Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6134

Lavoro, Corresponsione dell’indennità una tantum, Accordo
quadro di II livello, Calcolo degli scatti di anzianità

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Catania, a conferma della
sentenza del Tribunale stessa sede, ha rigettato il ricorso di V.C., dipendente
in quiescenza della Gestione Governativa F.C., con cui lo stesso aveva
domandato che venissero estesi nei suoi confronti gli effetti del giudicato del
Tar Sicilia – Sezione Catania, il quale nel 2001, attraverso plurime sentenze,
aveva riconosciuto a 139 dipendenti della F.C., che avevano prestato servizio
dal maggio 1989 al giugno 2004, il diritto al ricalcolo degli scatti di
anzianità, sulla base dell’indennità di contingenza maturata;

la Corte territoriale ha individuato l’oggetto della
pretesa attorea nell’asserito diritto alla corresponsione – a mezzo di
transazione individuale e previa rinuncia al giudizio pendente – dell’indennità
una tantum pattuita nell’accordo quadro di secondo livello intercorso tra la
Gestione governativa e le organizzazioni sindacali del 3.12.2004 (che aveva
recepito bozza di accordo-quadro del 13.11.2004);

ha dunque ritenuto infondato l’appello,
interpretando la statuizione pattizia ove si prevedeva l’estensione del
giudicato al “personale in quiescenza che ne abbia diritto” (art. 6
dell’accordo quadro del 2004) sì come riferita non già a tutto il personale in
quiescenza avente diritto al ricalcolo degli scatti di anzianità, bensì ai soli
dipendenti in quiescenza il cui diritto al ricalcolo fosse stato già
riconosciuto da una delle sentenze del Tar Sicilia – Sez. Catania passate in
giudicato, ovvero – essendosi aperto un ulteriore contenzioso in sede di
giudizio di ottemperanza avente ad oggetto l’esatto ambito temporale del
giudicato – ai lavoratori in quiescenza che, pur essendo parte dei giudizi
amministrativi, non avessero ancora ottenuto l’esecuzione del giudicato in sede
amministrativa;

ha ritenuto tale interpretazione avvalorata
dall’esame dei successivi provvedimenti amministrativi (Direttiva del
Sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti n. 1793 del 7.12.2004,
Determina del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 8963 del
12.5.2005) e dall’accordo del 26.5.2005, con cui le stesse parti sociali
avevano chiarito e puntualizzato il contenuto dei precedenti accordi
individuando specificamente le categorie di lavoratori previsti dall’art. 6
dell’accordo quadro del 2004 negli “Agenti in servizio alla data
dell’1.1.2004 e negli Agenti in quiescenza il cui diritto era stato
riconosciuto con sentenza emessa dal Tar Catania”; ha escluso qualsiasi
contraddizione tra l’accordo del 2005 ed i precedenti accordi e provvedimenti
ministeriali, sottolineando come questi ultimi non potessero essere comunque
fonte di regolamentazione del trattamento economico riservata, per i dipendenti
pubblici privatizzati, alla contrattazione collettiva;

il giudice del merito ha escluso che la Gestione
Governativa F.C. avesse mai inteso riconoscere a tutti i dipendenti il diritto
al ricalcolo degli scatti in assenza di un giudicato conforme, valorizzando,
tra l’altro, quanto emerso nelle difese dell’appellata, di avere
successivamente impugnato dinanzi alla Corte di Giustizia amministrativa le
sentenze del Tar Sicilia – Sez. Catania non passate in giudicato, ricevendone
l’accoglimento delle proprie ragioni;

ha rilevato come dall’esito della complessiva
vicenda negoziale ed amministrativa emergesse come la finalità primaria delle
parti sociali non era quella di estendere nei confronti di soggetti estranei ai
limiti soggettivi del giudicato le sentenze del Tar Sicilia del 2001. In tema
di inclusione dell’indennità di contingenza nel calcolo degli scatti di
anzianità maturati, bensì di provocare l’allineamento dei trattamenti
retributivi del personale dell’Ente alle norme contrattuali vigenti, definendo
i giudizi pendenti ed evitando quelli in fieri, con l’obiettivo di eliminare il
vasto contenzioso in essere tra il personale e la Gestione governativa;

