Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 febbraio 2020, n. 4881

Differenze retributive, Decirrenza riconoscimento della
qualifica superiore, Risarcimento del danno, Prove selettiva annullata,
Effetti delle sentenze amministrative, Casi di giudicato amministrativo con
effetti ultra partes, eccezionali e giustificati in ragione dell’inscindibilità
degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n.
49 del 2012, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Dogane
nei confronti di A.R., avente ad oggetto la sentenza emessa tra le parti dal
Tribunale di Brescia, confermava la giurisdizione del giudice ordinario e
rigettava nel merito l’appello.

2. Il Tribunale di Brescia aveva ritenuto sussistere
la propria giurisdizione e aveva condannato l’Agenzia delle Dogane al pagamento
in favore della lavoratrice della somma di euro 24.324,36, oltre interessi
legali dalle singole scadenze al saldo, a titolo di risarcimento del danno
consistente nelle differenze retributive che la stessa avrebbe dovuto percepire
qualora fosse intervenuto il tempestivo riconoscimento della qualifica
superiore.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di
appello ricorre L’Agenzia delle Dogane prospettando quattro motivi di
impugnazione.

4. Resiste la lavoratrice con controricorso.

5. Poiché veniva posta questione di giurisdizione,
con l’ordinanza interlocutoria n. 30715 del 2017,
la causa veniva emessa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle
Sezioni Unite.

6. Con ordinanza n. 10246 del 2019, le Sezioni Unite
di questa Corte hanno ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria cosi
disattendendo il primo motivo di ricorso, e hanno rimesso la controversa alla
Sezione semplice per l’esame dei restanti motivi di ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Occorre premettere (come già rilevato da Cass.,
n. 24571 del 2016, in analoga fattispecie; si v. anche Cass., S U., n. 24571
del 2016) che nel 1992 il Ministero delle Finanze bandiva in concorso interno
per la copertura di numerosi posti di funzionario tributano (ottava qualifica).

La graduatoria finale, approvata in date 24 giugno
1996, veniva annullata dal TAR Lazio che, con sentenza n. 3679/2000, ne
dichiarava l’illegittimità perché alcuni dei partecipanti alla prove selettiva
non avrebbero potuto parteciparvi, in mancanza dei necessari requisiti.

In ottemperanza alle statuizioni del giudice
amministrativo, il Commissario ad acta aveva provveduto a stilare una nuova
graduatoria, dalla quale erano stati depennati i vincitori privi dei necessari
requisiti, e nella quale erano stati invece inseriti, al loro posto, gli
idonei.

In tale nuova graduatoria, approvata con
determinazione del 6 febbraio 2004, era stata collocata anche l’odierna
controricorrente.

1.1. La lavoratrice si era rivolta al Tribunale di
Brescia per ottenere l’accertamento del diritto al riconoscimento delle
decorrenza economica sin dal 1996, e quindi dal tempo della prima graduatoria,
con la condanna dell’Agenzia al pagamento in proprio favore delle differente
sul trattamento retributivo, e al risarcimento del danno.

2. Con il primo motivo di ricorso, nel censurare il
rigetto da parte della Corte d’Appello dell’eccepito difetto di giurisdizione,
è stata posta questione di giurisdizione, in relazione all’art. 360, n. 1, cod. proc. civ.

La domanda della R. avente ad oggetto la decorrenza
economica dell’inquadramento nell’VIII qualifica funzionale era relativa ad un
bando del 1992 e la graduatoria era stata approvata il 24.6.1996: gli atti ed i
loro effetti di cui era causa si collocavano ed esaurivano in un periodo
precedente il 30.6.1998 e, quindi, ad avviso dell’Agenzia, la domanda andava
proposta al giudice amministrativo.

2.1. Il motivo di ricorso è stato rigettato dalle
Sezioni Unite con l’ordinanza n. 10246 del 2019, le cui motivazioni si
richiamano ai sensi dell’art. 118, disp. att. cod.
proc. civ.

3. Con il secondo motivo di ricorso si allega la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112
cod. proc. civ.

Non era stato esaminato il motivo di appello con il
quale si deduceva che, in ragione degli effetti della sentenza del TAR Lazio n.
3679/2000, l’Agenzia non aveva alcun obbligo di riconoscere l’inquadramento
nell’VIII qualifica funzionale, dal 2.9.1996, anche a coloro che non erano
state parti del giudizio che si era concluso con la suddetta sentenza del TAR
Lazio.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.2. Va premesso che la giurisprudenza
amministrativa ha, anche di recente, esaminato il tema degli effetti delle
sentenze amministrative (Cons. Stato, Ad. Plen, nn. 4 e 5 del 2019), affermando
che i casi di giudicato amministrativo con effetti ultra partes sono
eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti
dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto.

In particolare, l’indivisibilità degli effetti del
giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile fra le
posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile – logicamente,
ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad
esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato.

