Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 20 marzo 2020

Decreto “Cura Italia”

 

Le trattenute contributive a carico dei lavoratori
dipendenti Il D.L. n. 18/2020, cosiddetto
“Cura Italia”, del 17 marzo 2020 prevede, agli artt. 60 e 61, rispettivamente
la rimessione in termini dei versamenti (la scadenza del 16 marzo 2020 viene
prorogata al 20 marzo 2020) e la sospensione dei termini per il pagamento dei
contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione
obbligatoria ma, nel definire il nuovo calendario delle scadenze dei versamenti
contributivi operati dai datori di lavoro, nulla specifica in riferimento alla
quota di contributi a carico del lavoratore trattenuta in busta paga. Per
evitare possibili fraintendimenti, anche in ordine alla più recente prassi INPS
sui medesimi temi, è opportuno ricostruire l’intero quadro normativo e le
pronunce giurisprudenziali in materia.

L’art.
61, comma 2, del D.L. n. 18/2020, al fine di sostenere i settori più
colpiti dall’emergenza epidemiologica, estende le sospensioni, inizialmente
previste dall’art. 8, comma 1,
D.L. 2 marzo 2020, n. 9 per le imprese turistico ricettive, le agenzie di
viaggio e turismo e i tour operator, anche ai soggetti elencati al medesimo comma 2 dell’art. 61 del decreto
citato. Ai sensi del successivo comma 4, poi, i versamenti sospesi dai
precedenti commi 2 e 3 e dell’art.
8, comma 1, D.L. n. 9/2020 sono effettuati, senza applicazione di sanzioni
e interessi, in unica soluzione entro il 31 maggio 2020, o mediante cinque rate
mensili di pari importo a decorrere da maggio 2020.

Le predette sospensioni riguardano:

a) i termini relativi ai versamenti delle ritenute
alla fonte, di cui agli articoli 23,
24 DPR n. 600/73, che i predetti soggetti operano in qualità di sostituti
d’imposta;

b) i termini relativi agli adempimenti e ai
versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per
l’assicurazione obbligatoria.

Corre l’obbligo di precisare che, con riferimento
alla lettera a), non sono state richiamate espressamente le ritenute su
lavoratori autonomi e provvigioni (artt.
25 e 25-bis, DPR n. 600/73), mentre, con riferimento alla lettera b),
letteralmente la norma non distingue tra contributi quota datore e quota carico
lavoratore indicando genericamente la sospensione dei “versamenti dei
contributi previdenziali e assistenziali”.

È quindi lecito chiedersi se tale disposizione
consenta ora di differire l’integrale debito contributivo, oppure, stante la
posizione già assunta dall’INPS con circolare n.
37 del 12 marzo 2020 (NOTA 1) con la quale si afferma che, per i datori di
lavoro rientranti nella cd. prima ‘zona rossa’ nel caso in cui si sia operata
la trattenuta della quota a carico del lavoratore, si sia obbligati a versarla
entro il 20 marzo 2020, differendo quindi solo la quota a carico del datore di
lavoro.

Sul punto si ritiene di non poter condividere, sic
et simpliciter, la posizione assunta dall’Istituto (che peraltro interveniva su
altro decreto nel contesto di una emergenza ben più circoscritta rispetto alle
dimensioni a oggi assunte dal contagio e dai provvedimenti di sospensione di
plurime attività produttive e di servizi) in virtù della lettura del combinato
disposto degli articoli 19
della Legge n. 218/1952 e dell’art. 2 del D.I. n. 463/1983.

In particolare, l’art. 19 della predetta Legge n.
218/1952 dispone che: “Il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei
contributi anche per la parte a carico del lavoratore qualunque patto in
contrario è nullo.

Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto
dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla
scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce”. Alla luce del
fatto che, in condizioni di normalità, la trattenuta è operata nel mese che è
immediatamente precedente al versamento dei contributi, l’art. 23 della medesima norma del
1952 dispone inoltre che l’onere della contribuzione diviene integralmente a
carico del datore di lavoro nel caso in cui non versi, nei termini, la
contribuzione dovuta.

Va inoltre ricordato come l’art. 2 c. 1 del D.L. n. 463/1983,
dedicato all’omesso versamento dei contributi a carico dei lavoratori ad essi
trattenuti dalla rispettiva retribuzione, reciti: “Le ritenute previdenziali ed
assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori
dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge
30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono
essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini
di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni
previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse,
tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del
datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del
datore di lavoro”.

