Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7377

Tributi, IRPEF, Calciatore, Somme percepite a titolo di
fringe benefit, Addebito indiretto alla società della commissione dell’agente
– Mancanza del modulo d’incarico tra società e procuratore, Reddito aggiuntivo
di lavoro dipendente per il calciatore

 

Rilevato che

 

1. la controversia riguarda l’impugnazione, da parte
di R.L., ex calciatore della AS R., di un avviso di accertamento che recuperava
a tassazione IRPEF, per l’anno d’imposta 2002, un maggiore reddito non
dichiarato, sulla base di una verifica fiscale della Guardia di Finanza nei
confronti dell’AS R., dalla quale era emerso che la società, nella stessa
annualità, aveva corrisposto al proprio calciatore l’importo di euro 45.138,00
come fringe benefit, omettendo di operare la ritenuta alla fonte prevista dall’art. 23, del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600;

a fondamento dell’impugnazione dell’avviso, il
contribuente negò la natura reddituale di quell’importo, sostenendo di non
averlo mai ricevuto e che la somma era stato versata dall’AS R. direttamente
alla F. Management Sas, per la consulenza ricevuta nella preparazione del
contratto di lavoro, tra la società sportiva e il giocatore, come attestato
dalla scrittura del 29/06/2001, tra tali due soggetti terzi, che faceva
esplicito riferimento a detta assistenza contrattuale, prestata dalla F.
Management Sas nell’interesse dell’AS R., in relazione al contratto tra la
società di calcio e lo sportivo (R.L.);

2. la CTP di Roma respinse il ricorso ritenendo che
il contribuente fosse comunque obbligato – quale percettore indiretto del
compenso in esame – ad esporlo, nella dichiarazione per il 2002, tra i redditi
di lavoro dipendente, per il principio di onnicomprensività sancito dall’art. 51, comma 1, t.u.i.r.;

3. la CTR del Lazio, con la sentenza menzionata in
epigrafe, nel contraddittorio dell’Agenzia, ha rigettato l’appello del
contribuente sulla base di alcune premesse: (a) l’art. 10 del regolamento per
la disciplina dell’attività di agenti di calciatori (ratione temporis vigente)
prevede che l’attività dell’agente possa iniziare solo dopo che quest’ultimo
abbia ricevuto un formale incarico, da parte del calciatore o della società,
mediante la compilazione, a pena di inefficacia, di appositi moduli
(predisposti dalla commissione degli agenti dei calciatori), in quadruplice
copia, da depositare anche presso la segreteria dell’organo federale e presso
la suddetta commissione, distinti per colore: il modulo blu (mandato tra
calciatore e agente) e il modulo rosso (mandato tra società sportiva e agente);
(b) sono stabilite particolari modalità di custodia (anche presso la
commissione e la federazione) di tali contratti; (c) nel corso della verifica
fiscale, la GdF acquisì: la fattura pro-forma datata 21/11/2002 emessa dalla F.
Management Sas, di euro 45.138,00, oltre IVA; la dichiarazione di debito,
sottoscritta dalla AS R. e dalla F. Management Sas, riguardante l’assistenza
contrattuale prestata nell’interesse del calciatore R.L. (relativa alle
annualità sportive dal 2001/2002 al 2004/2005, per un ammontare di lire
87.400.000 (euro 45.138.33, oltre IVA); (d) si tratta di promesse di pagamento
e ricognizioni di debito, ossia di un negozio, predisposto a fini fiscali, per
trasferire il costo della prestazione dell’agente dal calciatore alla società;

(e) la società di calcio, nel corso della verifica,
non esibì alcun mandato dalla stessa conferito all’agente (modulo rosso), che
avrebbe attestato che l’incarico era stato conferito nel proprio esclusivo
interesse, e non nell’interesse del calciatore, e per tale ragione la GdF
escluse – per difetto del requisito dell’inerenza – che quell’esborso fosse un
costo deducibile della società;

la Commissione regionale, quindi, ha maturato il
convincimento che il calciatore, a prescindere dal comportamento tenuto, anche
sul piano fiscale, dalla società di calcio e dall’agente, fosse obbligato,
quale beneficiario indiretto di quel compenso, a esporlo nella dichiarazione
2002, tra i redditi di lavoro subordinato, in forza del citato principio di
onnicomprensività, che impone la tassabilità di tutte le somme e valori che il
dipendente percepisce, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro,
sebbene lo stesso importo fosse stato concordato tra l’AS R. e il procuratore
dello sportivo, in quanto si trattava del compenso per le prestazioni
professionali di assistenza e consulenza del procuratore a favore del calciatore,
anche se l’AS R., concedendo un beneficio e/o valore, al proprio dipendente, ne
aveva assunto l’onere;

4. il contribuente ricorre per la cassazione, sulla
base di due motivi; l’Agenzia resiste con «atto di costituzione» ai soli fini
previsti dall’art. 370, primo comma, cod. proc. civ.;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo del ricorso a) Art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. – violazione o
falsa applicazione dell’art. 51 Dpr
917/1986 (determinazione del reddito da lavoro dipendente) e/o violazione o
falsa applicazione dell’art. 23 Dpr
600/1973 (Ritenuta sui redditi da lavoro dipendente)], il ricorrente
censura la sentenza impugnata per avere ritenuto contra legem che gli
emolumenti corrisposti dalla AS R. alla F. Management Sas (e poi Srl)
rientrassero nella categoria dei redditi di lavoro dipendente (art. 51, t.u.i.r.) del calciatore e
che, quindi, l’AS R. (come sostituto d’imposta) e lo stesso ricorrente (come
sostituito) fossero soggetti all’obbligazione tributaria, trascurando che il
ricorrente era estraneo all’accordo tra le due società, dal quale non aveva
tratto alcun vantaggio, diretto o indiretto; al riguardo assume che, durante la
verifica fiscale presso l’AS R., gli organi di controllo reperirono il
contratto scritto, datato 29/06/2001, tra l’AS R. e F. Management Srl che,
certamente, non poteva essere qualificato come dissimulatorio dell’obbligazione
di corrispondere fringe benefits allo sportivo;