la Corte territoriale, avendo accertato che
l’appellante non aveva stipulato alcuna transazione, né aveva rinunciato
all’azione in giudizio, ha pertanto escluso che la sua domanda potesse essere
inquadrata nello schema dell’art. 2932 cod. civ.,
e che l’appellante potesse, in definitiva, rivendicare una qualsivoglia pretesa
in applicazione diretta dell’accordo – quadro del 2004; o la cassazione della
sentenza è domandata da V.C. sulla base di quattro motivi; la Gestione
Governativa F.C. ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente o
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi
dell’art. 360, co. 1, n.4 cod. proc. civ., il
ricorrente deduce “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. – Violazione del principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”; la Corte territoriale
avrebbe errato nel rigettare il motivo d’appello con cui parte ricorrente aveva
contestato la nullità della sentenza di prime cure per difetto di pronuncia sulle
domande azionate, in particolare quanto al preteso diritto di accedere alla
soluzione transattiva di cui all’accordo-quadro, sussistendone tutti i
presupposti di fatto, da ritenersi comprovati perché non oggetto di
contestazione da parte dell’odierna controricorrente;

in particolare, il ricorrente ha trascritto le
circostanze allegate nel ricorso introduttivo di primo grado (tra queste, a
pag. 10 del ricorso per cassazione, punti 5 e 6, il contenuto della Direttiva
n. 1793 del 7.12.2004 e l’affermazione secondo cui “tale Direttiva,
vincolante per l’Amministrazione, è stata approvata dagli organi di controllo
con conseguente efficacia dell’atto a produrre i suoi effetti sicché ai
lavoratori e al personale in quiescenza è stato riconosciuto il diritto alla
estensione degli effetti del giudicato, in quanto titolari di posizioni
giuridiche del tutto identiche alle fattispecie decise”) e non contestate
dall’Amministrazione, al fine di sostenere che il Tribunale avrebbe dovuto
considerare provati i presupposti del diritto azionato e la Corte d’appello
accogliere il (primo) motivo di impugnazione sul punto;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., lamenta
“Violazione dell’art. 1362 e ss. c.c.”
per aver interpretato, la Corte territoriale, in senso ingiustificatamente
limitativo, l’espressione “personale in quiescenza che ne abbia
diritto” di cui all’art. 6 della bozza di accordo quadro di secondo
livello del 13.11.2004, recepita nell’accordo quadro del 3.12.2004,
restringendo la platea dei beneficiari del diritto al ricalcolo al solo
personale in quiescenza il cui diritto fosse stato accertato con sentenza del
Tar passata in giudicato;

secondo la parte ricorrente, la tesi accolta dai
giudici di merito, che richiede come indispensabile il conseguimento di una
sentenza favorevole da parte del TARS, priverebbe di rilievo la distinzione,
operata dal citato art. 6 della bozza di accordo, tra personale in servizio e
personale in quiescenza; né la stessa troverebbe supporto nella Direttiva n.
1793 che utilizza la locuzione di carattere generale “personale
dipendente”, dovendosi ritenere, quest’ultima, non riferibile al solo
personale in servizio; neppure può valere il richiamo al verbale di accordo
quadro del 26.5.2005 che, nel riconoscere la piena operatività dell’art. 6
cit., nella parte in cui fa riferimento agli “Agenti in quiescenza il cui
diritto sia stato riconosciuto con sentenza emessa dal TARS Catania”, conterrebbe
un elemento aggiuntivo, comunque inidoneo a sancire il superamento del
contenuto degli accordi già raggiunti;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3 cod. proc. civ., il
ricorrente contesta “Violazione degli artt. 36
e 39 Cost.; Violazione del principio generale
d’intangibilità dei cd. diritti acquisiti”; sostiene che l’applicazione da
parte della Corte d’appello del successivo accordo quadro del 2005, che aveva
espressamente limitato la platea dei destinatari dell’indennità una tantum ai
lavoratori in quiescenza i quali avevano già ottenuto una pronuncia favorevole
(ancorché non ancora eseguita), avrebbe illegittimamente conferito, ad un
provvedimento negoziale successivo, privo di legittimazione e di competenza, il
potere di incidere negativamente su una posizione acquisita dal lavoratore in
funzione degli accordi del 2004 e della Direttiva n.1793 del 2004; il
ricorrente prospetta la nullità e/o l’inefficacia della clausola dell’accordo –
quadro del 2005 per contrasto con gli accordi – quadro del 2004, là dove la
stessa è stata interpretata nel senso di aver limitato la platea dei
beneficiari della “soluzione transattiva” ai soli lavoratori in
quiescenza in attesa di esecuzione delle decisioni del Tar Sicilia – Sez.
Catania passate in giudicato che avevano riconosciuto il diritto al ricalcolo
degli scatti di anzianità;

