Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2020, n. 6637

Conferimento di incarichi di consulenza, Mancata
autorizzazione del datore di lavoro pubblico e comunicazione dei compensi
corrisposti, Sanzione amministrativa, Ordinanza ingiunzione per il pagamento
in solido della somma, Regime di aspettativa diverso da quello delle forme per
motivi di studio, di famiglia o per malattia, Aspettativa non fa cessare il
rapporto di lavoro e non fa cessare i rischi di conflitto di interessi

 

Rilevato che

 

l’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei riguardi di
I. s.r.l. e dell’ing. D., ordinanza ingiunzione per il pagamento in solido
della somma di euro 40.788,00 ai sensi dell’art. 53 d. Igs 165/2001 ed
a titolo di sanzione amministrativa per avere conferito, negli anni 2006 e
2007, al dott. A.B., incarichi di consulenza, senza l’autorizzazione del datore
di lavoro pubblico e per non avere dato comunicazione dei compensi corrisposti
nell’anno 2007, con sanzione calcolata, come precisa la stessa Corte
territoriale, in misura pari al doppio dei compensi elargiti;

il B. all’epoca era infatti dipendente della Regione
Piemonte, già inquadrato nei ruoli della Direzione Risorse Umane e Patrimonio,
ma poi collocato in aspettativa, per essere temporaneamente assunto, in forza
della L. 285/2000, presso l’Agenzia per lo svolgimento dei XX giochi olimpici
invernali “Torino 2006”;

l’opposizione avverso tale ordinanza ingiunzione,
dapprima accolta dal Tribunale di Torino, è stata poi respinta dalla Corte
d’Appello della stessa città, in accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia
delle Entrate; la Corte territoriale riteneva infondato l’assunto, posto a base
della pronuncia di prime cure, secondo cui l’Agenzia delle Entrate era decaduta
dal potere di irrogare la sanzione per superamento del termine di novanta
giorni tra l’accertamento dei fatti e la contestazione, stabilito dall’art. 14 L 689/1981; i giudici
di secondo grado osservavano come il procedimento avesse fatto seguito, con i
tempi riconnessi a verifiche «necessariamente riguardanti una pluralità di
casi», ad una nota della Presidenza del Consiglio del settembre 2008 e fosse
stato attuato, nel maggio 2009, in concomitanza con la contestazione,
sottolineando come il termine di decadenza andasse misurato non sull’epoca
della commissione dei fatti perseguiti, ma su quella del loro accertamento; nel
merito la Corte torinese riteneva che il regime di aspettativa non escludesse
la persistenza del rapporto di lavoro pubblico, né l’applicazione dell’art. 53 d.lgs. 165/2001,
laddove l’insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, addotto dagli
opponenti, sarebbe stato da escludere in ragione delle pregresse autorizzazioni
richieste dal medesimo dipendente per lavorare presso altri datori;

avverso la sentenza di appello I. e il D. hanno
proposto ricorso per cassazione con tre motivi, poi illustrati da memoria e
resistiti da controricorso dell’Agenzia delle Entrate;

 

Considerato che

 

con il primo motivo è denunciata la violazione eo
falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 14 L. 689/1981,
sostenendosi che il tempo trascorso tra i fatti e la loro contestazione, tenuto
anche conto che tutto risultava documentato oltre che certificato a fini
reddituali e dunque necessariamente noto all’Agenzia delle Entrate, fosse eccessivo
e violasse quindi il termine di novanta giorni stabilito dalla norma citata;

con il secondo motivo si afferma la violazione eo
falsa applicazione, ancora ai sensi dell’art. 360
n. 3 c.p.c., dell’art.
53 d. Igs. 165/2001; i ricorrenti sottolineano il fatto che il B.,
all’epoca degli incarichi ricevuti da I., era, rispetto al rapporto con la
Regione Piemonte, in un regime di aspettativa diverso da quello delle forme
tipiche di esso (aspettativa per motivi di studio, di famiglia o per malattia);

tale regime era in effetti appositamente impostato
dalla legge al fine di consentire l’assunzione presso un altro ente pubblico
(la predetta Agenzia Torino 2006), dal che si sarebbe dovuto desumere che non
vi era incompatibilità con lo svolgimento di altre attività di lavoro, senza
necessità di autorizzazioni e senza che potesse farsi applicazione delle regole
di cui all’art. 53 cit.