sotto altro profilo, il ricorrente addebita alla
commissione regionale di non avere preso posizione sull’eccezione, dal medesimo
sollevata, di violazione del principio di cassa, sancito dal t.u.i.r.,
correlata al fatto che l’importo di euro 45.138,00, tassato in relazione
all’annualità 2002, in realtà era stato pagato (non a L., ma) alla F.
Management Srl nel 2004, sicché, in forza del citato principio di cassa, solo
in quel momento esso sarebbe divenuto tassabile, tanto in capo al sostituto
d’imposta (l’AS Roma) che in capo al sostituito (il contribuente), il che (tra
l’altro) era sufficiente per negare che quell’importo dovesse essere ricompreso
nel reddito di lavoro dipendente del calciatore, relativo al 2002;

da un ultimo punto di vista, il ricorrente deduce
che l’Amministrazione finanziaria ha inteso incassare imposte prima dalla F.
Management Srl, la quale sul predetto importo ha versato l’IRES, l’IRAP e
l’IVA, e poi dalla AS R. e dal contribuente, facendo leva sulla suggestiva
attribuzione al calciatore di fringe benefìts;

1.1. il motivo è in parte infondato e in parte
inammissibile;

dal primo punto di vista (infondatezza del motivo) è
saldo indirizzo della Corte (Cass. 12/01/2017, n.
586) che: a) in base all’art.
51, t.u.i.r.: «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le
somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta,
anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.»;
b) questa regola è espressione del principio della «onnicomprensività» del
reddito di lavoro con riguardo a tutto quanto percepito dal dipendente «in
relazione al rapporto di lavoro», il che comporta che si debbano includere in
questa categoria reddituale anche gli importi e le erogazioni in genere
integranti, come nel caso di specie, un vantaggio accessorio attribuito dal
datore di lavoro al dipendente in aggiunta alla normale retribuzione (fringe
benefits) ;

nella fattispecie concreta, la Commissione
regionale, senza infrangere questi principi di diritto (come invece adombra il
ricorrente), anzi facendone corretta applicazione, all’esito della valutazione
delle risultanze istruttorie (quali, per esempio: la mancata esibizione,
durante la verifica fiscale della GdF presso l’AS Roma, del cd. «mandato
rosso», che avrebbe attestato l’esistenza di un rapporto contrattuale diretto
tra la società di calcio e il procuratore sportivo; il contenuto dell’accordo
scritto del 29/06/2001, con il quale, a parere della CTR, la società di calcio
si accollava i compensi dovuti dallo sportivo al procuratore), ha qualificato
la somma pagata dall’AS R. all’agente F. Management Sas non come un costo
deducibile della società di calcio, ma come un reddito (aggiuntivo) di lavoro
dipendente (fringe benefit), imponibile in capo al calciatore, assistito dal
procuratore, sul presupposto che l’attività dell’agente (seppure pagata dalla
società) fosse svolta nell’esclusivo interesse del calciatore, in virtù del
rapporto contrattuale esistente tra lo sportivo e il procuratore;

sotto altro aspetto (inammissibilità del motivo), è
dato rilevare che le ulteriori doglianze (violazione del principio di cassa e
del divieto di doppia imposizione), sono formulate in termini del tutto
generici, senza un puntuale richiamo alle norme di diritto che si assumono
violate;

2. con il secondo motivo b) art. 360 primo comma, n. 5 c.p.c. – omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in
relazione a punti focali della controversia devoluta in appello], il ricorrente
censura il vizio dello sviluppo argomentativo della sentenza per essersi
limitata a richiamare quanto già espresso dal giudice di primo grado, senza
chiarire: (a) per quale motivo fosse stata inclusa la fattispecie concreta
nella previsione dell’art. 51,
t.u.i.r., e nella previsione dell’art.
23, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; (b) per quale motivo, nonostante
il dettato normativo chiaro e inequivocabile (ispirato al principio di
tassazione per cassa) fosse stata ritenuta corretta una tassazione dell’importo
per competenza; (c) quali fossero le motivazioni che giustificavano la triplice
tassazione dell’importo in capo ai soggetti accertati, dopo che era già stato
riscosso un importo da un terzo, pur non configurandosi un ricavo per tutti e
tre detti soggetti;

2.1. Il motivo è inammissibile;

secondo il consolidato orientamento di questa Corte,
al quale s’intende dare continuità, il vizio ex art.
360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione vigente ratione
temporis, di: «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione» riguarda
necessariamente un: «fatto controverso e decisivo per il giudizio», ossia un
fatto storiconaturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza
o dagli atti processuali, al quale non possono essere assimilate le questioni e
le argomentazioni giuridiche che, pertanto, risultano irrilevanti e comportano
l’inammissibilità delle relative censure, irritualmente proposte (Cass.
29/07/2015, n. 15997);

nella fattispecie concreta, è chiaro che non si
critica la sentenza della CTR per omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto storico, controverso e decisivo per il giudizio,
bensì, in modo inammissibile, in ragione della soluzione che è stata data alle
suindicate questioni di diritto;

3. ne consegue il rigetto del ricorso;

4. nulla si deve statuire sulle spese del giudizio
di legittimità, nel quale l’Agenzia non ha articolato difese;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1
-bis del citato art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7377
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