col quarto e ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.5 cod. proc. civ., lamenta
“Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti”; contesta l’accertamento relativo alla
mancata rinuncia al giudizio, affermando che la Corte territoriale avrebbe
omesso di valutare che l’ingiustificato rigetto da parte del Commissario
governativo della domanda finalizzata all’adesione alla stipula dell’atto
transattivo individuale aveva costituito impedimento per la rinuncia al
giudizio e l’accesso all’erogazione dell’una tantum;

il motivo censura altresì la sentenza gravata per
aver ritenuto che il ricorrente non avesse specificamente indicato l’esatto
ammontare dell’indennità; sostiene di contro di averne parametrato l’ammontare
ai criteri adottati dagli accordi transattivi individuali stipulati con gli
altri lavoratori e che, comunque, detta supposta indeterminatezza non sarebbe
stata comunque da ostacolo all’accoglimento della domanda di condanna al
pagamento di un eventuale diverso importo, maggiore o minore del quantum
indicato, in ossequio al principio di parità di trattamento; il primo motivo di
ricorso è infondato; la Corte di merito si è espressamente pronunciata sul
motivo di appello con cui si contestava la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del primo
giudice, ed ha respinto la censura rilevando come «…il principio di non
contestazione può riguardare esclusivamente i fatti materiali allegati e non
l’interpretazione degli atti e degli effetti giuridici degli accordi posti a
fondamento della domanda. Peraltro, l’amministrazione costituendosi ha
rappresentato una diversa interpretazione degli accordi, contestando in tal
modo la prospettazione di parte ricorrente» (pag. 6 sentenza d’appello);

tale statuizione è pienamente conforme
all’orientamento di questa Corte secondo cui nelle controversie di lavoro,
l’onere di specifica contestazione dei fatti allegati dall’attore, previsto
dall’art. 416, comma 3, cod. proc. civ. – al
cui mancato adempimento consegue l’effetto dell’inopponibilità della
contestazione nelle successive fasi del processo e, sul piano probatorio,
quello dell’acquisizione del fatto non contestato ove il giudice non sia in
grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel
processo – si riferisce ai fatti affermati dall’attore a fondamento della
domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta
in giudizio, e non si estende, perciò, alle circostanze che implicano
un’attività di giudizio (cfr. Cass. n. 11108 del
2007; Sez. Un. n. 11353 del 2004);

il secondo motivo di ricorso è infondato;

questa Corte ha affermato in molteplici pronunce
(cfr. Cass. n. 21888 del 2016; n. 10131 del 2006;
n. 11193 del 2003) che il sindacato di legittimità sui contratti collettivi
aziendali di lavoro può essere esercitato, oltre che per vizio di motivazione
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ. nella versione ratione temporis applicabile (nel caso di specie nel
testo successivo alla modifica del 2012), anche ai sensi del n. 3 della
disposizione citata, per violazione degli artt.
1362 e ss. cod. civ., a condizione che i motivi di ricorso non si limitino
a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella adottata dal
provvedimento impugnato, ma ne prospettino, sotto molteplici profili,
l’inadeguatezza e la non plausibilità, con riferimento alle norme del codice
civile in materia di ermeneutica negoziale come canone esterno di
commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa; ha altresì
affermato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i
profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica
interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e
plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono
possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte
che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito –
dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (ex
plurimis cfr. Cass. n. 10131 del 2006; Cass. n.
11193 del 2003);

