Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 10106

Infortunio sul lavoro, Decesso del dipendente, Mancata
adozione delle misure organizzative e tecniche idonee alla movimentazione dei
carichi ingombranti e dall’equilibrio instabile, Esistenza del nesso causale,
Quadro di salute già di per sé notevolmente alterato, Non rileva

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello
di Campobasso, in riforma della sentenza del Tribunale di Campobasso del 26
settembre 2017, ha rideterminato in mesi dieci di reclusione la pena,
condizionalmente sospesa, inflitta a D.M. in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cod. pen., 589,
commi primo e secondo, cod. pen. 96, comma 1, lett. c), 159, comma 2, lett. c), 168, 170, comma 1, lett. a), 18, comma 1, lett. f), D.lvo n. 81
del 2008, perché, nella qualità di legale rappresentante dell’omonima ditta
edile, per colpa generica e specifica, cagionava la morte di L.A., manovale
alle sue dipendenze.

In ordine alla ricostruzione della dinamica della
vicenda, la Corte territoriale ha evidenziato che, il giorno dell’infortunio,
il L. era impegnato a prelevare, unitamente ma non congiuntamente ad altro
lavoratore, alcuni telai di ponteggio metallico della ditta C., che erano stati
depositati, legati ed accatastati in verticale e poggiati su due file di
pannelli, in un piazzale, di proprietà di terzi, nelle vicinanze del cantiere.

I due operai slegavano i telai e li prelevavano e
trasportavano uno alla volta ed uno per ciascuno in un camioncino. In
conseguenza della violazione delle norme suindicate, mentre il L. prelevava un
telaio, era attinto rovinosamente dagli altri che si erano ribaltati. I telai
lo investivano al capo e sul corpo, cagionandone il decesso.

I telai non risultavano correttamente accatastati a
causa del mancato uso degli appositi contenitori pure rinvenuti sul cantiere,
costituiti da due fori contrapposti che consentivano di distanziarli tra loro.
Non erano state predisposte ed adottate misure organizzative e tecniche idonee
alla movimentazione dei carichi ingombranti e dall’equilibrio instabile. Il L.
non era stato dotato ed obbligato ad adoperare mezzi di protezione quali
l’apposito casco.

La Corte di appello ha condiviso la valutazione del
Tribunale circa la responsabilità del D. per l’evento letale, sottolineando che
la documentazione sanitaria in atti, attestante il gravissimo politrauma cranio
– facciale già acclarato al momento dell’arrivo in ospedale dopo l’infortunio,
dimostrava sufficientemente la sussistenza del nesso eziologico. Tale
situazione patologica era compatibile con la dinamica dell’infortunio e,
segnatamente, col ribaltamento di una trentina di telai metallici alti oltre
due metri e pesanti circa venti chili ciascuno.

La Corte territoriale ha ritenuto generica
l’indicazione del consulente di difesa dr. F.T., non specialista in medicina
legale, circa l’alterazione dei valori ematochimici, i quali erano stati
ricavati non all’inizio del ricovero, bensì nel corso del prosieguo; per tale
ragione ha escluso la necessità di disporre la perizia richiesta dalla difesa.

Inoltre, la legatura superiore ed inferiore dei
grossi telai metallici da ponteggi, quale alternativa all’uso dei contenitori
di base, era anteriore alla movimentazione degli stessi avvenuta in occasione
dell’incidente. Anche il teste P., altro lavoratore presente, attestava la loro
slegatura, che aveva comportato il doloroso ribaltamento.

Gli appositi contenitori, presenti sul cantiere e
non adoperati, erano utilizzabili, perché erano stati chiaramente progettati
anche per zone di cantiere e per la presenza di minime asperità del fondo del
deposito. Il successivo intervento dell’Ispettorato del Lavoro non comportava
conseguenze, avendo i Carabinieri appositamente delimitato l’area
dell’incidente.

Il rinvenimento del casco per terra avvalorava la
circostanza, confermata da vari testi, della loro facile caduta dal capo o,
quantomeno, della mancata vigilanza da parte dell’imputato in ordine all’uso
adeguato da parte del lavoratore.

2. Il D., a mezzo del proprio difensore, ricorre per
Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, per violazione di legge
e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod.
proc. pen., alla carente pronuncia circa l’esistenza del nesso causale,
alla non correlazione tra accusa e sentenza nonché alla violazione dei principi
in dubio prò reo e della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine alla sussistenza del nesso causale.

