornalista” in maniera unitaria,  includendo le due categorie di lavoratori in un unico ordine professionale (artt. 1 e 26, L. n. 69 cit.), sottoponendole agli stessi diritti ed obblighi (art. 2, L. n. 69 cit.) e riconoscendo ai pubblicisti che svolgano l’attività in via esclusiva  il medesimo trattamento economico e normativo riservato ai  giornalisti professionisti (art. 36, cnlg).

Il pubblicista, in sostanza, mediante l’iscrizione all’albo (che è di per sé garanzia di qualità dell’informazione, consentendo all’Ordine di esercitare un controllo preventivo e sanzionatorio) “offre le stesse garanzie di professionalità ed efficienza del giornalista professionista” (Corte Cost. n. 98/1968).

L’unica differenza sta nel fatto che i giornalisti professionisti sono chiamati ad “operare in regime di esclusiva, cioè di non svolgere contemporaneamente altre attività professionali o impieghi” (art. 1, co.3, L. n. 69 cit.), mentre i pubblicisti possono prestare la propria opera, non occasionale e retribuita, anche in concomitanza con lo svolgimento di altre attività lavorative (art. 1, co.4, L. n. 69 cit.) “senza che per ciò stesso il pubblicista mantenga o perda la sua fisionomia”.

Pertanto, l’attività del collaboratore fisso, iscritto nell’elenco dei pubblicisti, quand’anche non svolga altre attività, non assume carattere abusivo perché l’art. 45, L. n. 69 cit. richiede la sola iscrizione all’albo professionale, non rilevando a tal scopo l’appartenenza all’elenco dei giornalisti professionisti o a quello dei giornalisti pubblicisti. In questo senso, peraltro, depone il nuovo art. 45, L. n. 69 cit., come modificato dalla L. 26 ottobre 2016, n. 198 (non applicabile ratione temporis al caso in esame), secondo cui “nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave”.

La pronuncia in esame segna, pertanto, una svolta radicale in materia di lavoro giornalistico, stabilendo che “i pubblicisti, al pari dei giornalisti professionisti, sono anch’essi professionisti” e che l’iscrizione al relativo elenco è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di lavoro subordinato, quand’anche il prestatore svolga l’attività giornalistica in via esclusiva.

Attività giornalistica “in via esclusiva” del pubblicista
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