3.3. Tanto premesso, si rileva che come afferma lo
stesso ricorrente (pag. 17 del ricorso per cassazione) a seguito della sentenza
del TAR Lazio l’Amministrazione, nella determinazione 14 gennaio 2004,
riformulava la graduatoria, attribuendo ai ricorrenti vittoriosi una migliore
collocazione.

Oltre a ciò, che costituiva attuazione del dictum
del giudice amministrativo, il Ministero procedeva anche a collocare la
ricorrente in posizione utile all’inquadramento superiore, con decorrenza
giuridica retrodatata, così rivedendo anche per l’odierna ricorrente la
precedente determinazione.

Consegue a ciò, che nella fattispecie in esame
l’Amministrazione, a seguito dell’accertamento dell’illegittimità del proprio
operaio in relazione alla graduatoria del 1996, ha inteso, con la delibera del
2004, ricondurre la posizione della R. a quella dei ricorrenti vittoriosi in
sede giurisdizionale, onde evitare una disparità di trattamento conseguente ad
un proprio agire ritenuto illegittimo dal giudice amministrativo.

Tale agire risponde a quanto previsto anche dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n.
165 del 2001, secondo il quale «Le amministrazioni pubbliche assumono ogni
determinazione organizzativa al che di assicurare l’attuazione dei principi di
cui all’articolo 2,
comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa»,
atteso che la Pubblica amministrazione «conserva pur sempre – anche in presenza
di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare»,
essendo tenuta «al rispetto dei principi costituzionali di legalità,
imparzialità e buon andamento cui è estranea.

3.4. Occorre osservare, altresì, che come queste
Corte ha già affermato la costituzione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, intervenuta tardivamente, a seguito dell’accertamento giudiziale
dell’illegittimo operato dell’Amministrazione, può avvenire con retrodatazione
giuridica dell’assunzione stessa, ma non con retrodatazione economica, in
quanto non si determina un diritto alle retribuzioni per il periodo antecedente
all’assunzione in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta, ma un
diritto al risarcimento del danno (Cass., n. 14772 del 2017).

Analoghi principi valgono con riguardo ad un tardivo
inquadramento in una qualifica superiore.

4. Con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ex art. 360 n. 4 cod. civ. proc.

Nell’ambito dell’intero giudizio di primo grado ed
in appello, la fattispecie era stata qualificata come una pretesa da
responsabilità aquilana dell’Amministrazione, ma la condanna intervenuta in
appello era stata fondata sulla responsabilità contrattuale dell’Amministrazione,
che non era stata dedotta.

Vi era, pertanto, un vizio di ultrapetizione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In caso di denuncia di errores in procedendo del
giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso,
ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass.
n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006).

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012,
hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta
soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice
di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di
specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità
alle prescrizioni dettate dall’art. 366, co. 1,
n. 6 e 369, co. 2, n. 4, cod. proc. civ.),
“sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è
pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che “a parte abbia
specificamente indicato ed allegato”.

L’osservanza di tali principi comporta, nel caso in
esame – in cui si deduce vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso del
giudice di appello in ragione dei contenuto della sentenza di primo grado e dei
motivi di appello dell’Amministrazione – l’onere per la ricorrente non solo di
trascrivere i motivi formulati nell’atto di gravame, ma anche di trascrivere o
riportare con precisione le argomentazioni della parte motiva della sentenza di
primo grado, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di
riferimento per la verifica in concreto del rispetto dell’art. 112 cod. proc. civ. (cfr., Cass., n. 3194 del
2019).

Pertanto, la mancata trascrizione del contenuto
della sentenza di primo grado, impedisce la necessaria verifica di rispondenza
della sentenza di appello al thema decidendum devoluto al giudice di secondo
grado.

5. Con il quarto motivo di ricorso, si allega la
violazione dell’art. 2948, n. 4 cod. civ.: il
termine prescrizionale doveva decorrere dal 24.6.1996 data di approvazione
della graduatoria, e pertanto era interamente decorso.

5.1. Il motivo non è fondato, in ragione dei
principi già affermati da questa Corte, con specifico riferimento al
contenzioso derivante dalla sentenza n. 3679 del 2000 del Tar Lazio.

Le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 579 e 580 del 2014,
n. 2705 del 2012, si v. pure Cass. 24571 del 2016), nel decidere su analoga fattispecie
sia pure ai fini del riparto di giurisdizione, hanno affermato che la nuova
graduatoria, favorevole al ricorrente, era stata approvata nel 2004,
consentendo, solo da tale data, la presentazione della domanda per ottenere, a
titolo risarcitorio, le dovute differenze retributive.

Tale statuizione rileva anche con riguardo alla
censura in esame, atteso che solo da tale data poteva decorerre la prescrizione
del diritto azionato, non assumendo valore in proposito la retrodatazione della
decorrenza giuridica.

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.

8. Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte,
con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni
pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto cella
sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del dPR 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1-quater, introdotto dal comma
17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 ai fini del raddoppio del
contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata
inammissibile o improcedibile.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00, per esborsi, euro
5.000,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e
accessori di legge.

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