la Corte d’appello, premesso come l’espressione
adoperata dall’art. 6 della bozza di accordo del 13.11.2004 (“nonché al
personale in quiescenza che ne abbia diritto”) fosse effettivamente
“generica ed ambigua”, ha ritenuto che ragioni letterali e
sistematiche inducessero comunque a ritenere che l’espressione “personale
in quiescenza che ne abbia diritto” andasse riferita al personale (in
quiescenza) avente diritto all’esecuzione del giudicato (piuttosto che al
ricalcolo degli scatti di anzianità), ossia al personale il cui diritto al
ricalcolo degli scatti fosse stato già riconosciuto con sentenza del TAR, ma
che non ne avesse ancora ottenuto l’esecuzione (così come detto chiaramente nel
successivo accordo del 25.5.2005); ha ulteriormente argomentato come tale
diritto al ricalcolo degli scatti per effetto dell’indennità di contingenza non
fosse mai stato riconosciuto dall’azienda, in senso generalizzato, a tutti i
dipendenti (né dallo stesso giudice amministrativo, che ha invero reso pronunce
difformi sul punto) né fosse stato posto a fondamento dell’accordo di secondo
livello in oggetto; ha analizzato in dettaglio i provvedimenti amministrativi
adottati dopo l’accordo del 2004 – in particolare la Direttiva n. 1793 del
7.12.2004 e la Determina n. 8963 del 12.5.2005 – affermando come dagli stessi
non potesse evincersi la volontà dell’amministrazione di estendere gli effetti
del giudicato amministrativo nei confronti di tutti i dipendenti in servizio e
in quiescenza, a prescindere dall’esperimento dell’azione giudiziale, nonché
rilevando specificamente che le stesse parti sociali, mediante il successivo
accordo del 26.5.2005, che autorizzava la stipula degli atti transattivi con
gli “Agenti in servizio alla data dell’1.1.2004 – Agenti in quiescenza il
cui diritto sia stato riconosciuto con sentenza emessa dal TARS Catania”,
avevano inteso superare le incertezze interpretative rilevate in merito alla
formulazione dell’art. 6 dell’accordo del 2004;

la Corte d’appello ha interpretato l’art. 6
dell’accordo 13.11.2004 secondo il significato letterale delle parole e in
coerenza logica e sistematica con le disposizioni contenute nei provvedimenti
amministrativi intervenuti sulla questione dell’indennità una tantum e nei
successivi accordi che al primo hanno inteso dare esecuzione; la lettura data
dalla Corte di merito poggia sull’esatto presupposto per cui gli accordi del
2004 e i provvedimenti amministrativi successivi non contenevano alcun generale
riconoscimento a tutti i dipendenti della indennità una tantum, la cui
rivendicazione dinanzi al giudice amministrativo aveva avuto esiti alterni; la
Corte di merito individua la finalità negoziale nell’intento di porre fine al
clima di tensione che si era creato in ragione dei diversi esiti
giurisdizionali, il quale rischiava di minare l’efficienza dell’azione
amministrativa, e di definire il contenzioso; tale finalità non poteva,

pertanto, che riguardare il personale in servizio, e
non quello già collocato in quiescenza;

la sentenza impugnata, confermando la decisione di
primo grado, ha tenuto altresì conto di come l’accordo quadro del 3.12.2004, di
recepimento della bozza di accordo del 13.11.2004, ne avesse subordinato gli
effetti, oltre che all’approvazione degli organi ministeriali, al parere
dell’Avvocatura dello Stato, mai rilasciato, dovendosi a maggior ragione
escludere l’idoneità degli accordi medesimi a fondare la pretesa di parte
ricorrente;

l’interpretazione adottata dalla Corte di merito
risulta, per quanto detto, adeguata e plausibile, e rispetto ad essa non
emergono vizi di violazione dei criteri ermeneutici; laddove i rilievi mossi da
parte ricorrente, specificamente sulla portata generale della locuzione
“personale dipendente” contenuta nella Direttiva n. 1793/2004 e sulla
finalità del citato art. 6, si esauriscono nella contrapposizione di una
diversa lettura rispetto a quella fatta propria dalla Corte d’appello, come
tale inammissibile;

il mancato riconoscimento di un diritto soggettivo
dell’attuale parte ricorrente, nascente dagli accordi del 13.11.2004 e
3.12.2004, porta a ritenere assorbito il terzo motivo di ricorso che denuncia
la nullità dell’accordo del 26.5.2005 sul presupposto, indimostrato, della
esistenza di una pregressa posizione soggettiva consolidata su cui quest’ultimo
accordo avrebbe inciso in senso limitativo;

quanto al quarto motivo di ricorso, occorre
premettere come nella fattispecie in esame trova applicazione la previsione di
cui all’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ.,
sulla c.d. doppia conforme, trattandosi di giudizio di appello introdotto con
ricorso depositato dopo il giorno 11 settembre 2012;

pertanto il ricorrente in cassazione, per evitare
l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360,
n. 5, cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 del
2012, convertito in L. n. 134 del 2012,
applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, deve
indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di
primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono
tra loro diverse, (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

nel caso di specie tale allegazione manca del tutto
sicché risulta inammissibile il motivo formulato ai sensi del citato art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ.;

in definitiva, essendo il primo e il secondo motivo
infondati, il terzo assorbito e il quarto inammissibile, il ricorso va
rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione del rigetto del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della
controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi
professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6134
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