Pertanto, la sanzione (depenalizzata dal D.Lgs. n. 8 del 2016 entro i 10.000 euro annui)
per omesso versamento delle ritenute a carico del dipendente non potrà essere
rilevata, registrando in via automatica il nuovo termine di versamento. A
ulteriore suffragio di tale lettura, va poi cassata ab origine la possibile
sussistenza, nella fattispecie in analisi, del reato di appropriazione indebita
sulla base della lettura giurisprudenziale fornita dalla sentenza di Cass. pen.
n. 30075/2003, sempre legata al termine normativo di versamento dei contributi.
La Corte Suprema infatti afferma: “Le somme «trattenute» dal datore di lavoro
sulla retribuzione del dipendente e destinate a terzi a vario titolo (per
legge, per contratto collettivo, o per ogni altro atto o fatto idoneo a far
sorgere nello stesso datore di lavoro un obbligo giuridico di versare somme per
conto del lavoratore) fanno parte integrante della retribuzione spettante al
lavoratore come corrispettivo per la prestazione già resa; tali somme non
appartengono più al datore di lavoro, che ne ha solo una disponibilità
precaria, posto che esse hanno una destinazione precisa, non modificabile
unilateralmente in maniera lecita ma vincolata ad un versamento da effettuare
entro un termine previsto a garanzia del terzo e del lavoratore. Ne consegue
che commette il reato di appropriazione indebita il datore che scientemente
lascia trascorrere il termine per il versamento, manifestando così la volontà di
appropriarsi di una somma non sua e di cui solo provvisoriamente dispone”.

Il decreto “Cura Italia” definisce dunque, per
legge, il nuovo calendario delle scadenze dei versamenti contributivi a carico
dei datori di lavoro senza nulla specificare in riferimento alla contribuzione
a carico del lavoratore.

Pertanto, dalla lettura delle disposizioni
richiamate, si può intendere che gli obblighi contributivi sono differiti
integralmente alle nuove date fissate dal legislatore.

A supporto di tale lettura, è opportuno richiamare
anche quanto la giurisprudenza di legittimità ha confermato, nel medesimo
contesto emergenziale (eventi sismici ed alluvionali verificatisi in Molise nel
periodo ottobre/novembre 2002) alla luce dei principi della L. n. 225/1992, art. 5 c. 5-ter
all’epoca vigente e sulla base dei singoli provvedimenti emanati a sostegno
delle aziende colpite. In particolare, è da porre in evidenza quanto riassunto
dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza (NOTA 2) n. 8199 del 22 aprile 2016 la quale ha
testualmente indicato: “(…) inoltre è stato anche chiarito che l’art. 6, comma 1 bis del D.L. citato
(i.e. D.L. n. 263/2006) è norma di
interpretazione autentica, secondo quanto esplicitato dal dato testuale e, come
tale, di portata retroattiva, poiché l’interpretazione autenticamente affermata
rientra fra quelle possibili della norma in esame, alla luce del riferimento
testuale ai ’versamenti’ – (ossia agli adempimenti dell’obbligo previdenziale
riservati alla parte datoriale e successivi alla trattenuta delle quote a
carico dei lavoratori) – e della ratio della disposizione, individuabile nell’intento
di sostegno delle attività imprenditoriali”. Tale norma di interpretazione
autentica è stata peraltro ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte
costituzionale (NOTA 3).

Alla luce di quanto sopra si ritiene di poter quindi
affermare che l’intero debito contributivo (quota a carico datore di lavoro e
quota a carico del lavoratore) possa essere differito alle nuove scadenze
previste per i versamenti dalla norma in esame a prescindere dalla trattenuta
operata da parte del datore di lavoro sulla retribuzione mensile. Quanto
espresso dall’INPS con Circolare n. 37/2020
andrebbe, dunque, opportunamente coordinato con il quadro normativo e
giurisprudenziale suesposto e, soprattutto, contestualizzato anche alla luce
dell’allargamento esponenziale della platea di imprenditori e aziende
danneggiati dagli effetti dell’emergenza sanitaria in atto sull’intero
territorio nazionale.

 

Note:

(1) 1 Inps circolare n. 37 del
12/3/2020, par. 1: “La sospensione contributiva fino al 30 aprile 2020
degli adempimenti e dei versamenti contributivi è concessa ai predetti
soggetti, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti. Il datore
di lavoro privato o il committente sono responsabili del versamento della quota
a carico del lavoratore e, pertanto, nel caso in cui essi usufruiscano della
sospensione contributiva, verrà sospesa sia la quota a proprio carico, sia
quella a carico del lavoratore. Il datore di lavoro o il committente che sospende
il versamento della contribuzione, ma che contemporaneamente opera la
trattenuta della quota a carico del lavoratore, è tenuto obbligatoriamente a
versare quest’ultima alle ordinarie scadenze legali di versamento”.

(2) Si veda anche Cass. sentenza n. 4526 del 24 febbraio 2011

(3) C. cost. sentenza n. 325/2008

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