Si rileva che il decesso del L. era avvenuto dopo
tre giorni dalla data del fatto per arresto cardiocircolatorio e non a causa di
un trauma cranio-facciale. Secondo il consulente di parte dr. F.T., sulla base
delle analisi ematiche, il quadro di salute risultava già di per sé
notevolmente alterato. Avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto il dr.
T. privo di competenze specialistiche, avrebbe dovuto disporre perizia medico
legale sulla causa del decesso, per stabilire se essa non dovesse essere
ricondotta alle compromesse condizioni fisiche del lavoratore.

2.2. Vizio di motivazione in relazione a vari
elementi della ricostruzione del fatto.

Si osserva, in ordine alla disposizione dei telai,
che i medesimi erano stati regolarmente accatastati e legati e si trovavano su
una superficie di appoggio non perfettamente regolare. Contrariamente a quanto
affermato dalla Corte territoriale, il dr. T. aveva dato atto della presenza di
asperità sulla superficie d’appoggio che ne impedivano l’uso e aveva spiegato
che l’utilizzatore dei ponteggi avrebbe dovuto assicurarsi dell’ancoraggio
superiore ed inferiore del ponteggio e del suo appoggio su una parete stabile.
Per tale ragione il posizionamento del contenitore per inserire i supporti
metallici avrebbe determinato plurime difficoltà, in mancanza di un piano
regolare. Alla luce del contenuto complessivo della relazione del dr. T., la
locuzione “fondo regolare in loco” doveva essere ritenuta un mero refuso.

Il D. aveva adottato tutte le precauzioni
necessarie, in quanto, al momento del sinistro, i telai erano regolarmente
poggiati ad una parete stabile ed inclinati, circostanza confermata da tutti i
testi presenti al fatto.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di
appello, i telai risultavano ribaltati solo perché i Carabinieri erano giunti
tardivamente sul posto; i pannelli e i fili erano stati smantellati per essere
trasportati in altro cantiere. Se sul luogo del sinistro non vi fossero stati i
pannelli in legno, i telai non si sarebbero potuti reggere da soli in posizione
verticale.

Con riferimento ai dispositivi di protezione, doveva
rilevarsi che tutti gli operai indossavano i caschi. Il teste D.G. non aveva
affermato il contrario, ma aveva solo sostenuto di trovarsi troppo lontano per
poter comprendere se la vittima lo utilizzasse. Peraltro, i lavoratori non
avevano l’obbligo di indossare il casco per l’assenza di rischi di caduta di
materiali ed attrezzature dall’alto.

Alla luce del rispetto della normativa sugli
infortuni del lavoro, emergeva l’assenza di violazioni della citata normativa.
Il giudizio di responsabilità si basava su mere congetture.

2.3. Violazione del principio di correlazione tra
chiesto e pronunciato, violazione dei principi in dubio prò reo e della regola
dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Si osserva che, nonostante nel capo di imputazione
fosse stato dato atto della regolare legatura dei telai, la responsabilità era
stata affermata in base alla loro mancata assicurazione e alla precarietà della
loro sistemazione.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

Il primo motivo di ricorso, con cui il D. contesta
la ricostruzione del nesso causale operata nella sentenza impugnata, è
infondato.

La Corte di appello, sulla base delle deposizioni
testimoniali e della documentazione fotografica, ha logicamente attribuito la
morte del L. alla caduta dei telai di ponteggio metallico della ditta C., i
quali erano stati depositati, legati ed accatastati ed appoggiati su due file di
pannelli, in mancanza dell’adozione degli appositi contenitori (pure rinvenuti
sul cantiere) costituiti da due fori contrapposti che consentivano di
distanziarli tra loro.

La Corte di merito, con motivazione lineare e
coerente, ha sottolineato la mancata predisposizione e l’omessa adozione di
misure organizzative e tecniche idonee alla movimentazione dei carichi
ingombranti in condizioni di sicurezza e ad evitare l’equilibrio instabile; ha
recepito le argomentazioni dei giudice di primo grado, secondo cui i due operai
avrebbero dovuto indossare i caschi di protezione ed agire contestualmente e
congiuntamente.

Il ricorrente si limita a contestare la valutazione
e l’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti, formulando così
censure attinenti interamente al merito e irrilevanti nel giudizio di
legittimità, in quanto non risulta viziato il discorso giustificativo sulla
loro capacità dimostrativa e le censure tendono nella sostanza soltanto a
sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio.

