Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 aprile 2020, n. 7657

Tributi, IRAP, Consulente aziendale, Collaborazione della
moglie, Presupposto di autonoma organizzazione, Esclusione

 

Rilevato che

 

1. l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, sulla base
di un unico motivo, avverso la sentenza della CTR del Veneto, indicata in
epigrafe, che, nel contraddittorio dell’Ufficio, ha accolto l’appello di C.B.,
consulente aziendale, avverso la sentenza della CTP di Treviso (n. 102/2011),
che, a sua volta, ne aveva respinto il ricorso contro il silenzio-rifiuto
opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso delle somme
che egli aveva versato, a titolo d’IRAP, per gli anni 2006-2009, sull’assunto
che per la sua attività di consulente aziendale egli si fosse avvalso di
prestazioni di lavoro dipendente;

2. la CTR ha motivato nei seguenti termini il
rigetto del gravame: «Nel caso di specie appare palese al Collegio che il
contribuente abbia dimostrato tramite la produzione di documenti, mod. unico,
quadro RE, note contabili, di non possedere il requisito della “struttura
organizzata” il fatto che abbia versato i contributi previdenziali a
favore della moglie per effetto della sentenza di separazione è ininfluente nei
rispetti dell’essenza dell’autonoma organizzazione e non appare pertanto
l’impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per
l’esercizio delle attività anche in assenza di organizzazione.» (cfr. pag. 6
della sentenza impugnata);

3. il contribuente resiste con controricorso;

 

Considerato che

 

1. con l’unico motivo del ricorso, denunciando, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc.
civ.: «1) Omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio […]», l’Agenzia censura la sentenza impugnata che,
discostandosi dai principi sanciti da questa Corte in tema di autonoma
organizzazione, ne ha esclusa la ricorrenza, senza considerare che il
contribuente, negli anni d’imposta in esame, si era avvalso, in modo non
occasionale, retribuendola, della collaborazione della moglie (T.D.P.) che, dal
2007, era stata assunta come dipendente a tempo indeterminato;

1.1. il motivo è inammissibile;

posto che la sentenza della CTR è stata pubblicata
il 29/05/2013, il motivo di ricorso è quello dell’art.
360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nella nuova formulazione
introdotta dall’art. 54, primo
comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134,
che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate a partire
dall’11/09/2012;

secondo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa
Corte: «La riformulazione dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. sez. un. 7/04/2014, n. 8053);

ciò premesso, nella fattispecie, l’Agenzia, in modo
non consentito, ha fatto valere il “vecchio” motivo di ricorso per
cassazione, ossia, come suaccennato, l’omessa o insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anziché, come avrebbe dovuto,
il vizio dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di
discussione tra le parti, secondo l’attuale formulazione;

2. le spese del giudizio di legittimità, liquidate
in dispositivo, seguono la soccombenza;

3. atteso che è soccombente una parte ammessa alla prenotazione
a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione pubblica, difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 – quater, d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna
l’Agenzia delle entrate a corrispondere al contribuente le spese del giudizio
di legittimità, che liquida in euro 2.300,00, a titolo di compenso, oltre a
euro 200,00 per esborsi, al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario
delle spese generali, e agli accessori di legge.

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