doveva poi considerarsi – aggiungevano ancora i
ricorrenti – come il fondamento delle previsioni di cui all’art. 53 cit. stesse
nell’evitare il dispendio di energie lavorative a discapito della P.A. datrice
di lavoro e nell’impedire il manifestarsi di possibili situazioni di conflitto
tra l’interesse pubblico e l’interesse sotteso all’attività prestata a favore
di terzi, come anche confermato dalla legislazione regionale (L. Regione Piemonte 10/1989 e in particolare l’art. 1, co. 3) la quale nel
disciplinare le situazioni di incompatibilità rispetto allo stato di dipendente
regionale prevedeva che a tal fine l’incarico conferito dall’ente privato
ingenerasse una situazione di ostacolo rispetto alle mansioni del dipendente
pubblico quanto al rispetto dell’orario o al determinarsi di confitti di
interesse;

tali fondamenti erano, secondo i ricorrenti, del
tutto carenti rispetto al caso di specie, proprio per il fatto che il B. si
trovava all’epoca fuori dai ruoli della Regione, così non potendo né sottrarre
ad essa risorse lavorative, né svolgere incarichi in conflitto con l’interesse
della Regione stessa; il terzo motivo afferma infine la violazione eo falsa
applicazione dell’art. 3 L. 689/1981, sostenendo che l’esistenza di altre
richieste di autorizzazione per prestazioni esterne alla P.A. da parte del B.,
non era nota alla I., né essa era tenuta ad esserne al corrente, mentre il
silenzio del B. in proposito era semmai conferma dell’assenza di colpa dei
ricorrenti;

il motivo si profondeva poi in ulteriori
argomentazioni prospettate al fine di ulteriormente suffragare tale assenza di
colpa; il primo motivo va disatteso;

non è neppure contestato il fatto, affermato dalla
Corte territoriale, secondo cui la contestazione è stata svolta immediatamente
all’atto dell’accertamento; il motivo sostiene piuttosto che, risalendo i fatti
agli anni 2006 e 2007 e risultando l’accaduto dalla documentazione fiscale
oltre che dalla certificazione dei redditi e dalle trattenute operate,
l’Agenzia non avrebbe potuto ignorare l’avvenuto conferimento di incarichi, non
essendo necessari particolari studi ed approfondimenti per verificare quanto
poi contestato;

in tal modo è tuttavia proposta una diversa
valutazione di merito sulla tempistica del possibile accertamento, non consona
al giudizio di legittimità (Cass. S.U. 25 ottobre
2013, n. 24148), anche perché le affermazioni della Corte territoriale sono
tutt’altro che implausibili nel sottolineare come i controlli fossero scaturiti
da una nota della Presidenza del Consiglio del settembre 2008 rispetto alla
quale, tenuto conto del fatto che essi imponevano necessariamente accertamenti
rispetto ad una pluralità di casi, era ragionevole che l’accertamento presso
I., con la immediata contestazione, si fosse poi avuto nel successivo mese di
maggio 2009, non potendosi d’altra parte attribuire assolutezza al fatto che vi
fossero state le denunce fiscali, in quanto l’accertamento oggetto di causa non
può essere dedotto dalla mera comunicazione di dati effettuati ad altri fini
(fiscali), ma presuppone un intreccio di elementi che solo l’attenzione ed
approfondimenti specifici portati sui soggetti interessati può consentire di
disvelare;

anche il secondo motivo è infondato, in quanto il
fatto che il B. si trovasse, nel 2006 – 2007, in aspettativa presso uno dei
suoi datori di lavoro pubblici (egli infatti stava lavorando presso l’Agenzia
Torino 2006 che è pacificamente anch’essa ente pubblico) non ha rilievo;

l’aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e
la norma non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto
stesso, mentre l’appartenere comunque ancora del dipendente ad una pubblica
amministrazione, in questo caso non solo l’Agenzia, ma anche la Regione, non fa
cessare i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di
entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire;

il terzo motivo fa infine leva su circostanze di
fatto (sui rapporti tra I. ed il B., con dettagli sui reciproci comportamenti:
v. pag. 20 del ricorso), finalizzate a dimostrare l’assenza di colpa rispetto
all’illecito; di tali circostanze non vi è però menzione nella sentenza
impugnata (la quale argomenta solo sul rilievo da attribuire alla pregressa
richiesta di autorizzazioni da parte del B. per altre attività), né i
ricorrenti indicano – come era loro onere (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass.
13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675) – come e quando i
corrispondenti fatti fossero stati introdotti nel processo, sicché non vi è
dimostrazione che non si tratti di profili nuovi e come tali inammissibili;

pertanto, anche ove si volesse ritenere che
l’argomento della Corte territoriale sul rilievo delle pregresse autorizzazioni
sia non congruo, non potrebbe dirsi che il motivo dimostri la concreta
sussistenza di profili anche solo ritualmente idonei ad assolvere all’onere probatorio
gravante sugli opponenti; essendo pacifico infatti che, in tema di sanzioni
amministrative, l’art. 3 della
I. n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del
fatto vietato, gravando sul trasgressore l’onere di provare di aver agito senza
colpa (da ultimo, v. Cass. 26 settembre 2019, n. 24081; Cass. 18 aprile 2018,
n. 9546);

il ricorso va quindi rigettato, con regolazione
secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese
prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2020, n. 6637
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