Anche la spiegazione della Corte territoriale in
ordine alla non necessità dell’espletamento di una perizia medico – legale
sulla causa del decesso basata sull’assenza di conoscenze specialistiche del
perito della difesa e sulla tardiva acquisizione – con conseguente alterazione
– dei dati ematochimici appare congrua ed adeguata. La Corte di merito, con
valutazione immune da censure, ha attribuito rilievo decisivo alla molteplicità
di fratture e traumi subiti dal lavoratore, considerando superfluo ogni ulteriore
approfondimento.

Nel giudizio di appello, infatti, la rinnovazione di
una perizia può essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in
grado di decidere allo stato degli atti, ed il rigetto della relativa
richiesta, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di
legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto (Sez. 1, n. 11168 del
18/02/2019, Caratelli, Rv. 274996; Sez. 3, n. 7259 del 30/11/2017, dep. 2018,
S, Rv. 273653); la presunzione di tendenziale completezza del materiale
probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile
la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in
una attività “esplorativa” di indagine finalizzata alla ricerca di
prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente (Sez. 3, n. 42711 del
23/06/2016, H., Rv. 267974; Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, Duval Perez, Rv.
256173).

2. Il secondo motivo di ricorso, con cui il
ricorrente si duole di plurimi profili inerenti alla ricostruzione della
vicenda da parte della Corte di appello, è basato su censure manifestamente
infondate o non proponibili dinanzi a questa Corte.

In ordine alla mancata adozione dei contenitori per
i pannelli, la Corte molisana ha chiarito in modo esauriente e dettagliato che
le minime asperità presenti sul fondo non ne avrebbero impedito l’utilizzo.

La difesa prospetta la tesi del dedotto mutamento
dello stato dei luoghi all’atto dell’intervento delle forze dell’ordine sulla
base di una ricostruzione alternativa priva del minimo riscontro nelle
emergenze processuali, che si poneva al di fuori dell’ordine naturale delle
cose e della normale razionalità umana, non deducibile nella presente sede di
legittimità (Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299).

La questione inerente alla prova dell’uso dei caschi
da parte dei lavoratori è irrilevante. Il ricorrente, infatti, non si confronta
con le osservazioni della Corte molisana, che, a prescindere dall’uso (o meno)
del casco al momento del fatto, ne sottolinea l’inadeguatezza in ragione della
facilità con si sganciava e dei mancati controlli al riguardo del datore di
lavoro. L’eventuale imprudenza nell’adozione del casco rappresentava proprio
l’evenienza che le regole protezionistiche miravano a fronteggiare.

3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si contesta
la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, è
manifestamente infondato.

In linea generale, va premesso il fondamentale
principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza comporta
l’esigenza di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in
rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto, che è oggetto
dell’imputazione; il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta
possibilità non risulti sminuita.

Siffatta violazione non
ricorre, quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano
contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in
sentenza (Sez. 4, n. 8612 del 24/05/1994, Tomasich, Rv. 199689; Sez. 2, n. 5907
del 11/04/1994, De Vecchi, Rv. 197831). Sussiste, invece, violazione del
principio di correlazione della sentenza all’accusa formulata, quando il fatto
ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di
eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata
una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti
essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, di fronte –
senza avere avuto alcuna possibilità di difesa – ad un fatto del tutto nuovo.

Il fatto, di cui agli artt.
521 e 522 cod. proc. pen., va definito come
l’accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive
ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono
tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica (Sez. 1, n.
4655 del 10/12/2004, dep. 2005, Addis, Rv. 230771). La violazione del suddetto
principio postula, quindi, una modificazione – nei suoi elementi essenziali –
del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente
contestato. L’imputazione è da ritenersi completa nei suoi elementi essenziali
quando il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad
ogni elemento di accusa (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà, Rv. 269455;
Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248847).

Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto
contestato e sentenza quando vi sia stata un’immutazione tale da determinare
uno stravolgimento dell’imputazione originaria.

Al riguardo, va rilevato che la contestazione
risulta formulata in modo chiaro, preciso e completo sotto il profilo materiale
e soggettivo, in quanto contiene l’analitica indicazione delle condotte
contestate e dei profili di colpa generica e specifica addebitati al D..
L’aspetto dell’irregolare legatura dei telai tra loro formava oggetto delle
prove testimoniali e documentali, per cui il ricorrente aveva avuto ampia possibilità
di difendersi dalla relativa accusa.

Per le medesime ragioni, quindi, deve escludersi che
sia stata violata la disposizione di cui all’art.
521 cod. proc. pen.

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va
rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali (art.
616 cod. proc. pen.).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2020, n. 10106
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